Energia dai rifiuti: robot che funzionano con dei digestori biologici

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Produrre energia dai rifiuti utilizzando una tecnologia assimilabile a processi biologici di digestione e respirazione: sono questi gli ultimi sviluppi della ricerca nel campo dei piccoli dispositivi di accumulo e carica come pile e batterie, che affida a robot intelligenti il compito di produrre energia attraverso reazioni chimiche. L’uso di reazioni chimiche all’interno delle cosiddette celle a combustibile, per creare e sfruttare delle differenze di carica e dunque una corrente elettrica, è una delle linee importanti di sviluppo nell’ambito delle fonti energetiche sostenibili ed eventualmente rinnovabili. Di fatto le comuni pile, quelle che si comprano in tabaccheria, già sfruttano tali funzioni chimiche, ma partendo da una disposizione fissa di componenti (strati solidi e/o soluzioni) che nel corso del tempo di vita della pila vanno a consumare il potenziale di carica.

Digestori per produrre biogas dai rifiuti

Alcune di queste pile, le cosiddette ricaricabili, come anche le batterie (quelle delle macchine per intenderci) riescono a ripristinare lo stato iniziale di carica dei materiali attraverso l’uso di altra corrente.
Il giochino riesce un numero limitato di volte, che dipende dal tipo di batteria, e comunque il grosso handicap consiste nel dover immettere altra energia elettrica per ricaricare la batteria, per le leggi della fisica sempre e comunque in quantità superiore a quella che poi si userà una volta ricaricata la batteria (+40%).

Alcuni studi tuttavia mirano ad ottimizzare tali processi chimici con l’uso di robot digestori, coinvolgendo anche microrganismi che riescono a realizzare delle reazioni di ossidoriduzione, e quindi di creazione dei potenziali elettrici, in tempi brevi e con grande efficacia solo utilizzando rifiuti.
La prerogativa innovativa di tali sistemi consiste nel poter alimentare in maniera continua tali processi biologici, in pratica assimilabili a processi di digestione, non con altra corrente, bensì conmateriali che contengono zuccheri o simili.

Uno dei materiali utili per alimentare tali microrganismi è la componente organica dei rifiuti, la cosiddetta frazione umida. Sappiamo già che quest’ultima, come nutrimento di batteri e altri esserini, può portare allo sviluppo di compost e calore, ma oggi gli scienziati focalizzano sulla possibilità di creare energia elettrica. Per fare ciò in realtà è necessario aggiungere alle funzioni dei sostrati biologici una ulteriore reazione chimica che funziona come la respirazione, consumando ossigeno e producendo acqua.

Parliamo qui di due dispositivi messi a punto con tali tecnologie, il Limbo , o Casabella Cleaning Robot, sviluppato da Elliot Cohen, e l’Ecobot del gruppo di ricerca di Ioannis Ieropoulos del Bristol Robotics Laboratory.

LA RICERCA E L’ECOBOT

Già alla fine degli anni ottanta si comincia a parlare di utilizzo dei processi biologici per le funzioni tecnologiche normalmente attribuite a sistemi chimici o meccanici. In particolare si mette a punto l’idea delle Celle a Combustibile Microbico, Microbial Fuel Cell.

MFC di prima generazione si basano sull’ossidazione di NADH, che è un processo comune ai metabolismi umani, da parte di cellule microbiche, e sull’uso di membrane permeabili ai protoni che separano le reazioni di ossidazione e riduzione.

La seconda generazione di MFC si avvale di batteri in grado di ridurre i solfati, e questo permette di avvicinare tale tecnologia al trattamento delle acque reflue, ricche appunto di solfati.

A sinistra: MFC I generazione; a destra MFS II generazione.

In una terza generazione di celle i batteri coinvolti nelle reazioni di ossidazione (Geobacter Sulfurreducens e Rhodoferrax Ferrireducens) formano un biofilm, ovvero uno strato sottile che si deposita direttamente sull’elettrodo.

Tali batteri digeriscono anche l’acido acetico, un altro componente comune ad acque di risulta e fanghi domestici.

Esperimenti ed approfondimenti sono stati compiuti da Habermann e Pommer già nel 1991; essi riuscirono a far funzionare una MFC per cinque anni consecutivi, mostrando una delle peculiarità di tale tecnologia, ovvero il funzionamento continuativo. Ma la prima cella ad usare batteri fu, nel 2000, il Gastronome di Stuart Wilkinson (University of South Florida); al suo interno una popolazione di Escherichia Coli veniva alimentata con zuccheri (18 ore), caricava delle batterie al Ni–Cd per poi assolvere a funzioni di movimento, con autonomie tuttavia abbastanza ridotte (15 min).

Negli anni a seguire gli esperimenti di Park e Zeikus nel 2002 e di Lovley nel 2003 impiegano direttamente fanghi domestici per la reazione, fino ad arrivare agli esperimenti di B.E. Logan (dipartimento di ingegneria civile ed ambientale della Pennsylvania State University) con celle di terza generazione, finalizzate all’autonomia di celle elettrolitiche per la produzione di idrogeno.

Si arriva infine alla messa a punto dell’Ecobot da parte del gruppo di Ioannis Ieropoulos del Bristol Robotics Laboratory.

Il progetto focalizza sulle capacità del robot, in 3 diverse versioni successive, di assolvere a funzioni autonome di movimento, inseguimento di fonti luminose e rilevamento della temperatura, giungendo a risultati più verosimili nei tempi di autonomia (30 secondi di carica, 2 secondi di movimento, con l’uso di capacitori anziché batterie per l’accumulo). I futuri sviluppi riguardano la possibilità di impiego in impianti di depurazione e la capacità di analisi dei rifiuti per il monitoraggio degli inquinanti.

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Immagine in alto: Ecobot II

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Foto in alto: Ecobot III

LE RICHIESTE DEL MERCATO E IL LIMBO

Bisogna tuttavia ammettere che il prodotto più accattivante, che funziona in tuttti i sensi come digestore e che probabilmente avrà la maggior fortuna sul mercato, è il Limbo, un robot aspirapolvere sviluppato da Elliot Cohen per Casabella e presentato con tale sponsor al contest Submit a Design sul weblog TUVIE (un sito “per la scoperta e condivisione dei migliori concept nei settori industriale, tecnologico, automobilistico, architettonico e moda”).

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In alto: Limbo I

Questo simpatico quadriciclo domestico, dotato di ruote con struttura a nido d’ape per adeguarsi agli ostacoli casalinghi scale incluse, ha la capacità di trovare l’energia per funzionare nei batteri e altri residui biologici aspirati durante le sue funzioni di pulizia.
Il corpo compreso tra le ruote assolve dunque non solo alle funzioni di aspirazione, ma anche di digestione dei rifiuti, tramite celle MFC in grado di alimentare i motori delle ruote, alcuni sensori di tipo visivo e dei fari per il movimento.
Il rapporto tra tempo di digestione e tempo di scarica può anche essere elevato, a meno che non ci si imbatta nella casa di un igienista patologico, nel qual caso il robot potrebbe patire la fame!

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In alto: Limbo II

Come abbiamo visto, oltre all’originalità di un dispositivo che sviluppa energia elettrica da processi biologici, sappiamo bene che per ammettere la presenza di un nuovo prodotto e la diffusione di una nuova tecnologia il mercato pretende il soddisfacimento di alcuni requisiti di funzionalità, utilità e comodità.
Nel caso in discussione le esigenze che si cerca di soddisfare sono riassunte nella tabella sottostante:

VALORIZZARE GLI SCARTI DOMESTICI

Limbo: residui organici della pulizia degli ambienti
Ecobot: reflui e frazione umida

REALIZZARE OPERAZIONI FASTIDIOSE e/o ANTIGIENICHE

Limbo: pulizia pavimenti
Ecobot: trattamento rifiuti organici

AVERE UNA INDIPENDENZA ENERGETICA TOTALE

Limbo: digestione residui organici e “respirazione”
Ecobot: digestione rifiuti organici e “respirazione”

MONITORARE LA QUALITÁ DEGLI AMBIENTI O DEI RIFIUTI

Limbo: –
Ecobot: rilevazione di alcuni parametri di inquinamento

Francesco Cherubini

Francesco Cherubini Dottore in Fisica

Nasce ricercatore biofisico per morire progettista HVAC tra ingegneri, architetti e geometri. E’ il classico soggetto che ha una lavatrice a pedali in cantina e l'estate fa campeggio con i pannelli solari e l'impianto a 12 volts autocostruito. Passione per l'artigianato, il rugby e l'essenzialità.