Restauri sostenibili: l’Auditorium nell’Ex Oratorio di San Filippo Neri a Bologna

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Il tema dell’inserimento dell’architettura contemporanea nei contesti consolidati è tra i più dibattuti degli ultimi decenni. Spesso si risolve in un’arida polemica tra due opposti orientamenti, al vincolo e alla trasformazione, sempre in bilico tra una cultura della conservazione passiva e paralizzante che evita l’atto creativo e una cultura della progettazione spregiudicata, incolta e a tratti arrogante. Un esempio di come superare questa diatriba è fornita dall’intervento di restauro dell’Auditorium di Bologna ospitato nell’ex oratorio di San Filippo Neri, che rientra nella categoria dei cosiddetti restauri sostenibili.

Podrecca è convinto che “Quello di cui oggi sentiamo il bisogno è di infermieri, più che di star: curare il mondo, i luoghi, dargli significato, lavorando in un contesto attraverso la poetica dell’ascolto.” Proprio questa poetica dell’ascolto – di cui autorevole portavoce è Giovanni Carbonara – “che assume la conoscenza e l’appropriazione dell’architettura storica quali stimoli colti alla progettazione” (Armillotta), avvalora l’esperienza di restauro che Pierluigi Cervellati compie nell’Ex Oratorio di Bologna.

L’architetto parte dalla conoscenza profonda del manufatto, della sua storia, delle sue vicende costruttive, dei materiali, delle tecniche e delle tecnologie impiegati, per restituire l’edificio alla città dopo decenni di abbandono. Complesse sono le vicende che hanno portato l’ex oratorio di San Filippo Neri alle condizioni di degrado in cui versava prima dell’intervento: risalente al Settecento, l’oratorio è opera di Alfonso Torreggiani.

Dopo numerose interruzioni, l’attività dell’oratorio chiude definitivamente nel 1866 e da quel momento l’edificio sarà destinato ad un improprio utilizzo militare. Gli effetti del restauro del 1904 saranno vanificati da un bombardamento del 1944 che distruggerà l’abside e la parete destra dell’edificio, causando il crollo della cupola, delle volte a botte e a vela adiacenti e di buona parte della copertura.
Quattro anni dopo, il Soprintendente Barbacci inizia le operazioni di restauro che prevedono il rifacimento del tetto con capriate lignee, l’eliminazione delle porzioni murarie instabili, la rimozione della pavimentazione e la sostituzione delle colonne distrutte con sostegni in cemento armato. L’interruzione del cantiere precedentemente alla conclusione dei lavori, il successivo abbandono e l’uso come autorimessa e magazzino, determineranno la rovina definitiva del manufatto.

Riconoscendo il valore delle diverse fasi storiche che hanno informato le stratificazioni dell’edificio, Cervellati interviene nel tentativo di ricucire con profonda consapevolezza il rapporto tra intervento e preesistenza.
Attraverso l’impiego del legno, riesce a perseguire l’obiettivo dell’integrazione dell’immagine complessiva degli spazi, senza per questo eliminare alcuna fase del manufatto, compresi gli effetti del restauro post–bellico. Proprio per l’impiego del materiale legno, questo restauro è stato da alcuni annoverato in quella categoria concettuale che va sotto il nome di restauri leggeri, con un chiaro richiamo non solo alla leggerezza visiva, propria delle architetture lignee, ma anche e soprattutto alla leggerezza dell’intervento, tutt’altro che invasivo, oseremmo dire quasi sostenibile.

Il legno è il materiale del cantiere storico per eccellenza, secondo Armillotta “capace di stemperare la frattura temporale tra intervento e preesistenza e di assumere un ruolo prioritario nel dialogo tra antico e contemporaneo.”
Le doti del legno come materiale estremamente compatibile con il cantiere di restauro
sono numerose: appunto la leggerezza, la resistenza meccanica, la facile lavorabilità, l’adattabilità sul piano cromatico grazie alla possibilità di scelta nel ricco panorama di essenze esistenti, e non ultima la reversibilità che porta con sé la possibilità di posa in opera di tecnologie a secco.

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Nel nuovo Auditorium, una struttura in legno di centine portanti e listelli ridefinisce la sagoma originaria delle volte distrutte, la cupola dell’abside e le volte a botte e a vela, integrando la struttura portante in mattoni, consolidata con le solite fasciature in carbonio e i tradizionali tiranti in acciaio. Così l’architetto riesce a ricomporre magistralmente l’unità figurativa perduta con la sola forza evocatrice del materiale ligneo, a partire dalle sue qualità formali e concettuali. Il legno sembra così assecondare armoniosamente il percorso di invecchiamento della fabbrica e inserirsi pacatamente all’interno del testo antico, dandogli nuovo significato.

Il risultato raggiunto dall’architetto bolognese nell’Ex Oratorio, inaugurerà una lunga serie di sperimentazioni più o meno riuscite sull’uso del legno in chiave contemporanea, non solo in Italia, ma anche in Europa e nel mondo, che varranno a questo materiale fascinoso il riconoscimento come elemento adatto ad essere impiegato non solo nelle nuove costruzioni, ma anche nei restauri dell’edilizia storica e monumentale.

Barbara Brunetti

Barbara Brunetti Architetto

Architetto e dottoranda in Restauro, viaggia tra la Puglia e la Romagna in bilico tra due passioni: la ricerca accademica e la libera professione. Nel tempo libero si dedica alla lettura, alla grafica 3d, e agli affetti più cari. Il suo sogno nel cassetto è costruire per sé una piccola casa green in cui vivere circondata dalla natura.