- scritto da Lenny Schiaretti
- categoria Curiosità ecosostenibili
Al Caffè dell’Architetto. Incontriamo Gianni Terenzi
Architetto e Comunicatore green. Ideatore, autore e conduttore dei Format TV “S.O.S.tenibilità” (Premio Aretè di Confindustria 2009) e “La Mia BioCasa”, prodotti da RAI Educational e Ministero dell’Ambiente. Scrive per la rivista BRAVACASA, su temi di bioarchitettura e risparmio energetico. Esperto in materiali edili naturali e circolari; creatore della “Materioteca Green” per studio MCA di Mario Cucinella; ideatore dei format “iCasaGreen” e “CircularItaly” per Ecomondo. Progettista di asili nido bio e residenze nZEB.
Socio fondatore Associazione ARCHINZEBe Consulente Tecnico per l’Efficienza Energetica per l’Ordine Architetti Roma e consigliere nazionale dell’AIVEP per il verde pensile.
In copertina: Gianni risponde all'ultima domanda dell'intervista
Lenny: Ordiniamo il nostro caffè? Come lo prendi? Macchiato, americano, ristretto, …?
Gianni: Marocchino perché in parte mi rappresenta, è tutta una questione di “strati” ben visibili attraverso la tazzina che deve essere assolutamente trasparente…anche se poi mescolo tutto per assaporare tutti i gusti insieme, un po’ come faccio nella mia attività.
L.:Ci racconti la tua giornata tipo?
G: Magari esistesse una giornata tipo. Posso stare in cantiere o in riunione o in uffici comunali o al T’studio, oppure a girare video per il Canale YouTube, a montarli o a far conferenze o a scrivere o semplicemente ad inventarmi lavoro ogni giorno, perché in realtà io non sono un Architetto, io sono un Architutto!
L.: Sei impegnato su molti fronti. Riesci comunque ad avere del tempo libero e come lo passi?
G.:Con i miei T’Twins di 9 anni Laila e Mattia, la cosa più bella che mi è riuscita da “creativo” e appena posso scappo in teatro che per me è come una seconda casa, oppure indosso la maglia numero 9 della mia squadra di calcio i T’Boys, metto gli scarpini e cerco ancora di buttar la palla dentro.
L.: Qual è la parte che ti piace meno del tuo lavoro?
G.: La parte burocratica e la contrattazione economica…dovrei avere un agente.
L.: E quale invece quella che ti piace di più?
G.: Il primo incontro con il cliente, la scelta degli “ingredienti della ricetta” che caratterizzeranno il progetto, dei materiali che avvolgeranno la vita del committente, la fase creativa, la condivisione dell’idea, “la posa dell’ultima pietra”e la chiusura del sipario, ma soprattutto la festa di inaugurazione!
L.: Da dove è nata la tua passione per l’architettura?
G.: Non credo sia una passione ma un modo di essere, il modo in cui gli occhi percepiscono l’intorno e le forme, gli spazi e le relazioni, il modo in cui il cervello seleziona e razionalizza, il modo in cui il corpo percepisce il rapporto con quello che lo circonda. Vengo dal teatro e sono stato attore e scenografo per cui la percezione degli spazi e la relazione tra la scala umana e il progettato la conosco da sempre. La passione per i materiali naturali e per il costruire “green” è invece venuta dopo.
L.: Per i tuoi progetti, hai degli architetti ai quali ti ispiri?
G.: I committenti, i reali utilizzatori della casa. Sono i migliori architetti a cui ispirarsi, io cerco poi di diventare un sarto, tento di vestire i loro desideri e le loro aspettative di forme ma soprattutto di “contenuti” e di materiali naturali. Inoltre, grazie ad esperienze fatte nel mondo della televisione, ho avuto la fortuna di stare in giro per il mondo accanto a Renzo Piano, Balkrishna Doshi, Paolo Soleri, Arata Isozaki, Paulo Mendes, Thomas Herzog ed infine Mario Cucinella, maestri che sono stati un’impagabile fonte d’ispirazione.
L.: Da dove nasce la tua sensibilità verso la bioedilizia che non solo è alla base dei tuoi progetti ma è da te promossa tramite varie iniziative, tra le quali voglio ricordare i format tv “S.O.S.tenibilità” e “La Mia BioCasa” o il recente canale Youtube “ArchituttoTerenzi in green”?
G.: La bioedilizia o bioarchitettura non esiste, esiste il buon costruire, l’Architettura con la “A” maiuscola o l’Edilizia con la “E” maiuscola. Ho fatto mia una frase da teatrante di Peter Brook “ogni spettacolo incontra un suo spazio e ha bisogno di un suo luogo”, trasformandola in “ogni edificio incontra un suo spazio e ha bisogno di un suo luogo” che, a mio avviso, spiega esattamente cosa debba fare un progettista prima di iniziare a progettare: studiare il luogo, il suo intorno e le relazioni con l’ambiente naturale per poi pensare ai migliori ingredienti della “ricetta”.
Il design e la creazione degli spazi vengono subito dopo. Anche qui è un modo di essere, forse anche di aver capito che il cambiamento nel modo di progettare e costruire è già in essere e il cambio di paradigma per i tecnici e le imprese è assolutamente necessario. Non è solamente una questione di normativa nZEBo di Kw/h e di efficientamento energetico, ma proprio di qualità dell’abitare, di abitare e vivere sano, creando il minor impatto possibile sull’ambiente, avendo come obiettivo il comfort abitativo interno e la qualità dei materiali utilizzati che non devono necessariamente derivare dalla petrolchimica.
La responsabilità di raccontare questo cambiamento in essere, avendo gli strumenti del “narratore”, grazie al mio passato sulle scene e in tv, mi ha sempre spinto a comunicare il “green” al più ampio pubblico possibile, nella maniera più coinvolgente e riconoscibile. Finisco quasi sempre i miei video con questa domanda/provocazione: "…e voi continuate a costruire in maniera “tradizionale”!"
L.: Nel 2008, a Legnano, nell’area bonificata di una ex fonderia, hai progettato e realizzato il Papaverino blu, il primo esempio in Italia di Asilo sostenibile e domotico. Poi, nel 2011, hai progettato, “l’Asilo dei piccoli”, nella corte di Palazzo San Giacomo a Napoli, utilizzando solo materiali naturali.
Progetti innovativi e ambiziosi, specialmente in Italia, un paesespesso dormiente e resiliente verso tutto ciò che è “altro” o diverso. Quali sono state le scelte architettoniche fondamentali per raggiungere un impatto zero e quale è stata la risposta dei committenti e dei genitori dei bambini?
G.:In questi casi le scelte fondamentali sono state pensate per essere utili non solo all’edificio e al suo efficientamento ma soprattutto a chi sarebbe stato protagonista di quegli spazi.
La completa riqualificazione degli ambienti ha voluto unire obiettivi pedagogici, architettonici e di sostenibilità ambientale: sono stati quindi utilizzati materiali esclusivamente naturali sia per la componente edilizia sia per la scelta delle finiture e per gli arredi. Tutte le superfici destinate a venire a contatto con i bambini sono state realizzate con materie prime vegetali e minerali, totalmente esenti da solventi petrolchimici, resine acriliche e viniliche. Si è così contribuito a creare degli ambienti sani e confortevoli e con un minore impatto ambientale rispetto a strutture analoghe di tipo tradizionale.
Comunicare poi queste scelte è stato alla base di un percorso di sensibilizzazione e di crescita per tutti, dalla committenza, all’impresa e alle maestranze fino agli utenti finali.Ma ricorderei anche le prime residenze nel Lazio da me progettate e realizzate con il biomattone in calce e canapa che è diventato anche un cantiere aperto per gli architetti dell’Ordine di Roma.
L.: Prima abbiamo citato il tuo canale Youtube “Architutto in green”. Un progetto di comunicazione e informazione dove protagonista è l’architettura sostenibile. I vantaggi dell’approccio “green” all’architettura sono evidenti ma la bioedilizia fatica a diventare prassi e viene considerata da buona parte degli addetti ai lavori, da molta clientela ma anche da tanti professori nelle facoltà di architettura, come una eccezione. Cosa sta impedendo che le costruzioni più rispettose dell’ambiente ma anche della nostra salute diventino la norma e non l’eccezione?
G.: Credo proprio che tutta la filiera debba essere informata, formata e sensibilizzata. Se il mio committente non è informato su questi temi io architetto posso proporgli tante cose ma lui mi chiederà sempre “quanto costa?” e cosi anche le imprese quando gli propongo, ad esempio, di utilizzare il biomattone in calce e canapa (che ho utilizzato per la prima volta nel Lazio per due residenze nzeb a Zagarolo, un materiale per tamponamento che combina proprietà di isolamento, traspirabilità e massa termica) invece di una stratigrafia tradizionale, la prima domanda è “quanto costa?” e la seconda “mai usato, così aumentano i costi delle ore/uomo”,invece è assolutamente il contrario! Per non parlare poi dell’inquinamento indoor utilizzando materiali tradizionali o di quanto i materiali naturali e certificati aiutino il comfort ambientale. Per gli architetti tutto questo dovrebbe essere una grande chance. L’obiettivo del mio modo di comunicare questi argomenti a tutti, utilizzando anche le tecniche dello storytelling e della narrazione, è proprio quello di far arrivare tali informazioni al più vasto pubblico possibile e non solo in modo prettamente didattico, il più delle volte noioso e senza appeal.
L.: C’è stato un libro che ti ha influenzato o accompagnato nella professione?
G.: “Dalla Caverna alla casa ecologica – storia del comfort e dell’energia” del Prof. Federico Butera e il “De Architettura” di Vitruvio che è sempre nel comodino accanto al letto.
L.: Quali sono gli strumenti che porti sempre con te nella borsa?
G.: Matita, Moleskine, iPhone, iPad, Mac, stabilizzatore per riprese, microfoni.
L.: Adesso facciamo un gioco. Ti dirò cinque aggettivi e ti chiedo di rispondermi con ciò che ti viene in mente in relazione all’architettura.
Anacronistico
G.: Il progettare e costruire in maniera tradizionale
L.: Ambizioso
G.: Avere la possibilità di poter scendere di scala fino al dettaglio potendo utilizzare materiali edili, arredi e componenti green fino ai tessuti e ai prodotti per la pulizia della casa e magari anche il vestiario e il cibo (per l’inaugurazione almeno!).
L.: Gioioso
G.: Entrare in un cantiere dove sono stati utilizzati materiali edili naturali e circolari e percepire dai volti dei committenti la sorpresa che anche in quel momento c’è già aria di salubrità e bellezza.
L.: Sostenibile
G.: L’architettura e l’edilizia come dovrebbero essere pensate e realizzate…sempre.
L.: Inutile
G.: Ideare edifici dal design accattivante e poi attaccarsi alle macchine per riscaldarlo e raffrescarlo, oppure pensare di costruire edifici sostenibili solo perché si sono messi pannelli solari o fotovoltaici o isolanti provenienti dalla petrolchimica, oppure scegliere materiali edili senza conoscere il loro ciclo di vita o l’impatto sull’ambiente.
L.: Ora stesso gioco ma con 5 colori.
Nero
G.: Il look total black di alcune archistar.
L.: Giallo
G.: Facile, il sole, la radiazione e l’energia prodotta.
- L.: Blu
- G.: Il gilet dell’ "ArchituttoTerenzi in green" (questa troppo autoreferenziale).
L.: Grigio
G.: La muffa insalubre interna e quindi l’utilizzo di materiali naturali traspirabili per far si che l’umidità generata all’interno superi la barriera dell’involucro edilizio senza condensare.
L.: Verde
G.: Un tetto verde magari idroponico.
(Mi piace chiudere questi caffè sempre con un’immagine un po’ ironica, una foto con un’espressione giocosa di noi stessi).
L.: Che ne pensi di tutti gli architetti che ritengono la bioedilizia non abbia alcun senso?
G.: …gli direi di seguire il canale YouTube “ArchituttoTerenzi in Green”, di iscriversi e di utlizzarlo per dire ai propri clienti che "…si può fareee!!!"
Crediti fotografie: Gianni Terenzi