Farmers’ Market: viaggi sensoriali alla riscoperta del rapporto terra-tavola

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La dilagante crescita dei Farmers’ Market è, ad oggi, un consolidato dato di fatto. Numerosi sono i progetti a conferma del tornato in auge rapporto “terra–tavola”: dalle iniziative “ufficiali” come l’apertura di unufficio dedicato ai Farmers’ Market di Roma Capitale per la promozione di mercati a km0, filiere corte, valorizzazione dei prodotti tipici dell’agro romano, ai portali web quali“Il mercato del contadino”che mirano non solo a facilitare la ricerca dei prodotti agricoli a km 0 ma ancor prima a favorirel’incontro produttori–consumatorimediante l’utilizzo di tecnologie quali mappe interattive e geolocalizzazione. O ancora la stipula, a Modena, del primo regolamento per i mercati agricoli a km0 che sancisce come principi fondamentali quelli della qualità, dell’etica e della trasparenza.

Community market: Kengo Kuma ed il mercato sostenibile dal forte valore simbolico

Non è neanche difficile trovare una vasta casistica di esperienze di farmers’ market consolidate a livello internazionale, come quelle dei “Mercati della Terra” che hanno preso vita da una ricerca effettuata, nel 2006, da studenti del Master in “Food Culture” dell’Università di Scienze Gastronomiche con l’iniziale e ben fermo obiettivo di non creare mercati qualunque, ma un vero e proprio progetto basato su un’idea multidisciplinare di cibo quale non semplice fattore di nutrimento o piacere ma concentrazione di storia, cultura, identità, salute, futuro.

È da questa assunto iniziale che nasce il desiderio di una “new economy” che contrasti il modello di sviluppo globale (e tutti i suoi limiti in termini di spreco e danni all’ ambiente), verso uno basato sull’ibridazione di concetti quali cibo–agricoltura–cultura, che riesca a garantire sostentamento attraverso la valorizzazione di ecosistemi e cultura locali, mettendo in pratica l’idea di un’economia conviviale e solidale.

È in questo modo che nascono i “Mercati della Terra” (numerosissimi in Italia ma anche in città estere quali Beirut, Bucarest, Parndorf, Riga, Tel Aviv, Tripoli), creando una rete internazionale di mercati contadini in grado di avvicinare la terra alla tavola, il produttore al consumatore, seguendo i principi di “slow food” del “buono” (fresco, di stagione, salutare e gustoso), “pulito” (prodotto localmente, con processi di produzione sostenibili per l’ambiente, rifiutando gli OGM), e “giusto” (prezzi accessibili per il consumatore, giusto compenso e condizioni di lavoro per i produttori).

Dunque luoghi di incontro, gestiti collettivamente per far presentare direttamente dagli agricoltori i propri prodotti di qualità ai possibili acquirenti, al prezzo giusto, preservando la cultura alimentare locale con un occhio di riguardo all’ambiente al fine di risparmiare energia, produrre “meno” rifiuti mediante l’utilizzo di materiali biodegradabili e la cura per uno smaltimento corretto, la riduzione di imballaggi conseguente ai minori passaggi intermedi tra produttore e consumatore.
Con tale iniziativa non solo si chiarifica l’uso del concetto di “mercato contadino”, ma si supera quello di consumatore passivo, trasformato in tal modo in co–produttore, piú informato e consapevole, parte attiva del processo produttivo.

TORINO E GENOVA: DUE ESEMPI DI MERCATI DEL CONTADINO

Innumerevoli sono le motivazioni a favore del “km 0”, da quelle di interesse “globale”, quali una maggiore sostenibilità conseguente ai ridotti “food miles”, imballaggi e allestimenti, alle piú personali, quali un miglior rapporto qualità–prezzo, prodotti biologici da portare in tavola piú freschi perchè di stagione per cui privi di conservanti, acquisti “trasparenti”, la riscoperta dei profumi e dei colori della stagionalità, del crescere “secondo natura” e infine, ultima ma non certo per importanza, lo sviluppo di un’economia “di relazione”, che favorisca forme di conoscenza e comunicazione, un legame tra consumatori e produttori che raccontano le specialità, la loro qualità, la dignità del lavoro che ne è alla base.

Nonostante gli evidenti benefici derivanti da questa tipologia di acquisti più consapevoli, diffusi sono i mercati contadini che solo in 1/2 giorni a settimana occupano gli spazi pubblici urbani, ma rari i casi di quelli stabili.

Torino: il Mercato di Porta Palazzo

A Torino, nella centralissima Piazza Repubblica, 6 giorni su 7 prende forma il piú grande mercato a cielo aperto d’ Europa, quello di Porta Palazzo, punto di incontro di genti e culture gastronomiche cuore di una città grande e “affamata”, vivace, travolgente, in grado di conquistare i sensi con la sua rapsodia di suoni, colori, odori, varietà co–culturali e far conoscere la regione e le sue specialità stagionali.

All’interno di questo grande mercato, costituito da tre padiglioni e da piú di 1000 banchi all’aperto trova posto il mercato dei contadini, interamente dedicato ai prodotti coltivati nel territorio piemontese, con i suoi produttori che mettono le loro conoscenze e creatività a servizio dei consumatori, in gare di disposizioni per forme, colori e varietà, seducendo i clienti attraverso il cibo.

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Genova: il Mercato del Carmine

A Genova, in data 11 ottobre, è stato inaugurato il primo mercato rionale a km 0, pensato non solo come punto di convergenza dei migliori prodotti degli orti liguri ma come una “piazza nella piazza”, centro di aggregazione per i cittadini e attrazione turistica in grado di manifestare la cultura del luogo.

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In questo caso la sostenibilità è a 360 gradi: non solo i prodotti commercializzati, freschi e di stagione, provengono interamente da aree che non distano piú di 40 km dal Comune di Genova, ma la stessa struttura che ospita il mercato è una riqualificazione, su progetto di giovani architetti anch’essi “locali”, all’insegna dello “smart”, ossia caratterizzata dal riuso della preesistenza liberty, da bassi consumi e dall’utilizzo intelligente degli spazi.

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Storicamente la Zona del Carmine ha da sempre avuto una vocazione agricola e fu oggetto di una prima trasformazione urbanistica solo nel XIV secolo, con la costruzione delle prime case per commercianti e, di conseguenza, dei suoi primi “carruggi”.

Tra la fine dell’800 e i primi decenni del ’900 venne progettata la nuova immagine urbana di Genova e, nell’ambito di questi interventi, trovò posto la realizzazione di strutture non residenziali con le nuove tecnologie del ferro–vetro; è così che nasce il mercato in questione, materializzazione di una tipologia strutturale che troverà in quegli anni grande fortuna per la sua economicità dovuta prevalentemente alla standardizzazione, alla smontabilità, dunque facile trasporto e riuso in zone diverse del contesto urbano.

Il punto di partenza per la riqualificazione del mercato risultava dunque quello di una struttura pregevole, ben integrata nell’urbanizzato circostante, per cui si è potuto ben ragionare non solo sul recupero architettonico ma anche sulla fruizione, sul rapporto mercato–ambiente circostante, con l’obiettivo di integrare i meri fini commerciali, insiti nel concetto stesso di mercato, con quelli di espressione culturale, di selezione di prodotti di qualità; una riciclo che, mirando non semplicemente al riuso ma a dare nuovi valori, un nuovo ciclo di vita, potesse portare a definire un “modello” di eccellenza, di sostenibilità e di grande appeal per il turismo culturale della città.

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Con tali presupposti è stata attivata la riqualificazione del Mercato del Carmine, finalmente restituito, dopo quasi 30 ani di “abbandono”, al quartiere e a Genova, utilizzato per vendere e acquistare prodotti liguri di qualità, per comunicare la multiculturalità di una città che ha fatto della “contaminazione” la sua risorsa principale, un “luogo dove incontrarsi, confrontarsi, imparare, divertirsi, attraverso ciò che di buono oggi il mondo può offrirci”, come riassumono i progettisti che di dono occupati dell’intervento.

Questi sono solo alcuni esempi di come il mercato, mediante un’organizzazione basata su una filosofia che dia la priorità non al guadagno immediato bensì alla promozione di uno sviluppo economico locale (permettendo alle piccole imprese di creare filiere indipendenti dai sistemi industriale e di grande distribuzione), alla preservazione della cultura alimentare del luogo, della biodiversità “tecnica” e colturale, all’insegna della riscoperta del territorio e delle sue identità, di un vero legame mondo urbano–agricolo, possa tornare ad essere uno spazio umano–urbano, capace di coniugare tradizione e innovazione, costruendo sulla memoria i mutamenti auspicabili e necessari per il futuro.

 

Giulia Radaelli

Giulia Radaelli Architetto

Innamorata dello spazio nel senso più lato del termine coniuga questa passione con la professione di architetto. Nel tempo libero si diletta con la fotografia, per cogliere l’inusuale nella quotidianità trascurata dall’occhio distratto, con viaggi e immergendosi in romanzi capaci di condurre in realtà lontane.