Social scapes: paesaggi condivisi e a basso costo

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La crisi economica che da anni pesa sulla nostra quotidianità ha portato a profonde riflessioni sul modello di vita dal dopoguerra fino ad oggi: con sempre maggior forza si reclama uno stile di vita più “slow” ed economico. Oltre che come soluzione necessaria, il “low cost” può essere riletto in chiave positiva e creativa anche a livello urbano, allontanandoci dal pregiudizio che sia necessariamente connesso alla bassa qualità e allo scarso comfort. Gli spazi pubblici possono diventare social scapes con interventi a basso costo per la condivisione di nuovi paesaggi urbani.

Riciclare lo spazio: i vuoti urbani come materiale di riuso

Possiamo focalizzare l’attenzione invece, sulle differenti qualità che la progettazione a basso costo può offrire: interventi contenuti, sia dal punto di vista economico che per gli impatti sull’intorno, possono innescare processi importanti per reinventare e rigenerare il paesaggio, creare social scapes, con modalità differenti da quelle canoniche della progettazione “milionaria” da Archistar.

NUOVE MODALITÀ DI PROGETTAZIONE E GESTIONE URBANA

È ormai un dato di fatto il ruolo centrale che gli spazi pubblici assumono nei processi di rigenerazione urbana ma spesso questi, per evolvere dalla fase ideativa a quella esecutiva, necessitano di anni, se non decenni: per tale ragione risulta necessario affiancare a tali pianificazioni strategiche degli interventi di minore entità, semi fertili per il futuro, linee guida di processi più profondi e articolati, materializzazione anticipata dei benefici futuri.

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Molti progetti di questo tipo dimostrano di avere un costo molto basso, spesso volgendo a loro favore le opportunità che le tecnologie, in particolar modo internet, ci offrono. Scelta coerente in un mondo “globale”, dove le diversità, le ricchezze e le molteplicità locali sono “connesse” reciprocamente, dove il concetto di agorà si trasla dalla strada e dalla piazza ai social network e ai blog, divenuti importanti luoghi di incontro, dibattito e scambio di idee; internet ha ridefinito luoghi alternativi, ai tradizionali, “fisici” e in piena “crisi d’uso” spazi pubblici, per le relazioni sociali: possiamo, invertendo il processo, sfruttarlo per riappropriarci dei luoghi e rivitalizzare gli spazi pubblici, dal momento che è già ampiamente dimostrato come, nella rete, si stiano sperimentando efficienti modelli di gestione comunitaria e collettiva.

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I “paesaggi della rete”

Lo spazio pubblico è ormai ibrido, fortemente influenzato dal digitale, pur non essendo arrivati ad una definizione di caratteristiche, qualità e modalità di tale “mixitè” che, ad ogni modo, consente di dare ai luoghi fisici un carattere più aperto, mutevole, sensibile dal momento che internet, aprendo alla conoscenza e alla partecipazione esterna mondi prima celati, consente una maggiore facilità nella partecipazione e gestione urbana, grazie ad una maggior conoscenza e facilità di azione nella condivisione di desideri, esigenze, scelte e decisioni.

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L’informazione “ubiqua” della popolazione in rete fa si che la comunità si esprima, si auto organizzi, sperimenti nuove forme di strutturazione per la gestione degli spazi pubblici, più condivise, libere e “decentralizzate”. Con queste modalità lo spazio pubblico può mutare, con più facilità in spazio comune, realizzando luoghi relazionali, flessibili, condivisi, migliorando gli spazi attraverso l’intervento diretto dei fruitori.

PROGETTI PARTITI “DAL BASSO”

Numerosi sono gli esempi di progetti partiti dal “basso”, pensati e promossi da un tessuto sociale attivo, che condivide la necessità di trasformare gli spazi in cui vive, motivati dalle proprie necessità, insoddisfazioni ed inquietudini e dall’inefficienza della gestione pubblica.

Detroit, città in “contrazione”

Il caso Detroit, esempio di Shrinking City per antonomasia: dopo aver perso più del 51% della popolazione a causa del decentramento dell’industria e conseguente abbandono di edifici, infrastrutture, enfatizzato dalle demolizioni legalizzate dal Detroit Vacant Land Survey e “legittimate” degli incendi dolosi, a nulla sono serviti i tentativi di “riciclo istituzionali” in quanto basati su un semplice cambio di destinazione d’uso; sta invece emergendo come processo rivitalizzante quello del riuso di aree abbandonate mediante iniziative partite dal basso.

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Nello specifico, decenni di “urbanistica della cancellazione” avevano portato ad una grandissima quantità di vacant lots; seguirono tentativi, anch’essi decennali, di “rivitalizzazione” della città mediante progetti di teatri, stadi sportivi, casinò e altri luoghi di intrattenimento, ma la popolazione, non soddisfatta di tale “riciclo” continuava ad abbandonare la città, sempre più “contratta”.

La persistente necessità di ritrovare un “ordine” sociale e spaziale, e il “ritorno” del paesaggio nelle aree abbandonate ed in disuso ha suggerito, negli ultimi anni, nuove sperimentazioni “urbane”, materializzatesi soprattutto in istallazioni artistiche e movimenti di agricoltura urbana nati, proposti e organizzati dai cittadini stessi, riunitisi e confrontatisi grazie alla rete.

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Il Vacant Lot Place du Geant

Altro esempio di esperienze sensibili all’intorno, nell’accezione più generale del termine, è quella attuata per volontà di una rete organizzata di cittadini del vacant lot francese Place du Géant, a Saint–Étienne (Francia), che ha dato vita ad una manifestazione culturale per occupare e trasformare spazi urbani abbandonati: gli stessi cittadini sono stati chiamati ad esprimere la loro creatività, ad immaginare il potenziale di questi spazi, i loro diversi usi possibili.

Giulia Radaelli

Giulia Radaelli Architetto

Innamorata dello spazio nel senso più lato del termine coniuga questa passione con la professione di architetto. Nel tempo libero si diletta con la fotografia, per cogliere l’inusuale nella quotidianità trascurata dall’occhio distratto, con viaggi e immergendosi in romanzi capaci di condurre in realtà lontane.