Al Caffè dell’Architetto. Incontriamo Martina Tempestini

L'intervista a Martina Tempestini per la rubrica Al caffè dell'architetto

Martina Tempestini si laurea a Firenze nel 2008, dove lavora per Anna Conti Architetture e collabora con diversi gruppi estemporanei di progettazione. Si trasferisce a Melbourne nel 2011, dove ad oggi si occupa di scuole, edifici per la comunità e di culto. Sta ancora cercando di capire dove sta il Nord in questo continente.

In copertina: Martina Tempestini risponde all'ultima domanda dell'intervista.

Lenny. Beviamo un caffè? Come lo prendi? Macchiato, americano, ristretto, …?
Martina. Doppio espresso, senza zucchero.

L. Ci racconti la tua giornata tipo?
M. La mia giornata tipo varia da stagione a stagione e a seconda del tipo e fase del progetto a cui sto lavorando. In certi periodi sono così attiva da svegliarmi alle 5:30, andare in bici fino alla scuola di yoga e poi a lavoro. Generalmente passo la maggior parte della giornata in studio, tra progettazione, meeting con i vari consulenti e con i clienti, a meno che il progetto non sia in cantiere. Nel mezzo della giornata lavorativa cerco di ritagliarmi una mezz’ora per un caffè con qualche amico o amica che lavora in zona, se è estate vado al parco davanti allo studio.

L. Cosa fai dopo il lavoro?
M. Vado a correre quando posso. Spesso io e mio marito andiamo a concerti sia di musica classica che di altri generi. Quando fa freddo e piove guardiamo un film in un angolo della casa adibito a bike workshop-sala di ascolto-projection room. Venerdì è d’obbligo il pub dietro lo studio con i colleghi. Cerco di leggere un’oretta prima di addormentarmi, preferibilmente testi in italiano.

L. Qual è la parte che ti piace meno del tuo lavoro?
M. Ricevere pressioni al fine di scendere troppo velocemente a compromessi che distruggono l’integrità progettuale di un lavoro. Alcuni architetti mettono da parte troppo velocemente il processo critico che dovrebbe distinguerci proprio in quanto architetti. Credo che alla fine alcuni di noi siano più architetti pensatori, altri invece sono più costruttori che architetti, ma questo scontro dialettico può portare a una sintesi vincente se le parti sono ben bilanciate.

L. e quale quella che ti piace di più?
M. Mi piace il clima di collaborazione che si crea intorno a certi progetti. Sai che si sta andando nella giusta direzione quando si realizza quella unione di forze ed intelletti tra le parti coinvolte che si manifesta a fine progetto in un risultato migliore di quello che avevi sperato.

L. Ci racconti da dove è nata la tua passione per l’architettura?
M. Credo sia nata quando la mia passione per il disegno, espressa e coltivata fin da piccola, ha incontrato quella per le materie filosofiche e socio-economiche, scoperta negli ultimi anni del liceo durante le lezioni di filosofia, storia e letteratura. La scoperta dell’architettura come sintesi tra poiesis e techne e la comprensione di quanto sia principalmente un atto politico mi ha catturata. Ritengo che l’architettura possa liberare l’uomo che ne fruisce o lo possa rendere schiavo e prigioniero di certi comportamenti.

L. Quali sono gli architetti che prediligi, fonte di ispirazione per i tuoi lavori?
M. Tra i grandi defunti, Gropius e Scarpa sicuramente. Gropius non solo per quello che ha progettato, ma soprattutto per la sua attività teorica e didattica. Rappresenta per me l’ideale di architetto di grandi vedute e di spirito umile, che si è dedicato al rimescolare, riorganizzare, creare le basi per un nuovo modo di progettare e collaborare tra architetti. Scarpa per la misura, armonia, poesia. Elemental-Araven invece perché alcuni progetti ci riportano alla dimensione umana politica e sociologica dell’architettura. Mi piacciono molti italiani: Zermani, Tamassociati, ma anche i giovanissimi di Orizzontale sono grande fonte di ispirazione per l’approccio di basso profilo eppure estremamente impegnato ed efficace anche nei progetti più piccoli. MVRDV, critici, anticonvenzionali ma in modo intelligente.

L. Sei stata uno dei principali progettisti per la ristrutturazione e ampliamento della chiesa Our lady of good counsel Deepdene a Melbourne. Un luogo di silenzio, riflessione ma anche aggregazione per i cittadini dove ti sei anche confrontata con l’opera dell’artista australiano Matthew Harding, autore dell’altare. Puoi parlarcene?
M. Negli ultimi decenni c’è sempre più la volontà di creare un senso di aggregazione e partecipazione dei fedeli intorno al luogo di celebrazione del rito religioso (santuario).
Purtroppo talvolta il ricercare il senso di comunità in questo paese (l’Australia, ndr) sfocia in un’architettura fin troppo domestica che mal si sposa con la natura “sublime” dei luoghi di preghiera: chiese con moquette a terra e cucinotti per la preparazione del the vicino all’ingresso sono fin troppo comuni quaggiù e possono trasformare spazi, che tu giustamente definisci di silenzio, in caos totale, visivo e spirituale. In questo progetto la committenza ha voluto che creassimo un luogo che abbracciasse la comunità, che fosse facilmente utilizzabile dai ragazzini della scuola adiacente per il catechismo e la messa mattutina, ma dove allo stesso tempo fosse dominante il senso di calma, ordine, bellezza, semplicità necessarie alla ricerca spirituale. La collaborazione con Matt Harding è stata fondamentale in questo senso. Abbiamo avuto numerose occasioni di incontro e riunione e dalla sua idea originale per il pontile-tramezzo abbiamo sviluppato il santuario, l’altare e collocato gli altri elementi. Anche le sedie dei fedeli, che di fatto sono delle sedie-panche, incernierate tra di loro e provviste di inginocchiatoi, sono state appositamente disegnate da noi affinché permettessero una disposizione della comunità in semi-cerchio attorno al santuario.

la chiesa Our lady of good counsel Deepdene a Melbourne dell'architetto Martina Tempestini

L'esterno della chiesa Our Lady di Martina Tempestini

L'area centrale della chiesa progettata da Martina Tempestini

L. A gennaio 2018 sarà inaugurato il campus studentesco Tarneit west primary school a Melbourne a cui tu hai collaborato come designer. Un progetto dal budget limitato ma caratterizzato da scelte progettuali sostenibili e intelligenti. Il ridotto budget è stato un fattore limitante nell’orientare il progetto verso un approccio sostenibile?
M. Fin dall’inizio Sandy Law (direttrice dello studio Law Architects, dove lavora Martina, ndr) ha voluto che l’orientamento degli edifici e il paesaggio fossero gli elementi generatori del progetto e che cercassimo di progettare “passivamente” il più possibile, visto che appunto il budget non dava possibilità di includere alcun tipo di impianto meccanico sofisticato per il controllo climatico degli ambienti (abbiamo potuto provvedere solo all’impianto di riscaldamento). Ci sono decine e decine di esempi di edifici per l’educazione che, nonostante le risorse limitatissime, grazie ad un approccio progettuale appropriato, hanno ottenuto risultati molto positivi e credo che Tarneit sia uno di questi. A mio parere, sono i tempi di progettazione talvolta ridotti oltre il possibile più che il budget limitato che possono influire negativamente sui risultati finali di un progetto.

L. Dopo le prime esperienze professionali a Firenze nello studio di Anna Conti, ti sei trasferita a Melbourne, dove vivi e lavori da più di sei anni. Puoi raccontarci le principali differenze professionali che hai riscontrato e se ce ne sono state, le difficoltà che hai dovuto affrontare?

M. Lo studio di Anna Conti, dove ho lavorato per oltre tre anni, è una dimensione più unica che rara anche in Italia, e io le devo davvero moltissimo. Anna incarna l’ideale dell’architetto-pensatore e visionario. Nel suo studio la maggior parte delle forze erano rivolte alla ricerca e collaborazione con varie università, e anche nei progetti per cosi dire più tradizionali l’approccio progettuale di Anna era sempre fuori dagli schemi, e lo dico con accezione positiva.
A Melbourne ho cominciato lavorando nell’edilizia residenziale ad alta densità, appartamenti insomma, ma non è stata un’esperienza che ricordo con piacere. Di per sé questo tipo di progettazione residenziale mi ha sempre interessato fortemente, pensando che fosse dove si decide il fallimento o la buona riuscita delle città contemporanea. Purtroppo la realtà è che qui in Victoria negli ultimi 20 anni non c’è stata una progettazione dell’alta densità che si possa definire tale, nonostante si sia costruito tantissimo. Gli architetti in questo campo sono alla merce’ dei costruttori, per il 99% speculatori edili, che hanno applicato fino ad oggi una logica di mercato spietata. Il governo fino a fine 2016 non ha provveduto a definire standards minimi decenti, la pianificazione urbana è a tutt’oggi quello che è, per cui mi sono ritrovata a progettare blocchi residenziali per centinaia di appartamenti con unità abitative fin dal pian terreno, con configurazioni degli spazi interni privi di ogni logica di comfort umano, utilizzando materiali che nel migliore dei casi saranno completamente deteriorati in 15-20 anni. Insomma stavo prendendo parte alla realizzazione di quelle che credo saranno le slums del futuro. Per questo dopo tre anni mi son messa alla ricerca di un nuovo lavoro e sono approdata dove sono adesso. Law Architects ha un gruppo di progettazione molto bello, qui ho trovato dei colleghi che stimo, con cui ho continui scambi di idee e dai quali sto imparando molto. Il disegno a mano è ancora fortemente incoraggiato come forma di comunicazione principale, dalla fase schematica fino alla direzione dei lavori in cantiere. Facciamo dei progetti ben realizzati in termini di comfort e spazi umani, principalmente edifici per l’educazione o per le comunità. In questi tre anni lo studio mi ha dato l’opportunità di collaborare con alcuni tra i migliori paesaggisti, pianificatori, costruttori e artigiani del paese, grazie ad una clientela il cui interesse risiede a sua volta nell’interesse della comunità.

L. C’è stato un libro che ti ha influenzato o accompagnato nella professione?
M. Da mio amico di vecchissima data, sai che leggo molto e tutto mi influenza, anche il catalogo dell’IKEA. Ti posso dire che ho portato con me dall’Italia “Le città invisibili” di Calvino, libro che leggo ogni anno perché mi sembra sempre diverso. E il “nostro” amato “Storia dell’architettura moderna” del Benevolo. Tre libri che ho letto negli ultimi anni e che mi hanno sicuramente influenzata: “Gli otto peccati capitali di Konrad Lorenz” -interessantissima analisi urbanistica da parte di un etologo-, “Tre forme di architettura mancata” di Gregotti, “Breviario di Estetica” di Benedetto Croce. Alcuni testi di Sergio Givone mi hanno aiutato molto a capire il significato di sacralità, che ho cercato di applicare nella progettazione dei luoghi di culto.

L. Adesso facciamo un gioco. Ti dirò cinque aggettivi e ti chiedo di rispondermi con ciò che ti viene in mente in relazione all’architettura.

L. Disordinato
M. Swanson Street, una delle strade principali di Melbourne.
L. Pesante
M. Postmodernismo.
L. Silenzioso
M. Tempio di Cremazione di Zermani.
L. Sostenibile
M. Necessario ma non sufficiente.
L. Poetico
M. Bruder Klaus Kapelle, Zumthor.

L. Ora stesso gioco ma con 5 colori.
L. Giallo
M. Una copertina della rivista degli Archigram
L. Oro
M. Falso, oppure Cappella Palatina a Palermo.
L. Blu
M. Orizzonte.
L. Bianco
M. Luce e di conseguenza penso all’ombra.
L. Verde
Penso alla foresta pluviale non lontano da casa: vedessi, sembra una cattedrale fatta di alberi e felci.

Di solito che faccia fai se vedi un’architettura che ti piace?
Vedi foto di copertina.

Lenny Schiaretti

Lenny Schiaretti Architetto

Appeso ad una scala poco stabile, da tempo sta cercando il suo libro tra i polverosi scaffali di una biblioteca, ancora tutta da scoprire. Si fa aiutare dall'architettura, dal basso elettrico, dai viaggi, qualche buon libro e frequenti tuffi in piscina. Durante questa ricerca, insieme ad un amico, ha attraversato la Mongolia in bicicletta e da quei deserti nella sua mente sono cambiate tante cose...