- scritto da Barbara Brunetti
- categoria Innovativi
Fotovoltaico dai capelli umani: la bufala del giovane studente nepalese
Milan Karki, 18 anni. Il nome di questo giovane studente nepalese è associato ad una scoperta che, nata come esperimento scolastico, se commercializzata potrebbe affiancare foglie e frutti di bosco alle fonti più originali per la produzione di energia rinnovabile. Questa volta si tratta di capelli umani. Non solo dal MIT dunque derivano le scoperte più sensazionali sulle energie del futuro, anche i paesi più poveri possono contribuirea salvare il pianeta, a dimostrazione che non sempre strumentazioni sofisticate e costose sono necessarie a nuove scoperte, in alcuni casi basta inventiva, mista a determinazione e ad un pizzico di creatività. Ce lo dimostra la storia di questo giovane inventore.
Lo studente di Kathmandu ha ceduto alle suggestioni del libro del fisico Stephen Hawking sull’energia elettrostatica dei capelli, ricchi di melanina, la proteina responsabile della loro colorazione, e che, grazie alla sua sensibilità alla luce, agirebbe come semiconduttore, ruolo oggi affidato al costoso silicio nei tradizionali pannelli fotovoltaici. “Inizialmente volevo fornire elettricità alla mia casa, poi ho pensato al mio villaggio. Ora penso al mondo intero”.
In Nepal, uno dei paesi più poveri del mondo, numerosi villaggi rurali non hanno accesso all’energia, molti altri invece ne usufruiscono per sole 16 ore al giorno. Il pannello che produce 18 W di energia è costato 23 dollari, può ricaricare un cellulare o delle batterie capaci di fornire luce durante un’intera serata. “Sto cercando di produrre un prodotto commerciale e di distribuirlo in zona. Ne abbiamo già inviati un paio fuori dalla regione per testarne la fattibilità, ma se fossero prodotti in massa potrebbero essere venduti a meno della metà di quel prezzo, che potrebbe diventare un quarto del prezzo dei pannelli attualmente in commercio sul mercato e della stessa potenza”.
Mezzo Kg di capelli costa 16 paisa (100 paisa =1 rupia nepalese = 0,0125 euro) e produce energia per qualche mese, mentre una scatola di batterie costa 50p e dura poche notti. Milan cominciò la sua ricerca quando da ragazzino viveva a Khotang, un piccolo paese del Nepal più remoto, completamente sfornito di energia elettrica. La gente del villaggio era inizialmente scettica verso la sua scoperta: “Credevano nella superstizione, e non alla scienza. Adesso invece, hanno cambiato idea”.
Che bella storia, vero? Forse troppo bella per essere vera. La notizia è stata riportata su Wired, Gizmodo, Geek.com, persino The New York Times e il Daily Mail hanno pubblicato la storia senza battere ciglio. Ma con altrettanta facilità si scopre da molti blogs e magazines, soprattutto di stampo green, che la storia non è altro che una colossale bufala.
Capofila dei detrattori della scoperta, Edward Craig Hyatt, Phd in “Materiali organici per il fotovoltaico”, sostiene che alla base di questo clamoroso misunderstanding vi sia la natura dell’elettricità statica e dell’effetto fotovoltaico, due fenomeni completamente dissimili ma erroneamente associati. Il progetto del pannello solare a base di capelli umani è basato sull’errata interpretazione dei risultati preliminari di alcune ricerche, scovate sulla rete dal giovane team nepalese: Milan Karki ha dichiarato erroneamente che i capelli umani fungono da conduttori e generano un voltaggio quando esposti alla luce solare, ignorando che la melanina non può essere elettricamente attiva perché la cheratina funge da isolante. Lo studente sembra dedurre che, poiché i capelli possono trattenere una carica elettrostatica, in qualche modo contengano anche elettricità che può essere estratta. Inoltre poiché la melanina purificata si comporta come un semiconduttore, va da sé che essa possa sostituire il silicio nelle celle fotovoltaiche sottoforma di capelli: mentre è vero che la melanina è un buon conduttore, non lo si può dire con la stessa facilità per i capelli umani. Dalle immagini e fotografie che popolano il web, pare in buona sostanza che lo studente abbia creato una cella “demo” (che tutti gli studenti del mondo potrebbero creare in laboratorio), e che aggiungendovi il fattore ”capelli” abbia abbindolato un reporter naif e poco informato, contribuendo alla diffusione indiscriminata della notizia sul web. Come tutte le bugie convincenti, c’è abbastanza verosimiglianza da far sembrare la notizia plausibile agli occhi di un pubblico poco esperto.
Il ricercatore statunitense si domanda perché storie come questa vadano in stampa senza essere verificate. La risposta è che le nuove agenzie sono fortemente incentivate a sfornare notizie d’effetto ed in breve tempo, perché è questo ciò che il pubblico chiede. Rischiando il loro lavoro, i reporters spesso sono costretti a lesinare sulla veridicità dei fatti.
Di primo acchito, la storia è attraente e accende l’immaginazione. Alla gente comune piace l’idea dell’inventore sconosciuto che è lontano dalla società globale e dal prestigioso mondo scientifico. Tutti ci auspichiamo che le popolazioni più povere possano avvalersi di soluzioni low–tech e fai–da–te per risolvere l’annoso problema dell’energia. L’idea di usare i capelli umani, come tanti altri tipi di riserve potenzialmente inesauribili, crea la percezione che tutto ciò che è “organico” sia destinato ad essere migliore di tutto ciò che è “industriale”, ma non è sempre così. Si pensi al silicone, ad esempio, che pur essendo un composto inorganico, è a base di silicio, elemento che si trova in natura nelle sabbie, nel quarzo, nelle rocce, ed è l’elemento più comune al mondo costituendo il 26% della superficie terrestre.
Thomas Edison, il più grande inventore di tutti i tempi, ci ricorda che "Genius is one percent inspiration and 99 percent perspiration” (il genio è 1% ispirazione e 99% sudore). Teniamolo bene a mente prima di caldeggiare la tesi che le soluzione ai problemi siano sempre le più semplici. La strada per salvare il pianeta è tutta in salita e noi non siamo che all’inizio.