Architettura. L'anima collettiva di un popolo

Quale è il ruolo dell'architetto e dell'architettura? La sfera interessata dal loro agire è limitata a un piccolo intorno di addetti ai lavori, oppure abbraccia uno spettro più ampio, un cosmo costituito da variazioni culturali e sociali? Fino a che punto l'architettura può fingere di non vedere ciò che la circonda?

Provare ad andare oltre alle tradizionali relazioni di causa ed effetto tra forma e funzione è interessante. Allargare ancora di più il campo visivo (così da abbracciare altre aree del sapere) e prendere spunto, ad esempio dalla filosofia, può essere molto utile e aiuta a guardare con più ottimismo al futuro delle nostre città.

In copertina: Jean Nouvel, Reina Sofia a Madrid. Incurante di ascoltare la melodia nella quale inserisce il progetto, inizia un assolo che è totalmente fuori tonalità. Il tentativo della piazza è fallito. L'origine di tale fallimento è da ricercarsi, probabilmente, sia nella totale assenza di “filtri” tra pubblico e privato, che nella sezione dell'edificio in rapporto allo spazio esterno.

Architettura e sociologia: UOMO E SPAZIO URBANO

ARCHISTAR O MESTIERANTI?

Lo stile gioca nell'architettura un ruolo particolarissimo che nelle altre arti non ha. Nelle altre arti lo stile dipende semplicemente dall'artista: egli decide […] per sé e davanti a sé. Il suo stile non deve né può dipendere da nessun altro se non da se stesso. Ma nell'architettura questo non accade […]. La ragione è ovvia: l'architettura non è, non può, non deve essere un'arte esclusivamente personale. È un'arte collettiva. L'autentico architetto è un intero popolo. Esso fornisce i mezzi per la costruzione, ne indica lo scopo e la rende unitaria. Si immagini una città costruita da architetti “geniali”, che operano però ognuno per conto proprio con un diverso stile personale. Gli edifici potranno anche essere magnifici presi singolarmente, ma l'insieme risulterà bizzarro e intollerabile. Un tale insieme metterebbe fin troppo in risalto, quasi gridandolo, un elemento di tutte le arti a cui non si è prestata troppa attenzione: il capriccio. Il capriccio si manifesterebbe in modo cinico, nudo, indecente, intollerabile […] nelle sue linee [dell'edificio N.d.A] ci sembrerebbe di vedere l'impertinente profilo di un signore a cui “è venuta voglia” di farlo così.

Ciò gli impone [all'architetto N.d.A] di sottomettersi a determinate esigenze, a determinati principi che non possono né devono essere esclusivamente suoi. L'architettura non esprime come le altri arti sentimenti e preferenze personali, ma precisamente stati d'animo e intenzioni collettive. Gli edifici sono un'immensa espressione sociale.

José Ortega y Gasset

Per il filosofo spagnolo, l'architetto - accostato ad un'artista -, è quindi un organo della vita collettiva e non può essere altrimenti.

Quando l'architettura dimentica di essere espressione della collettività, viene a mancare l'armonia tra gli spazi che la accolgono e la circondano; diventando una nota stonata all'interno della città - il suo spartito - si perde la melodia. La dissonanza o l'imprevisto sono i benvenuti in architettura, perché contribuiscono ad attirare l'attenzione dello spettatore, stimolandone le emozioni ma, come magnificamente espresso da Ortega, sempre facendo molta attenzione a che non diventino puro “capriccio”. Nella musica o nel mondo del design le variazioni armoniche possono emozionarci: Chris Bangle, responsabile del design BMW fino al 2009, sostiene che l'imprevisto, ben ponderato, permette di far nascere in noi il “senso” del bello. Come se, seguendo con i nostri occhi una morbida e semplice linea, riuscissimo ad apprezzarne ancor di più la  sinuosità nel momento in cui una decisa interruzione, un taglio improvviso, la interrompessero, obbligando il nostro sguardo a riflettere su quanto fosse bella!

L'architettura quindi, così come l'arte, può avere l'ambizione di tirar fuori l'io interiore di ogni persona, non solo dell'autore/progettista ma anche dello spettatore, del cittadino.

Mario Botta, Museum of Modern Art, San FranciscoMario Botta, Museum of Modern Art, San Francisco

Ogni cosa concreta è costituita da una somma infinita di relazioni e l'architettura non può sfuggire da questa regola e deve ricercare le relazioni che ne permettono la sua realizzazione, non solo quella materiale ma anche sociale.

Ricollegandosi alle parole di Ortega, l'architetto dovrebbe sempre avere ben impresso nella mente che "gli edifici sono un'immensa espressione sociale" e da qui dovrebbe partire, lasciando a saltuari “momenti”, singole dissonanze, l'impertinenza di fare come un signore a cui "è venuta voglia" di farlo così.

Purtroppo oggi, senza entrare nel merito della genialità o meno di molti progetti (che portano la firma di nomi altisonanti), a noi - i cittadini - non rimangono che i lunghi capricci di questi architetti, desiderosi di lasciare impresso il loro segno, positivo o negativo che sia.

I loro progetti urlano a gran voce che l'unico loro fine è quello di distinguersi. Chiassosi e il più delle volte fuori scala, non solo dimensionalmente ma sopratutto, “stonati” rispetto al contesto. I loro ideatori non se ne curano, fieri si difendono dietro alla sempreverde giustificazione del non essere compresi dagli “altri”, cioè i cittadini. “Altri” che quindi non rientravano tra le relazioni di loro interesse, considerati alla stregua di una massa informe, incapace di intendere e volere.

Jean Nouvel, Torre Agbar e Norman Foster, 30 St Mary Axe - soprannominato The GherkinJean Nouvel, Torre Agbar e Norman Foster, 30 St Mary Axe - soprannominato The Gherkin

A noi non resta che provare a vivere queste “grida nella città”, tentando faticosamente di adattarci a quanto ci è stato imposto dalla volontà di mestieranti, a cui non possiamo certamente negare la capacità di sostenerne l'illusione con grazia magistrale. Inermi e impotenti dobbiamo essere testimoni di questi vuoti esercizi di stile, e assistere all'inconcepibile contributo che forniscono per la vertiginosa rovina delle nostre città, già da tempo impegnate a risolvere i problemi della barbarie nella quale sono avvolte, ritenuta superata da secoli ma, in realtà, sempre più viva sotto i nostri occhi.

Cleveland Clinic Lou Ruvo Center For Brain Health, NevadaCleveland Clinic Lou Ruvo Center For Brain Health, Nevada

Tutto questo ha forti ripercussioni nella vita delle persone, perché troppo spesso il chiasso generato non è una semplice dissonanza formale ma, sopratutto, concettuale, che altera i delicati equilibri degli spazi urbani, fino a diventare, in alcuni casi, una gigantesca barriera invalicabile, senza soluzione di continuità.

Non rimane che augurarsi il sorgere di nuove proposte e nuove riletture del tessuto urbano, seguendo un nuovo fabbisogno, quello della socialità. L'Architettura (qui con la lettera maiuscola) è un capitale sociale e durante il suo processo di realizzazione necessita del coinvolgimento di tutti gli attori interessati, tramite una visione a largo spettro che generi approcci collaborativi. Progetti che considerino prioritari gli spazi interstiziali – gli unici che realmente parlano la stessa lingua dell'uomo – e mirino a incrementare la permeabilità degli edifici, favorendo allo stesso tempo la rigenerazione di relitti di una città martoriata da un virus che fatica a essere sconfitto: l'ego dell'architetto. Pescando a caso tra i risultati - pessimi - dell'architettura contemporanea, verrebbe da dire che di una società che sappia leggere e scrivere ce ne facciamo poco tutti.

Lenny Schiaretti

Lenny Schiaretti Architetto

Appeso ad una scala poco stabile, da tempo sta cercando il suo libro tra i polverosi scaffali di una biblioteca, ancora tutta da scoprire. Si fa aiutare dall'architettura, dal basso elettrico, dai viaggi, qualche buon libro e frequenti tuffi in piscina. Durante questa ricerca, insieme ad un amico, ha attraversato la Mongolia in bicicletta e da quei deserti nella sua mente sono cambiate tante cose...