Il suolo italiano: una risorsa da tutelare

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Il nostro suolo è una risorsa da tutelare, un bene comune che non può e non deve essere sperperato. Il suolo è, di fatto, una risorsa naturale limitata e non rinnovabile, che svolge molte delle funzioni legate all’approvvigionamento dei nostri fabbisogni primari: dalla produzione di prodotti alimentari e delle biomasse, alla regolazione del clima, fino al supporto fisico e chimico per decomposizione e mineralizzazione della materiaorganica. Il suolo viene non solo utilizzato dall’uomo per attività agricole, zootecniche, ma anche per la costruzione di edifici e infrastrutture. L’aumento costante di tali aree destinate ad attività antropiche, rispetto a quelle lasciate in stato naturale, è definito “consumo del suolo”.

Consumo di suolo: cause e soluzioni

L’ESPANSIONE URBANA

Le nostre città hanno visto modificare il proprio aspetto negli ultimi anni. Le periferie sono divenute aree sempre più urbanizzate e il confine tra città e aree naturali è sempre meno definito: le vaste aree in cui la distinzione tra città e campagna non è più netta costituiscono delle aree semi–naturali. Questa trasformazione ha comportato una crescente perdita di superfici agricole e naturali, oltre alla trasformazione irreversibile di aree ad alto valore ambientale e di risorse da tutelare.

L’urbanizzazione ha comportato un’accelerazione del processo di impermeabilizzazione del suolo. La copertura permanente del suolo con materiali come asfalto e calcestruzzo genera un processo irreversibile di morte di tutti i microrganismi, che rendono “vivo” il suolo.

L’impermeabilizzazione rappresenta un fenomeno preoccupante
per il suolo italiano: aumenta il rischio concreto di inondazioni, contribuisce al riscaldamento globale e rischia di rendere inutilizzabili ettari di terreni, un tempo fertili, e aree naturali e seminaturali, compromettendone la loro naturale funzionalità.
Il consumo del suolo non è dunque una problematica legata esclusivamente al paesaggio, bene comune, ma in scala molto più ampia, alla vita.

IL RAPPORTO ISPRA, IL CONSUMO DEL SUOLO IN ITALIA

Nei primi mesi del 2014, l’ISPRA, l’Istituto Superiore per la Protezione e Ricerca Ambientale, ha redatto un rapporto sul consumo del suolo nazionale.
In Italia il quadro della situazione è allarmante e desolante: negli ultimi 4 anni è stato consumata una superficie di suolo di 720 kmq, passando da 21.000 kmqdel 2009 a quasi 22.000 kmq del 2012. Una superficie pari all’estensione territoriale dei comuni di Milano, Firenze, Bologna, Napoli e Palermo sono stati mangiati dal cemento tra il 2008 e il 2012; del nostro territorio ben il 7,3% è ormai stato coperto da colate di cemento.

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Il Rapporto ISPRA descrive l’andamento del consumo del suolo in Italia dal 1956 al 2012, mostrando il rapido aumento degli ettari consumati nel corso dei decenni, passando dal 2,9% di suolo consumato negli anni 50, ai 7,3% del 2012. Questa crescita vertiginosa di cemento versato non è causato esclusivamente dalla crescita demografica (negli anni 50 si impiegavano 178 metri quadrai di suolo per ogni abitante, nel 2012 si sfiorano i 370 metri quadrati per abitante), ma è dovuto a scelte economiche, politiche, mosse da una Italia che stenta ancora a scrollarsi di dosso la sua decennale “cultura del mattone”.

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I dati presentati dal Rapporto dell’ISPRA rappresentano un’immagine dell’Italia preoccupante, che, nonostante la crisi dell’edilizia e del mercato immobiliare, continua a consumare irreversibilmente suolo.
L’auspicio è che ci sia finalmente un’inversione di tendenza e si cominci ad investire su quello che è il nostro patrimonio edilizio esistente, favorendo la rigenerazione urbana, tutelando il territorio e gli spazi urbani esistenti, in chiave finalmente sostenibile.

Lucia Pacitto

Lucia Pacitto Architetto

Architetto per passione, ha iniziato a scrivere per colmare l’irrefrenabile bisogno di raccontare quello che l’architettura e la natura insieme riescono a fare. Nel tempo libero adora gironzolare con la sua Nikon tra i vicoli di Bologna, dove vive, per rubare qualche scatto.