- scritto da Giulia Radaelli
- categoria Progetti
Il destino controverso della Tangenziale Est di Roma. Demolitori VS conservatori
Gli incontri delle ultime settimane sul tema della Politiche Comunitarie all’interno del Comune di Roma hanno enfatizzato il dibattito sulla Tangenziale Est della capitale: un’infrastruttura obsoleta che corre da Batteria Nomentana fino alla nuova Stazione Tiburtina. La disputa è alimentata da due posizioni diametralmente opposte: “demolitori” VS “conservatori”: i primi aspirano alla dismissione totale della sopraelevata e conseguente costruzione di un parco lineare dotato di pista ciclabile e posti auto, i secondi propongono un recupero dell’opera non per forma, bensì per “processo”.
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GLI “AMICI DEL MOSTRO”
In realtà, a parità di costi stimati per circa 9 milioni di euro, si tratta di una vera e propria questione ideologica: demolire quello che molti dei cittadini del quartiere San Lorenzo definiscono “il mostro” non rappresenta la soluzione del problema, ma la perdita di un’immagine che mezzo secolo fa ha avvicinato Roma alle grandi città francesi ed americane, di un’identità forte seppur inquietante per i rumori, lo smog e il degrado che da anni attanagliano i quartieri Prenestino e San Lorenzo, problema facilmente superabile privando l’infrastruttura della sua funzione di “autostrada urbana”.
Le iniziative di recupero della Tangenziale Est sono iniziate quasi contemporaneamente a quelle della più famosa High Line di New York, operazione andata rapidamente a buon fine grazie ad un profondo coinvolgimento della popolazione ed alla parallela ed immediata operazione economica che ha permesso di far innamorare tutti non semplicemente di un progetto, ma di un’idea, di uno stile di vita, dei benefici economici, ecologici, fisici e sociali ad essa connessi, che ha consentito, in pochi anni, di attivare un processo paesaggistico che, ad oggi, consente ai cittadini di vivere la natura “in quota” all’interno di un ex ferrovia dismessa.
Seppur con ritardo, proprio come gli “Amici dell’High Line” sono nati gli “Amici del Mostro” di Roma: movimenti dal basso che si impegna attivamente per evitare l’abbattimento dell’ infrastruttura in disuso, promuovendone al contrario, la valorizzazione.
L’ECO–BOULEVARD DI GRENON:UN’ARCHITETTURA “PER PROCESSO”
In questo contesto si inserisce il progetto “Agricoltura urbana in Tangenziale. Coltiviamo la città”, presentato dall’architetto norvegese Nathalie Grenon, partner dello Studio Sartogo Architetti Associati, ispirato al modello dell’High Line ma con una vocazione del parco, come evidente dal nome dello stesso, fortemente agricola prevedendo, oltre che percorsi pedonali e ciclabili, skate park e bike sharing, una rete di orti urbani, vigneti, frutteti e perfino un mercato rionale a km0 per la vendita dei prodotti coltivati in loco, il tutto gestito dai cittadini stessi, così coinvolti in prima persona nel governo e nella manutenzione del verde pubblico.
Un importante nastro verde di 1700m ecologico, sociale e autosufficiente, merito di una progettazione sensibile a forme di energia pulita quali il fotovoltaico, la raccolta delle acque piovane ed alla fitodepurazione.
Un progetto che mira ad innescare un processo di trasformazione ambientale in grado di cambiare il futuro dei quartieri da esso attraversati, nella consapevolezza che il paesaggio rappresenta un elemento fondamentale per il benessere individuale e sociale, inibito in luoghi trascurati e degradati; una manifestazione della presa di coscienza dello stretto legame insito tra paesaggio e cultura per cui il futuro del primo è fortemente influenzato dalle esperienze che, oggi, decidiamo di promuovere e, viceversa, il nostro futuro dipenderà dai contesti che saremo portati ad abitare o, meglio ancora, che contribuiremo a “costruire”.
È ormai chiara la necessità di investire sugli spazi pubblici come efficace strategia di rigenerazione urbana ma, tale possibilità, deve portare in sé la consapevolezza di dover ridistribuire un bene comune per troppi decenni sacrificato ad un selvaggio uso del suolo volto all’esclusivo tornaconto economico degli “edificatori”, che non ha portato altro che cementificazione e degrado paesistico–ambientale; ridare il “paesaggio sottratto” significa ridistribuire bellezza, benessere, biodiversità, integrazione, coesione sociale all’interno di quartieri così resi maggiormente attraenti, sostenibili e sani.
L’eco–boulevard di Grenon non risponde semplicemente a queste esigenze, ma si indirizza verso una direzione ormai a livello globale ritenuta vincente: quella dell’economia locale nei suoi risvolti di ampio respiro, dell’“Agricivismo”, delle attività agricole in ambito urbano, in grado di produrre, riqualificare spazi, paesaggio e ambiente, di recuperare tradizioni, di stimolare la solidarietà, il senso comunitario.
“Nuovi e diversi paesaggio nasceranno allora per ospitare, forse, nuovi uomini” (Silvia mantovani in “Le 8 R del paesaggio” ).