- scritto da Elisa Stellacci
- categoria Del Paesaggio
Labirinti vegetali. D’acqua, legno e pietra
Il pattern squadrato o a spirale ricorda un serpente attorcigliato, i meandri del cervello e il cordone ombelicale. Da una torre o da una vista privilegiata è svelato l’intero disegno geometrico e come (almeno) un’uscita coincida con l’entrata. Si tratta del labirinto, parola che deriva dal greco labýrinthose ci rimanda, naturalmente, al mito di Cnosso. Ebbene, i labirinti, fatti d’acqua, pietra, legno o vegetali, non solo persistono da secoli come forma d’arte, dell’architettura e del paesaggio, ma sono anche un archetipo che accomuna civiltà e periodi storici lontanissimi.
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In alto: Labirinto Longleat, Wiltshire.
Il disegno intrigato dei labirinti e la loro riproposizione a diverse scale e materiali continua ad appassionare artisti, paesaggisti e visitatori di tutto il mondo.
Vi sono le barriere vegetali di tasso, potate, giorno dopo giorno, per fermare il tempo e rendere statico il disegno geometrico. Vi sono, ancora, i mosaici dei pavimenti e delle finestre delle chiese cristiane, la disposizione a spirale di pietre in remote isole o nel deserto, l’incisione nelle rocce preistoriche e le costruzioni giapponesi come giganteschi videogames 3d. D’erba, di pietre, d’acqua e di sabbia, il labirinto accompagna la storia dell’uomo, passando indenne per culture, epoche e diversi luoghi.
L’INTRIGO DEL LABIRINTO NEL TEMPO
“Perché vuoi combattere contro il labirinto? Assecondalo, per una volta. Non preoccuparti, lascia che sia la strada a decidere da sola il tuo percorso, e non il percorso a farti scegliere le strade. Impara a vagare, a vagabondare. Disorientati. Bighellona.
Tiziano Scarpa (In gita a Venezia con Tiziano Scarpa, 1998) invita i visitatori contemporanei allo smarrimento, affinché godano dell’intrigo e delle scelte sbagliate. L’aspetto fondamentale è il disorientamento, l’errare (erroneo) e quindi il piacere della ricerca, più che la soluzione.
Tuttavia, oltre l’aspetto ludico che accomuna i labirinti vegetali ed architettonici ad altre forme progettuali, è possibile ricercarne significati più profondi, partendo proprio dalle origini.L’archetipo accomuna il mito greco di Teseo e del Minotauro alla legenda di Iitoi nelle tribù indiane dell’Arizona, alle vergini danzanti della Scandinavia fino ad arrivare alla Land Art di Richard Long.
Diventa posto d’iniziazione dall’adolescenza alla maturità, oltre che immagine della penetrazione, fecondazione e nuova vita. Inoltre, rappresenta pienamente la condizione umana, come in qualsiasi situazione sia facile entrare e più complicato trovare una soluzione, che comunque comporta decisioni e differenti scelte.
D’ERBA, D’ACQUA, DI PIETRA E DI LEGNO…
Il labirinto verde ha conservato nel tempo la sua carica compositiva, funzionale e progettuale. L’arte topiaria, con la costante sottomissione della natura alle regole umane, porta ad una varietà di realizzazioni: muri vegetali sagomati, parterre di fiori e siepi basse, percorsi con statue, fontane e piccole torrette di avvistamento.
Il progetto originale e più comune segue il disegno classico del dedalo cretese, con sette anelli circolari ed ha un solo ingresso. Le successive evoluzioni geometriche porteranno a percorsi curvi, presenza di ponti, sempre maggiori dimensioni e nessuna simmetria.
Nel 1978 Greg Bright realizzanello Wiltshire il più lungo labirinto al mondo, nel parco della Longleat House, capolavoro elisabettiano dalla rigorosa squadratura e ripetizione degli elementi architettonici. Il tracciato vegetato è l’esatto contrario: non segue una griglia rettangolare e presenta una serie di giunzioni a spirale che accrescono la confusione e il disorientamento del visitatore. Dai sette ponti si può fruire del labirinto da varie altezze ed individuare la propria posizione.
In alto: Labirinto di Arkville, New York State.
Potrebbero essere scambiati per giochi da bambini, invece, i labirinti di pietra diffusi in Svezia, Norvegia e Finlandia e ripresi dagli artisti della Land Art. Conosciuti come Troiaburg (dalla città di Troia) ma anche come Jungfrudans (danza della vergine), sono costituiti da ciottoli disposti sul terreno, come percorsi a cielo aperto disposti vicino le coste.
Non si sa molto, sicuramente risalenti al periodo precristiano, erano spazi adibiti a danze ritualistiche legate alla pesca, alla morte e alla fertilità. Alcune legende narrano della fanciulla che volteggia al centro e di un giovane che, per conquistarla, dovrà raggiungerla percorrendo le spire del tracciato.
Alcuni labirinti di legno in Giappone, realizzati con pareti alte mobili o fisse, creano veri e propri percorsi–prigione. La grandezza e la possibilità di percorrerli su e giù, tridimensionalmente, sono dovute alla volontà di creare intrigati giochi di massa. La competitività e lo spirito nazionale solitario, in cui conta il risultato e il tempo, sono completamente agli antipodi dei labirinti vegetali, realizzati per perdersi e ritrovarsi in serenità e calma.
Altro esempio affascinante, realizzato con alti muri di mattoni, è il labirinto di Arkville, nel New York State, secondo il disegno di Michael Ayrton. Dalla vista aerea, come un’impronta gigantesca nel fitto bosco, è facile distinguere il tracciato poiché lo spessore delle pareti rosse è rimarcato di bianco.
In alto: Labirinto d’acqua a Bristol.
Invece, nella fontana di Bristol, il labirinto è formato dall’acqua con canali e percorsi di mattoni. Il disegno è ripreso dal soffitto della chiesa St. Mary Redcliffe: l’acqua parte dal centro e scorre negli undici anelli concentrici. Una foglia o un ramoscello posati su di essa, invitano alla meditazione. A piedi nudi, o con gli stivali di gomma, è possibile percorrere la parte piana o quella incisa.