- scritto da Elisa Stellacci
- categoria Mobilità sostenibile
Biciclette nei bunker: pedalare per sopravvivere
Pedalare per passione osservando viali alberati in città o paesaggi naturali; in palestra, per dimagrire ed allenare i muscoli; per necessità, nei luoghi in cui la bici diventa l’unico mezzo di trasporto per merci e persone. Ed infine, pedalare per sopravvivere, grazie alle biciclette nei bunker sotterranei e nei rifugi anti–bombardamento, dove i km percorsi si tramutavano in aria pura da respirare. Come può una bicicletta salvare vite umane? In periodo di guerre e bombardamenti, nei locali blindati e oscuri, le pedalate azionavano, in caso di black–out totale, i sistemi di areazione e ventilazione. Al suono delle sirene o sotto i colpi di granate troppo ravvicinate, si correva nei rifugi anti–aereo: la forza fisica umana e le cyclette, modeste ma efficienti, permettevano di rimanere a lungo al sicuro. Insomma le biciclette nei bunker consentivano la sopravvivenza.
In copertina: Rifugio Piazza Risorgimento, Torino. © Bruna Biamino – MuseoTorino
Guerra e pace: la ricostruzione del rifugio alpino distrutto nella II Guerra Mondiale
Biciclette nei bunker per l'aerazione in caso di black-out
Nei bunker il ricambio d’aria era garantito normalmente da motori elettrici ma, in caso d’interruzione di energia, si doveva ricorrere a metodi alternativi: da semplici manovelle da girare a mano ai più sofisticati modelli con tandem o biciclette singole. La maggior parte di queste, tranne rari casi, erano collegate ad un volano che attivava direttamente il ventilatore/aspiratore. In questo modo, l’areazione era assicurata dai ciclisti, mentre l’illuminazione avveniva con lampade a batteria o candele. I ventilatori a motore elettrico ad una pedaliera potevano garantire l’aerazione fino a 90 persone, a due pedaliere fino a 180.
La Società Anonima Bergomidi Milano fu una tra le più importanti aziende produttrici di biciclette nel bunker, specializzata anche in porte ermetiche antigas. Il modello delle cyclette era costituito da un telaio tubulare con sellini, pedali e, in aggiunta rispetto le tradizionali, vi era un gruppo di trasmissione coperto da carter collegato direttamente al ventilatore e non ad una dinamo. I dispositivi erano inoltre caratterizzati da tubazioni, deviatori per selezionare le funzionalità, filtri e flussimetri per misurare i livelli di ossigenazione (misurati in mc/h) e sapere esattamente quante pedalate erano necessarie per il ricambio completo dell’aria.
Tali meccanismi, più o meno spartani, sono stati ritrovati a Roma nel Rifugio del Palazzo degli Uffici (EUR) e nel Rifugio della Famiglia Savoia a villa Ada, a Milano nel Rifugio di viale Moscova e di via Antonio Tanzi (ex Innocenti) ed ancora, a Torino, Verona, Rovigo, Bolzano e Genova, Gardone Riviera (Bs) e Dalmine (Bg). Ben conservata e diversa dalle altre, è la bicicletta presente nell’immenso rifugio di Torino in piazza Risorgimento, dove la ruota anteriore è sostituita da una dinamo per la produzione dell’energia elettrica ed è saldata su un carrello per spostamenti all’interno delle vaste gallerie.
È singolare che tali sistemi siano spesso stati ritrovati presso le sedi delle Prefetture, forse installate seguendo una direttiva specifica. Il Network Italiano Bunker e Rifugi Antiaerei (Nibra), che sta raccogliendo informazioni e documenti storici su tutti i bunker, ha anche censito le biciclette ritrovate in una dozzina di città italiane. I rifugi di guerra, per lo più chiusi e abbandonati, versano in uno stato di degrado, con scarsa messa in sicurezza e ricorrenti atti di vandalismo. È urgente e doverosa una tutela di tali reperti, auspicabile anche per attivare un turismo alternativo (anche grazie ad associazioni come la Berliner Unterwelten a Berlino) interessato all’archeologia di guerra.
L'energia cinetica delle biciclette
Sfruttare l’energia cinetica prodotta dalle pedalate delle biciclette non è quindi una novità e risale addirittura ai tempi della seconda guerra mondiale, quando le bici tenevano in vita le persone nei bunker. Al contrario, oggi si stanno diffondendo molto le biciclette elettriche che anziché sfruttare l'energia cinetica delle pedalate ne consumano, eppure la forza cinetica prodotta dall’attività fisica viene utilizzata in disparati modi, come nelle recenti palestre ecologiche che producono energia, nei divertenti concerti a pedali, o, più banalmente, per caricare i cellulari con semplici dispositivi posti sul manubrio, che funzionano come le vecchie dinamo.
Da una ricerca di Lorenzo Grassi.