Ricostruire tra le rovine: il futuro dell’architettura perduta di Gaza

Progetto di ricostruzione della striscia di Gaza dello IUAV

La Striscia di Gaza, crocevia di civiltà per millenni, ha visto il suo patrimonio architettonico devastato da decenni di conflitti. I recenti bombardamenti hanno definitivamente sfigurato il volto della Striscia di Gaza, causando danni estesi ancora impossibili da stimare con esattezza.

Secondo l'UNESCO, almeno 75 siti storici sono stati distrutti o danneggiati, tra cui il monastero di Tell Umm Amer, la Moschea Al-Omari e il forte mamelucco di Qalaat Barquq. Anche edifici moderni, come il Parlamento di Gaza, sono stati abbattuti.

La Moschea Omar, prima di essere distrutta dai bombardamentiLa Moschea Omar, prima di essere distrutta dai bombardamenti

Prima ancora di pensare alla ricostruzione vera e propria è essenziale ripristinare la funzionalità delle reti elettriche, idriche e fognarie, l'operatività di ospedali e scuole, e la disponibilità di strutture di accoglienza.

Questa devastazione prende il nome di "urbicidio", un termine che sottolinea la distruzione sistematica del tessuto urbano. Le conseguenze di questo urbicidio avranno un impatto profondo sui tempi e sulle risorse necessarie per ripristinare le condizioni minime di abitabilità.

Per quanto riguarda l'architettura civile, le stime indicano che già a inizio anno il 66% degli edifici residenziali è stato danneggiato o distrutto. Questo dato, destinato a crescere, ha dato tristemente origine al neologismo "domicidio", per descrivere la distruzione massiva delle abitazioni.

Queste perdite non riguardano solo la struttura fisica, ma anche la memoria collettiva e l'identità culturale della comunità gazawi.

Un "Cubo di Rubik" senza precedenti

La ricostruzione di Gaza si prospetta come una sfida di portata monumentale ed è stata definita dagli studiosi come un "Cubo di Rubik" in perenne movimento. Le immagini aeree e quelle fornite dai droni rivelano infatti una realtà sconvolgente: non c'è spazio fisico tra gli edifici distrutti per avviare operazioni di stabilizzazione in sicurezza. Anche con l'intervento delle più efficienti aziende di demolizione e costruzione a livello globale, lavorare in un contesto simile appare un rebus irrisolvibile.

La complessità deriva dal fatto che, mentre le macchine opereranno in una zona, sarà necessario allestire alloggi temporanei altrove. Successivamente, i residenti dovranno essere spostati per consentire nuove costruzioni in quel sito. Questo creerà un patchwork in costante evoluzione: un cantiere accanto a un'area bonificata, adiacente a un piazzale di sosta per la demolizione, affiancato da alloggi temporanei per i residenti di Gaza, e poi ancora da alloggi per i lavoratori edili, scuole e ospedali.

Questa dinamica di spostamenti continui e di riorganizzazione spaziale non sarà solo un'impresa logistica senza precedenti, ma anche una fonte di trauma costante per la popolazione. Alle ferite della guerra si aggiungeranno quelle causate dai decenni di sfollamento interno, con la loro inevitabile e iniqua distribuzione di ricchezza e potere. Un impatto profondo che durerà per molte generazioni a seguire.

I progetti di ricostruzione

La ricostruzione di Gaza è ancora un'idea lontana, date le immense difficoltà attuali. Piani dettagliati sono difficili da elaborare in questa fase. Sebbene siano state proposte visioni future, il dibattito si concentra sull'idea di "Build Back Better". Questo concetto promuove l'introduzione di fonti energetiche sostenibili, l'uso di cemento a basse emissioni e il ripristino di tecniche di costruzione locali, come la terra cruda, senza però perdere l’identità.

Architects for Gaza

Gli architetti palestinesi, tra cui il collettivo Architects for Gaza, chiedono a gran voce un processo di pianificazione partecipato, che non sia imposto dall'alto dai paesi donatori, ma sviluppato e guidato dalle forze e dalle energie locali. Questo collettivo ha già offerto supporto educativo agli studenti di architettura rimasti senza accesso ai propri corsi universitari. La speranza è che questi studenti possano un giorno agire come mediatori tra le esigenze della popolazione e una volontà politica orientata alla resilienza, sia nell'architettura che nell'economia della ricostruzione, aiutando Gaza a riscattarsi.

"Object of Repair": l’identità nelle macerie

Tra i progetti di ricostruzione spicca il progetto "Object of Repair", sviluppato dall’architetta palestinese Yara Sharif, che propone una strategia innovativa per la ricostruzione di Gaza attraverso il riutilizzo delle macerie derivanti dai conflitti per creare nuove strutture. Questo progetto, che ha ottenuto una menzione speciale dalla giuria internazionale alla Biennale di Architettura di Venezia, si propone di recuperare non solo i materiali, ma anche la memoria urbana e sociale contenuta nelle rovine. Le macerie sono considerate intrinsecamente legate all'identità di Gaza, portando con sé le tracce della vita e della storia delle persone.

"Objects of repair" il progetto innovativo di ricostruzione di Gaza esposto alla Biennale di Venezia"Objects of repair" il progetto innovativo di ricostruzione di Gaza esposto alla Biennale di Venezia

La popolazione di Gaza ha una lunga storia di riciclo di macerie e calcestruzzo frantumato per la ricostruzione, spinta dalla necessità e dalla scarsità di risorse. Materiali comuni come barre di ferro, calcestruzzo frantumato, argilla, sabbia e lamiere ondulate vengono riutilizzati, evidenziando l'ingegno e la capacità di sopravvivenza dei Gazawi, piuttosto che una condizione di sconfitta.

Il Progetto Italiano dello IUAV

Anche l’Italia si sta impegnando attivamente nel difficile compito di ricostruire Gaza, attraverso la collaborazione dello IUAV di Venezia con le Nazioni Unite. La sfida è enorme, e il tempo è un fattore critico, poiché milioni di sfollati necessitano urgentemente di un alloggio. Le immagini aeree mostrano una devastazione quasi totale.

Il rischio, secondo gli accademici italiani, è di procedere con un ordine canonico che ritarderebbe eccessivamente la ricostruzione. Anche solo la rimozione delle macerie richiederà anni, forse decenni. È fondamentale agire rapidamente per prevenire ulteriori recrudescenze, poiché anche "da una buona ricostruzione passano le chance di pace".

I contatti dello IUAV con le Nazioni Unite sono già consolidati grazie a precedenti collaborazioni in contesti di ricostruzione come l'Iraq, la Siria e l'Ucraina. L'università vanta inoltre un'esperienza "quasi centenaria" nella ri-progettazione di spazi urbani colpiti da conflitti o calamità naturali.

Lo IUAV propone una strategia radicalmente diversa rispetto ai modelli di ricostruzione del passato, che spesso seguivano l'approccio del Piano Marshall. Questo metodo, che procede per strati (prima tutte le strade, poi tutte le scuole, ecc.), risulterebbe però inadeguato nel contesto attuale: non avrebbe senso avere le aule se poi manca la corrente per illuminarle (come già avvenuto in Iraq).

Il metodo "top-down" è in crisi perché i conflitti sono diventati più asimmetrici, con confini incerti tra vittoria e sconfitta. Lo IUAV propone quindi un approccio "bottom-up" (immagine di copertina), che parte dal basso: piccoli prestiti, piccole imprese di costruzione, e la ricostruzione cellula per cellula. L'idea è infatti quella di riallocare quindicimila persone alla volta, con strade, gas e scuole, in un processo che ottimizza il lavoro e genera emulazione.

La speranza è che il conflitto termini presto, e che la ricostruzione, qualunque sarà la strategia adottata, aiuti a portare un po’ di speranza nella vita degli abitanti di Gaza.

Silvia Paldino

Silvia Paldino Ingegnere Civile

Ingegnere calabrese, di adozione romana, lavora nel settore energetico. E’ autrice di articoli scientifici, diari segreti e innumerevoli filastrocche. Nella sua borsa non può mai mancare: un taccuino per prendere appunti. Nella sua testa non può mai mancare: la pianificazione del prossimo viaggio.