Progettazione dei rifugi alpini. Quale architettura?

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E’ sempre più acceso il dibattito sulla progettazione dei nuovi rifugi nelle terre alte. La recente inaugurazione del Rifugio Goûter sul versante francese del Monte Bianco e le aspre polemiche riguardanti il Bivacco Gervasutti alle Grandes Jorasses, battezzato con i nomi più disparati, “astronave”, “missile”, “cannocchiale”, “tubo”, ne sono la prova evidente. Mentre nel passato la cultura architettonica non consideravaquasi degna d’attenzione la progettazione dei rifugi, relegandola a un ruolo marginale, oggi la questione è del tutto svincolata e legittimata a soluzioni moderniste.

Non ci si spiega, infatti, come, poiché tutto cambia e tutto evolve, anche l’architettura dei rifugi alpini non debba essere parte di questi cambiamenti. Pensiamo al progettista del primo rifugio CAI, la Capanna Alpetto al Monviso, costruito nel 1866. Si sarà forse preoccupato dei valori estetici e compositivi dal punto di vista architettonico? O forse avrà maggiormente privilegiato le caratteristiche funzionali, volte alla creazione di un manufatto che avesse lo scopo di rifugiare, ospitare e riparare in condizioni atmosferiche avverse? Propendiamo per la seconda ipotesi, in quanto la prima veniva già da sé, seguendo i canoni dettati dall’epoca.

Prova di questa evoluzione è il recente triplice concorso indetto dalla Provincia Autonoma di Bolzano e conclusosi lo scorso giugno con la proclamazione dei vincitori, riguardante la ricostruzione integrale di tre dei venticinque rifugi appartenenti al Demanio, dati in gestione al CAI, e ora passati alla Provincia. Si tratta dei rifugi Ponte di Ghiaccio, Pio XI e Vittorio Veneto.

Per l’Italia è un’importante novità, se pensiamo che l’ultima iniziativa di questo genere risale al 1933 in occasione della V Triennale di Milano.

I tre bandi di concorso riportavano che: «elemento determinante per la scelta del vincitore è esclusivamente la qualità del progetto, tenendo conto della funzionalità e del rispetto delle normative, dell’attenzione per gli aspetti economici relativi ai costi di costruzione, di manutenzione e d’esercizio ».

Inoltre: «ci si dovrà avvicinare allo standard di un edificio a costo energetico zero e dovrà essere prescelto un sistema costruttivo realizzabile con elementi prefabbricati, preferibilmente in legno».

I progetti mostrano dunque il superamento definitivo dei riferimenti tipologici legati all’immagine della baita o alberghetto di montagna, interpretando l’inserimento della struttura nel contesto morfologico, privilegiando una volumetria compatta e gli aspetti legati all’ottimizzazione delle risorse, delle tecnologie e degli spazi.

Rifugio Ponte di Ghiaccio

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Situato a 2.540 m nel cuore delle Alpi Aurine, fu costruito nel 1906, distrutto durante la seconda guerra mondiale e ricostruito nel 1950 con la gestione del CAI Bressanone. Modus Architectse l’Arch. Giorgio Cappellato, reinterpretano in chiave moderna i modelli tradizionali preferendo uno sviluppo planimetrico a elle, convincente e funzionale.

Rifugio Pio XI

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Poco lontano dal confine austriaco, alla fine di Vallelunga, fu costruito nel 1892 a un’altitudine di 2.544 m e ampliato nel 1936 dal CAI Desio, che lo prese in gestione. Lo studio Höller & Klotzner di Merano inserisce armonicamente la struttura nel paesaggio, sfruttando la topografia in modo apprezzabile.

Rifugio Vittorio Veneto

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E’ il più alto delle Alpi Aurine (2.923 m.) e fu edificato nel 1894. Utilizzato per scopi militari durante la prima guerra mondiale, nel 1926 fu affidato al CAI Vittorio Veneto, poi ceduto al CAI Brunico nel 1979. Gli architetti Helmut Stifter e Angelika Bachmanncaratterizzano il progetto con una forma monolitica a “blocco di pietra”, seppur molto somigliante alla Monte Rosa Hütte, adattandosi alle caratteristiche geomorfologiche della zona. E’ l’unico dei tre che sarà ricostruito un centinaio di metri più a monte, per ragioni geologiche.

Tutti i progetti partecipanti saranno esposti dal 20 al 27 Ottobre a Bressanone, in occasione dell’International Mountain Summit.

Elena Bozzola

Elena Bozzola Architetto

Si è laureata quando la parola “sostenibile” la pronunciavano in pochi e lei si ostinava a spedire email sulla tutela ambientale a tutti i suoi amici. L’incontro con Architettura Ecosostenibile è stato un colpo di fulmine. Ama la fatica delle salite in montagna e una buona birra ghiacciata dopo la discesa.