Quanto inquinano le campagne elettorali, prima durante e dopo le elezioni?

Campagna-elettorale-sostenibile

Si ripresentano, immancabilmente, i disagi ed i problemi che accompagnano le campagne elettorali “moderne”, da quando cioè la propaganda ha cominciato a servirsi – in maniera proporzionata alle capacità economiche di chi vuole sponsorizzarsi – di mezzi di ogni tipo che non sempre sono compatibili conl’ambiente in cui vanno ad agire.Dal Nord al Sud Italia è un turbinio di colori, suoni, folle in movimento, questa dovrebbe essere l’immagine enfatizzata ma che vista, e soprattutto vissuta dai cittadini e dagli spazi che vivono, si esplica come un baraonda di immagini incompatibili con l’ambiente circostante, rumori e schiamazzi, disordini e ingorghi con conseguentemente impatto negativo che questi fattori hanno a livello ambientale, sociale, di decoro e quant’altro. Lo sprezzo delle campagne elettorali si comprende che forse non è voluto direttamente da chi le organizza e da chi vi partecipa, non è questo il punto.

Il problema sta nel fatto che oggigiorno, si parla di decoro urbano e sostenibilità ambientale e sociale, e a maggior ragione perché questi sono i cavalli di battaglia delle campagne elettorali sarebbe auspicabile che si affrontassero a priori gli impatti che la propaganda ha, e fossero proprio i candidati ad affrontarli in prima persona utilizzando mezzi alternativi e abolendo gli obsoleti e ormai dannosi strumenti dell’autopromozione.

Sporcizia

Cominciamo dai manifesti elettorali abusivi e non. Gli abusivi danneggiano gli introiti pubblici, venendo meno il pagamento della tassa di affissione, ma questo è solo l’aspetto “venale”. Le affissioni autorizzate hanno bisogno per essere affissi di appositi spazi su plance, esteticamente incompatibili con qualunque intorno urbano – centrale, periferico e storico – esposte alle intemperie climatiche e antropiche che fanno sì che il manifesto prima o poi cominci a sciuparsi e a cascare a pezzi nella migliore delle ipotesi, fin’anche a sporcare le strade, che nel frattempo sono già piene di brochure, bigliettini da visita, volantini dei candidati, rigorosamente in carta traslucida, più resistente ma assolutamente più inquinante di quella normale, o meglio ancora di quella riciclata.
Il quadro è lo stesso: cartacce appallottolate e lise riverse a terra e nelle aiuole, infilate in ogni antro possibile ed immaginabile.
I segni della sporcizia diffusa sono palesi e se a volte non intervenissero le forze dell’ordine a mettere un freno agli eccessi (affissioni abusive comprese) le città diventerebbero delle piccole discariche con gente colta da esaurimenti nervosi e crisi di identità – aspetto questo che non si affronterà in questo frangente in quanto consterebbe affrontare temi che esulano da quelli di questo magazine per toccare aspetti prettamente “politici”.
Si nota comunque che, a furia di impiastricciare carta e colla su altra carta ed altra colla, alla fine tutto venga giù come un unico blocco di cartongesso, o di compensato, se lo strato non è abbastanza resistente.
Si provi a immaginare questi innumerevoli pannelli di cartongesso abbandonati sui marciapiedi, le aiuole, le strade di un’intera città: uno scempio.

Inquinamento acustico

Non da meno è l’inquinamento acustico che si avverte per ogni strada, dovuto principalmente a due fattori: i veicoli che girano per tutta la giornata (fortunatamente in orari non notturni) e i comizi negli spazi all’aperto. La tolleranza per il quieto vivere non segue normative ma di fatto non esiste un limite che tolleri due, tre o più comizi al giorno rispetto ad averne uno solo. Chi abita nei pressi delle piazze principali ascolta involontariamente anche quello che non gli interessa, colonne sonore di partito comprese. Prima dei comizi però è immancabile la propaganda per le strade con gli altoparlanti, e qui sorge un problema perché, se un comizio può essere monitorato a livello acustico, essendo considerato una fonte di rumore “fissa”, delle complicazioni sorgono per ciò che emette suoni in movimento come un auto con altoparlanti.
Ricordiamo che la Legislazione italiana in materia di inquinamento acustico è centrata sulla Legge 26 ottobre 1995, N. 447 – Legge quadro sull’inquinamento acustico e sui suoi decreti attuativi emanati negli anni successivi. Essa definisce e traccia le competenze sia degli enti pubblici che compiono le azioni di ordinamento, pianificazione e controllo (Stato, Regioni, Province e Comuni), sia i parametri ed i limiti per la definizione stessa dell’inquinamento acustico. Negli ambienti di vita, la norma di riferimento per la protezione e tutela dei soggetti disturbati da fonti di rumore è, a livello nazionale, il D.P.C.M. 14 novembre 1997 recante “Determinazione dei valori limite delle sorgenti sonore”, il quale definisce i limiti di rumorosità per le sorgenti sonore “fisse”, sia in relazione ai valori limiti assoluti, riferiti all’ambiente esterno, sia a quelli differenziali, riferiti all’ambiente abitativo interno. I valori assoluti indicano il valore limite di rumorosità per l’ambiente esterno, in relazione a quanto disposto dalla classificazione acustica del territorio comunale, e sono verificati attraverso la misura del livello continuo equivalente di pressione sonora (LAeq) nel periodo di riferimento (diurno e/o notturno). I limiti sono divisi per aree e per tempi di riferimento della giornata (diurno e notturno): le zone particolarmente protette hanno un limite diurno di 50 dB e uno notturno di 40 dB, fino ad arrivare alla classificazione delle aree esclusivamente industriali che hanno limiti diurni e notturni equivalenti a 70 dB.
Fra le poche regioni che hanno legiferato in materia vi è la Puglia, con la legge 12 febbraio 2002 n. 3 “Norme per il contenimento e la riduzione dell’inquinamento acustico”, che ha provveduto alla definizione delle norme di indirizzo per la tutela dell’ambiente e la salvaguardia della salute pubblica dagli effetti conseguenti all’inquinamento acustico prodotto da sorgenti fisse o mobili.

Emissioni da fonti di energia non rinnovabili

Altrettanto grave il problema dell’inquinamento dovuto a emissioni da fonti di energia non rinnovabili: i gas di scarico dei suddetti veicoli; l’anidride carbonica emessa prima, dopo e durante le manifestazioni; il consumo di elettricità per alimentare tutte le sedi di partito in fase di campagna e poi quelle dei seggi durante i voti.
Non un pannello fotovoltaico per ammortizzare gli sprechi, installato dagli investitori delle campagne e dichiaratisi sostenitori dell’ambiente. Non si bada a sperperi energetici neppure per quanto riguarda le convention in pompa magna dove si arriva in auto piuttosto che a piedi o in bicicletta, e là dove il buon senso favorisce incontri di quartiere all’aperto in stile agorà – coerenti con il concetto di sostenibilità – ci si mettono i pregiudizi degni del più basso provincialismo che solo nel fasto vedono la qualità del candidato, diffidando dalla sostanza.

Sostenibilità sociale

Non per ultima quella che si colloca nella sfera dell’insostenibilità “sociale”, legata principalmente all’impatto visivo che una campagna può avere su un centro urbano. Un esempio fra tanti può essere quello di una cittadina della Puglia, Grottaglie, dove su circa 14.000 elettori quasi 500 sono candidati a consigliere e 8 a sindaco! Inimmaginabile l’impatto che tale campagna sta producendo: purtroppo non si è tenuto conto neppure dei giorni delle feste comandate e delle tipiche tradizioni religiose, tanto che iniziative a sfondo sociale legate però a gruppi in corsa alle amministrative, hanno concorso ad eventi ai quali la popolazione si sente legata intimamente, come le processioni o la festa dei lavoratori, che non dovrebbe avere colore politico visto il proprio valore.
Emblematica la situazione della Settimana Santa a Grottaglie (TA) in cui la tradizionale processione religiosa accompagnata dai Bubbli Bubbli (figure penitenti tipiche nella cultura religiosa meridionale) ha dovuto sfilare in strade coperte da manifesti e volantini (immagine di Mariangela Martellotta).

Il fenomeno è di nuova specie e gli esperti lo stanno analizzando, ma per ora ci si limita a creare le alternative dette “campagne ad emissioni 0”.

Immagine | Mariangela Martellotta