Mobilità urbana sostenibile: quale futuro?

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Nella prima e seconda parte del tema dedicato alla mobilità urbana sostenibile abbiamo analizzato le limitazioni delle auto elettriche e lo stato dell’arte dell’auto elettrica. In questa terza e ultima parte passeremo brevemente in rassegna le diverse alternative sostenibili ai combustibili fossili per raggiungere il traguardo della mobilità urbana al 100% sostenibile.

I COMBUSTIBILI RINNOVABILI

La soluzione sostenibile più ovvia per conseguire una mobilità urbana davvero sostenibile consisterebbe nella semplice sostituzione dei combustibili fossili con combustibili rinnovabili come: il biometano, il bioetanolo, il biodiesel, il biobutanolo, i combustibili liquidi derivati da rifiuti ed il bioidrogeno.

Il biometano è già largamente utilizzato in Svezia ed dove il biogas grezzo viene acquistato e poi purificato per essere commercializzato come combustibile per autotrazione.

Il bioetanolo è da decenni la soluzione adottata in Brasile e Svezia, ma presenta una serie di problemi: richiede motori specificamente preparati per il suo consumo, tende ad assorbire acqua dall’umidità atmosferica, durante l’estate evapora molto più velocemente della benzina, causando maggior inquinamento atmosferico, e la sua sostenibilità dipende fortemente dalle politiche governative.
In Svezia il bioetanolo per autotrazione solo può essere prodotto da sostanze residue lignocellulosiche, le quali garantiscono il 100% di sostenibilità.
In Brasile, invece, da decadi assistiamo al perpetrarsi di uno scempio ambientale: estese zone di giungla pluviale vergine vengono rase al suolo per fare spazio alle piantagioni di canna da zucchero e soia. Nel 1988 la denuncia di questa piaga costò la vita all’attivista brasiliano Chico Mendes.

Il biodiesel è molto più semplice da produrre del bioetanolo, non richiede modifiche ai motori, e il suo potere calorifico è identico a quello del gasolio. Per contro, solo è possibile la sua produzione a partire da coltivazioni dedicate, con i problemi già segnalati in Brasile e anche in Indonesia e Africa, dove le foreste primigenie vengono tagliate per essere sostituite con piantagioni di palma oleifera. Il biodiesel al 100% sostenibile si può produrre solamente a partire da oli e grassi residui, ma purtroppo le quantità disponibili di questa materia prima sono esigue se comparate con la domanda.

In Portogallo non è consentito utilizzare meno dell’ 80% di olio residuo per la produzione di biodiesel, con il risultato che l’olio esausto da frittura ha raggiunto lo stesso prezzo dell’olio commestibile. Ad ogni modo, ci sono già esempi virtuosi come la McDonald’s USA, la quale ricicla il 100% dell’olio da frittura per produrre il biodiesel con il quale poi alimenta la propria flotta di camion.

In Italia questa tecnica di riciclaggio non viene purtroppo applicata su larga scala per via delle ingarbugliate normative e le diverse interpretazioni sulle accise da applicare o meno. La lobby dei produttori tedeschi di automobili ha pubblicamente osteggiato la diffusione del biodiesel, in quanto questo aumenta drasticamente la sua viscosità alle basse temperature, e perciò costringerebbe le case automobilistiche d’Oltralpe a modificare il sistema di iniezione.
Negli USA il Governo Bush obbligò i fabbricanti a prendere provvedimenti affinché fosse possibile aggiungere fino al 20% di biodiesel al gasolio, mentre la UE ha fortemente scoraggiato l’aggiunta di più del 5% di biodiesel al gasolio.

Ne beneficiano le compagnie petrolifere, in quanto l’aggiunta di meno del 5% di biodiesel consente loro di vendere il prodotto come “gasolio”, solitamente a prezzi più alti sotto qualche marchio di fantasia che includa “Plus”, in quanto la felice combinazione di un 97% di gasolio e di un 3% di biodiesel ha una serie di vantaggi per il motore. Essendo presente in una così bassa percentuale, il biodiesel passa ad essere considerato come un “additivo”, quindi le petroliere possono etichettare il gasolio appunto come “gasolio”, senza obbligo di dichiarare la sua composizione né incorrere nel reato di sofisticazione del carburante.

Il biobutanolo è un prodotto da fermentazione oscura, assieme al bioidrogeno e l’acetone. La tecnologia non è nuova: già durante la Prima Guerra Mondiale inglesi e americani producevano l’acetone necessario per la fabbricazione di esplosivi tramite la fermentazione di alghe.
Il processo Weizmann –dal nome dello scienziato ebreo–polacco, che fu anche il primo presidente dello Stato d’Israele– rende maggiore quantità di biobutanolo, ma utilizza granella di mais come substrato e quindi non si può considerare sostenibile. Negli USA sono in atto ricerche per adattare il processo Weizmann all’utilizzo di biomasse residue.

La depolimerizzazione termica della biomassa, specialmente quella di origine animale, rende un prodotto simile al greggio, che è possibile distillare per ottenere tre frazioni, del tutto compatibili con la benzina: il gasolio e le nafte pesanti. Il residuo è il biocoke che serve come combustibile per l’intero processo. Il TCP (Thermal Conversion Process) è un brevetto appartenente al MIT ed esiste già un impianto funzionante con i residui di un macello di tacchini. Esistono varianti proposte da diversi “inventori”, ma la complessità dell’impianto disegna un grande punto di domanda su questa soluzione.

Foto: Idrocarburo grezzo ottenuto tramite depolimerizzazione termica di rifiuti d’origine animale (sinistra) e biodiesel ottenuto da olio residuo di frittura (destra). Lo strato di colore ambra che si apprezza nel fondo di questo ultimo è il bioglicerolo, sottoprodotto della transesterificazione dei trigliceridi. Foto dell’Autore.

LIMITI E PREGIUDIZI SULLE AUTO ELETTRICHE

L’automobile elettrica, nonostante tutte le limitazioni che abbiamo spiegato, continua ad esercitare il suo fascino, anche se fra gli stessi ecologisti ha dei detrattori. Alcuni sostengono che i potenti campi magnetici causati dai motori elettrici e dagli inverterche li alimentano possano causare danni alla salute.
A nostro modesto avviso, questo argomento è poco difendibile in quanto i moderni motori e gli inverter sono dotati di robuste carcasse in alluminio, che hanno la funzione di dissipare il calore prodotto dai dispositivi e inoltre fungono da gabbie di Faraday, bloccando la propagazione dei campi elettromagnetici al di fuori dei dispositivi stessi.

Uno dei problemi ancora da risolvere è la carica delle batterie, con la tecnologia attuale dura diverse ore e limita la praticità di queste vetture, almeno per i viaggi lunghi. Un gruppo di ricercatori coreani dell’ Ulsan Institute of Science and Technology, sostiene di aver sviluppato un nuovo tipo di batteria capace di ricaricarsi in pochi secondi. Anche un gruppo del MIT sta lavorando su una linea di ricerca simile.

Il problema di questo tipo di batterie è di determinare le installazioni elettriche più idonee a generare gli impulsi di corrente necessari alla loro ricarica.
Che cosa succederebbe se volessimo caricare la batteria di una vettura simile alla Panda elettrica, la cui capacità di accumulo è pari a 19,2 kWh? Per ricaricare in 60 secondi una batteria con quella capacità, ci vorrebbe una potenza istantanea di 19,2 kWh * 3600 secondi/ora / 60 secondi = 1.152 kW (1,15 MW !).
In altri termini, oltre che le batterie speciali bisognerà disporre di caricatori speciali, capaci cioè di fornire impulsi d’intensità pari a 1.152 kW/ 220 V = 5,23 kA. Una possibile soluzione sarebbe di tenere in carica durante diverse ore dei supercapacitori, per poter poi ricaricare le batterie.

Alternativamente le batterie dovrebbero essere collegate a banchi di alta tensione per non dover maneggiare correnti elevate.
Il problema da risolvere non è tecnicamente banale e sicuramente ciò rende l’auto elettrica meno conveniente di quanto ci si aspetterebbe.

Auto a celle di combustibile

Un concetto che sembra unire i vantaggi delle auto elettriche ed il concetto di “riempire il serbatoio” al quale siamo tutti abituati, è quello delle auto a celle di combustibile. In questa tecnologia, il vettore energetico è l’idrogeno (idealmente prodotto da energie rinnovabili poco prevedibili quali l’eolico e le onde marine, per le quali sarebbe ottimo poter disporre di un sistema di immagazzinamento).

Le celle a combustibile consentono un’elevata efficienza di conversione dell’energia chimica dell’idrogeno in energia elettrica, superiore al 60% (quasi il doppio rispetto a quanto rende il carburante consumato in un veicolo convenzionale) e renderebbero fattibile la fabbricazione di veicoli con autonomie comparabili o superiori a quelle attualmente in commercio. Il fattore che ne limita la loro diffusione è la necessità di utilizzare materiali strategici come catalizzatori, quali platino e lantanidi.

Auto ad aria compressa

In fine, assistiamo ad un rinnovato interesse per le auto ad aria compressa. E non possiamo menzionare la limitazione principale di questa tecnologia: la sua scarsa densità energetica ed inefficienza globale del ciclo.

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Foto: Modello MiniFlowAir della casa lussemburghese MDI. In Francia e Germania, il bassissimo costo dell’energia elettrica notturna , dovuto all’elevata percentuale di nucleare nel mix nazionale, potrebbe far sì che le auto ad aria compressa, malgrado tutte le loro inefficienze e problemi, risultino attraenti per una fascia di consumatori. In Italia ci sembra poco probabile.

Solo per menzionare uno dei problemi dei motori di auto ad aria compressa nel modello Eolo il ghiaccio formatosi per via del raffreddamento del gas durante l’espansione nel motore, blocca il funzionamento.

Mario Rosato

Mario Rosato Ingegnere

La sua passione sono le soluzioni soft tech per lo sviluppo sostenibile, possibilmente costruite con materiale da riciclaggio. Un progetto per quando andrà in pensione: costruire un'imbarcazione a propulsione eolica capace di andare più veloce del vento in ogni direzione.