- scritto da Alberto Grieco
- categoria Curiosità ecosostenibili
C’era una volta la Civiltà Sostenibile. Novella utopica natalizia (ma anche no)
C’era una volta, tanti e tanti anni fa, una Civiltà Sostenibile. L’emblema di questa civiltà era la sua architettura, e la sua capitale, Città degli Alberi, ne era la massima espressione. Tutti i suoi edifici, dalle case ai teatri, dalle scuole agli ospedali, non solo non sprecavano energia, ma ne producevano più del loro stesso fabbisogno. I suoi abitanti non andavano in giro a targhe alterne con l’ansia da pm10, ma prosperavano tranquilli esereni perché in città si respirava il profumo degli alberi, numerosissimi e ben curati. Non di parcheggi e centri commerciali era costellata la città, ma di giardini, frutteti e orti. Ci si sfidava continuamente in città a chi avesse la casa più efficiente e sostenibile, in un crescendo di idee innovative volte all’efficienza energetica e alla riduzione degli sprechi.
E fu così che le vecchie case colabrodo furono rimesse a nuovo, i recuperi erano all’ordine del giorno, e questa trasformazione fu tale che le piccole e medie imprese così come gli artigiani non sapevano più dove mettere i clienti dacché erano troppi. Non c’era però la piena occupazione: alcuni stavano così bene che non avevano necessità di cercarsi un lavoro, il che non significa che fossero inattivi e pigri. Si davano da fare per gli altri per il gusto di farlo, in modo disinteressato, per dare una mano ed essere utili. Le risorse locali erano valorizzate, le bellezze territoriali preservate, il paesaggio salvaguardato e il cibo prodotto a km 0: com’erano lontani i tempi assurdi in cui si importavano alimenti da altri continenti! In città inoltre, quelli che non erano affiliati ad un GAS erano solo quelli che non ne avevano bisogno perché i loro orti di quartiere gratuiti erano già più che sufficienti; i negozi si scambiavano gli SCEC o adottavano sistemi come la moneta locale alternativa, l’economia era solidale e permeava tutti i livelli. Tutti erano felici di come andavano le cose: tra i cittadini si scommetteva scherzosamente su chi quel mese avrebbe ricevuto una bolletta con segno positivo, anziché come da norma, avere tra le mani la solita cifra negativa che indicava che i soldi li avrebbero dovuti ricevere anziché dare. Per acquistare una casa era ormai necessario aprire una partita IVA.
Un giorno però, i sacerdoti del Tempio del PIL si accorsero con raccapriccio che i conti non tornavano, e il Ministro del Consumo cominciò a preoccuparsi sul serio: non lo si era mai visto così torvo e scuro in volto. Come mai stava diminuendo il PIL? Era colpa di quella rivoluzione culturale che ormai aveva contagiato le persone di ogni continente? Come mai non ce ne siamo accorti per tempo? – si chiedeva, arroventandosi le meningi. Ma ormai era chiaro a tutti: la Sostenibilità era diventata controproducente, si era provato a imbrigliarla in molti modi, si era provato a specularci sopra, si era provato a rilanciare nucleare e carbone, si erano dirottati miliardi dalle rinnovabili ai combustibili fossili, si era ostacolato il settore delle rinnovabili, privatizzato i beni comuni…eppure niente da fare. Le persone non solo non compravano più la costosissima energia dai monopolisti fintocapitalisti, ma al contrario avevano iniziato a scambiarsi tra loro la propria energia autoprodotta a basso costo. Le città erano una rete energetica intelligente e libera, il gestore della rete energetica e il cittadino coincidevano nella stessa persona: l’energia era diventata un bene comune. Le centrali a carbone e gli inceneritori erano chiusi da anni, non c’era più nulla da bruciare, si trattava di sistemi antieconomici e primitivi, oltreché dannosi. I creditori del governo però, che avevano investito tutto in quella direzione, si stavano spazientendo: c’era un intero sistema economico che si reggeva sul cemento, sul petrolio e sull’incenerimento e la rivoluzione verde della Civiltà Sostenibile non poteva mandare tutto all’aria. Bisognava fermarla immediatamente, magari per legge, tanto ormai tutto era consentito al Partito Unico che era andato al potere dopo anni di laborioso golpe al rallentatore (cit), e non si sarebbero certo arresi proprio adesso. A colpi di emergenze finanziarie, finalmente il piano per cancellare i diritti raddoppiando i doveri, ovvero la definitiva sottomissione della Democrazia al nuovo e tetro Dio Mercato era perfettamente riuscito. E ora questo dio esigeva “sacrifici” (ma solo dai più deboli).
Si, era evidente cos’era successo: dopo la fase iniziale di crescita del PIL, finalmente in rialzo grazie agli investimenti che comportava l’architettura sostenibile nelle sue fasi iniziali, le cose avevano cominciato a volgere male per il Sacro Indice che tutto determina. Costruire/ristrutturare allo scopo di ottenere, ad esempio, un edificio di classe A, comportava costi iniziali indubbiamente più elevati di edifici energeticamente inefficienti, ma in seconda battuta il conseguente risparmio e l’autosufficienza energetica avevano compromesso i consumi di elettricità, gas e carburanti, portando ad un decremento del PIL. Il benessere delle persone però cresceva, ed era destinato a crescere ancora, peccato però non ci fosse alcun indice di borsa che fosse in grado di misurarlo. E questo non andava bene. Gli interessi economici del vecchio mondo che stava scomparendo erano ancora enormi, e non sarebbero caduti senza prima dare un clamoroso colpo di coda. Fu così che i libri di storia vennero loro in aiuto: essi mostravano loro che nel passato c’era chi questi affari riusciva a farli benissimo, nonostante le iniziative dei tanti che chiedevano uno sviluppo economico diverso. Bastava dunque limitarsi a copiare alcune di quelle idee eccellenti per far crescere il PIL. Alcune di esse avevano fatto scuola negli anni a venire, come ad esempio quella di inventarsi una scusa ridicola come una Expo dell’800 per affidare appalti agli amici della ‘ndrangheta in cambio di voti sicuri, oppure ignorare per decenni fabbriche pericolose come quell’acciaieria di Taranto nonostante pagine e pagine di studi medici e indagini della Procura della Repubblica, difendendo i profitti dei responsabili del disastro anziché la salute dei cittadini; oppure la storia di quella città rasa al suolo in occasione di un terremoto (ma non per colpa del terremoto)in cui un imprenditore se la rideva beato mentre tutti gli altri piangevano, perché sapeva bene che il suo portafogli sarebbe presto lievitato, al pari del PIL.
Come andò a finire? Nessuno lo sa. Perché questa storia non ha un finale, non le serve. Ha però una morale, come tutte le storie natalizie che si rispettino, che serve a mettere in prospettiva le cose. Il mondo era diviso in due emisferi, non geografici ma culturali. La rivoluzione della sostenibilità stava cambiando la società, ma non il vecchio monoblocco politico–affaristico–mafioso, che avvinghiato in un mortifero abbraccio, se ne stava chiuso nei palazzi del potere, lontano dalla realtà e protetto da mura insonorizzate e da un alone di intoccabilità. Da una parte c’erano quelli che cercavano “forse con un po’ di presunzione di cambiare il mondo” (cit), e dall’altra quelli che avendo degli interessi da difendere perseveravano nel sorreggere l’insostenibile status quo opponendosi al montare della marea, dimenticandosi però di essere già con l’acqua alla gola (a ben guardare però non era affatto acqua, ma arrivava al collo comunque). Eppure entrambi erano sulla stessa barca. E quando si è sulla stessa barca e si rema in due direzioni opposte non si va da nessuna parte, ma si resta in balia delle onde. Sarà una sfida dove vincerà chi rema più forte, o a chi butterà prima in acqua l’altro.
Ora però facciamoci gli auguri. Ne abbiamo bisogno.