Posidonia spiaggiata. Indice di degrado o di qualità ambientale?

Spiaggia piena di posidonia

Con l’arrivo dell’autunno riappare il problema su che fare dei resti spiaggiati di Posidonia oceanicaimpropriamente chiamata alga– endemica in tutto il bacino del Mar mediterraneo.Molto già è stato scritto su questo tema, ma la recente normativa nazionale ci stimola a studiare nuove opportunità di sfruttamento dei rifiuti organici: «Conversione in legge del D.Lgs. 25 gennaio 2012, n. 2, recante misure straordinarie e urgenti in materia ambientale.»Sulla questione posidonia “risorsa o rifiuto?” le posizioni sono contrastanti, noi abbiamo cercato di fare il punto sulla situazione riscoprendo antichi saperi sostenibili nell’agricoltura e nell’artigianato, nonché interessanti ricerche scientifiche finanziate dalla UE.

La posidonia spiaggiata sulla costa

LA PERCEZIONE DEL PROBLEMA AMBIENTALE E LE SUE CAUSE

Che la maggior parte dei bagnanti nelle spiagge del Mediterraneo cerchino prudentemente di evitare di entrare in contatto con la materia organica maleodorante –in decomposizione– depositatasi sulla battigia non è difficile da credere e né da constatare.Il fenomeno dello spiaggiamento della posidonia avviene normalmente durante il periodo compreso tra l’inizio dell’autunno e la fine dell’inverno ed è favorito dall’azione combinata delle correnti marine e del vento.

Purtroppo, la perdita delle foglie può accadere anche durante la stagione estiva e ciò non è naturale ma è dovuto all’azione antropica sempre più invasiva. Se tali residui organici non vengono opportunamente rimossi dalla battigia –prima dell’arrivo della stagione estiva– questi si accumulano in dune mollicce di color nerastro –dette “banquettes”– le quali, in alcune condizioni, possono arrivare a raggiungere anche il metro d’altezza. Le curiose “palle” marroni (vedasi foto), dette egagropili, sono costituite da sottili fibre provenienti dalla stessa pianta e aggregate tra loro dal moto ondoso.

I principali nemici delle praterie di posidonia sono le imbarcazioni da diporto, l’attività di pesca a strascico e le acque intorbidite da scarichi non a norma di legge. Le ancore dei natanti, quando non vengono rimosse con cautela dal fondale costiero, strappano ciuffi di posidonia riducendone le funzioni di prezioso ecosistema. Le reti a strascico sottocosta arrivano persino a sradicare intere praterie rallentandone il processo riproduttivo. Le acque torbide, causate da diversi fattori che non analizzeremo in questa sede, impediscono il processo vitale della pianta: la fotosintesi. La posidonia, per quest’ultima ragione, vive sui fondali di acque non troppo profonde –dove cioè le arriva sufficiente quantità di luce– quindi lungo le coste.

Molti gestori di stabilimenti balneari considerano i resti di posidonia spiaggiata un vero e proprio inconveniente economico sia in termini di costi di gestione –smaltimento delle biomasse– e sia in termini di mancato guadagno, perché rappresentano una sorta di deterrente, specie per la fascia di turisti particolarmente esigenti e spesso facoltosi.

LETTURE CONSIGLIATE SUL TEMA

Tra le diverse pubblicazioni edite sul tema della Posidonia oceanica e della sua capacità di fornire indicazioni sullo stato dei mari e delle coste, ne segnaliamo tre particolarmente rilevanti: 

La prima è un volume inglese dal titolo "Assessing the ecological status of coastal waters: Biomonitoring tools based on the seagrass Posidonia oceanica ecosystems" (ovvero "Valutare lo stato ecologico delle acque costiere: strumenti di biomonitoraggio basati sugli ecosistemi di Posidonia oceanica"). Per la valutazione della qualita delle acque costiere gli scienziati sempre più utilizzano un approccio olistico, considerando tanto fattori fisico-chimici, quanto biologici ed ecologici. La Posidonia oceanica gioca un ruolo importante in questa valutazione e in questo libro, tra le altre cose, vengono mostrati diversi esempi di monitoraggio delle acque basati sulla Posidonia oceanica e ne vengono evidenziati punti di forza e debolezza.

La seconda pubblicazione, in francese, evidenzia la capacita della Posidonia di fungere da indicatore marino. Si intitola infatti "Posidonia Oceanica bioindicateur marin" (Posidonia Oceanica bioindicatore marino). Racconta di un test effettuato in 5 zone di cui solo alcune si ritengono essere inquinate e di come fattori come il numero e la dimensione delle foglie di Posidonia forniscano utili informazioni sul livello di inquinamento delle acque. 

La terza pubblicazione consigliata sul tema è “Posidonia Oceanica: the oldest living thing on earth” e racconta di come quest’alga sia riuscita a sopravvivere a oltre 100 mila anni attraverso numerose avversità e di come la sua sopravvivenza sia attualmente a rischio.

La posidonia spiaggiata è indice di degrado?

IL PARERE DEL WWF

La posizione degli ambientalisti, riguardo la gestione della posidonia spiaggiata, ricalca l’opinione conservatrice del WWF pubblicata, a maggio del 2012, nel «Dossier coste: il profilo “fragile” dell’Italia» e si fonda sui risultati di un progetto internazionale di ricerca, il Global Land Project, nell’ambito del grande partenariato dedicato alle scienze del sistema Terra. Leggendo il corposo dossier troviamo il decalogo per salvare le dune, le quali sono considerate indispensabili protezioni naturali contro l’erosione delle coste. In sintesi, sui resti di Posidonia oceanica –così come anche tronchi, rami, canne, foglie ed alghe– il WWF raccomanda di lasciarli dove il mare li deposita. Inoltre, testualmente sostiene: «la presenza di resti di posidonia sulla spiaggia è indice di alta qualità ambientale, molto meglio di una “bandiera blu”: i comuni dovrebbero quindi andarne fieri e non far di tutto per rimuoverne ogni indizio! La degradazione delle foglie è alla base delle catene alimentari costiere, garantendo così una pesca abbondante e i cordoni che si spiaggiano sono un formidabile strumento per smorzare la forza delle onde e consentire alla sabbia di depositarsi ed essere trattenuta. Tuttavia se proprio si ritiene indispensabile rimuovere depositi considerati eccessivi, ci si limiti a spostarli con grande accortezza al margine della spiaggia, al piede della duna, dove con il tempo verranno coperti dalla sabbia e dalla vegetazione dando vita ad un nuovo cordone dunale; oppure possono essere ammucchiati dove non danno fastidio ma alla fine dell’estate andranno restituiti alla riva.»

LA POSIDONIA SPIAGGIATA: RIFIUTO O RISORSA?

Se da una parte le praterie di posidonia sono tutelate come habitat prioritario dalla Direttiva 92/43 della UE in quanto considerate vere e proprie fabbriche di ossigeno e luoghi ideali di un’infinità di nicchie ecologiche,dall’altrai suoi resti spiaggiati non sono in realtà governati da un riferimento legislativo chiaro e inequivocabile. In alcune realtà balneari si pone in fatti il problema di smaltire l’eccesso di materia organica che si accumula sulle spiagge giorno dopo giorno e, a quanto pare, è un fenomeno in aumento nonchè molto sentito. Dai nostri studi risulta che gli inceneritori o termovalorizzatori –attualmente disponibili– non sono stati progettati per bruciare biomassa troppo ricca di sali minerali e nel contempo questa non può nemmeno andare a saturare le discariche di RSU (Rifiuti solidi urbani). Quest’ultimo sistema di smaltimento, a parte di essere sconsigliato dalla direttiva europea sulla gestione eco–efficiente dei rifiuti, comporterebbe uno spreco inutile di risorse e aumenterebbe le tasse pro capite per la gestione dei rifiuti nei comuni balneari.

ANTICHI SAPERI DA RECUPERARE

In tempi remoti –come osservarono già nel 1998 i ricercatori dell’associazione Marevivo nella «Relazione Illustrativa» pubblicata nel 2001: «le banquettes erano considerate parte integrante del paesaggio costiero e la “convivenza” con tali forme di deposito naturale era più che gradita. Gli abitanti da generazioni avevano in fatti imparato a sfruttare la biomassa di posidonia spiaggiata in molteplici forme di utilizzazione: quale materiale isolante –termico ed acustico– materiale da imballaggio e per imbottitura di materassi e cuscini, ammendante naturale ricco di oligominerali specialmente indicato per i pomodori, materiale per la formazione di suolo fertile e persino per confezionare tessuti.» Oggi purtroppo, queste preziose biomasse si mescolano ad altri rifiuti urbani spesso non biodegradabili, quindi: sporcizia fomenta sporcizia.

Come riutilizzare la posidonia spiaggiata

LA GESTIONE IN ITALIA DELLA POSIDONIA SPIAGGIATA

In linea generale, dove non vi sono motivazioni di carattere turistico, i depositi vengono lasciati al processo naturale di trasformazione mentre, nelle aree maggiormente interessate da turismo balneare (sempre più diffuse), le amministrazioni locali provvedono alla rimozione del materiale secondo differenti destinazioni:

  • interramento in discarica controllata per RSU;
  • abbandono in aree abusive;
  • accantonamento in cumuli in aree adiacenti allo spiaggiamento;
  • immersione in mare.

Merita di essere menzionato come un ottimo esempio da prendere in considerazione, al fine di limitare il problema dello smaltimento dei residui spiaggiati di posidonia, il progetto di ricerca avviato nel 2010 nella Regione Puglia (CNR–ISPA e l’Università degli Studi di Bari): Posidonia residues integrate management for eco–sustainability, finanziato dalla UE con il programma LIFE+ PRIME. L’obiettivo principale portato avanti dai ricercatori è quello di sviluppare le potenzialità connesse al recupero dei residui di posidonia attraverso una “gestione integrata” capace di coniugare le esigenze di tutela ambientale con il recupero dei residui e il loro successivo riutilizzo in agricoltura, previo compostaggio. (http://www.lifeprime.eu)

La gestione della posidonia spiaggiata in Italia

ESPERIENZE INTERNAZIONALI INNOVATIVE

Spagna

In Spagna non esiste una regolamentazione specifica. Come per altri paesi del bacino Mediterraneo i resti di posidonia sono considerati elementi di degrado e, per motivi turistici, ne è praticata la rimozione come rifiuto urbano.Alcuni enti locali ne hanno reimpiegato i resti in diversi ambiti: in interventi di recupero ambientale delle coste e nella ricerca e sviluppo di prodotti innovativi come pannelli isolanti per l’edilizia. Per quanto riguarda il compostaggio riportiamo l’interessante esperienza valenziana del comune di Denya. Con il sostegno finanziario dello strumento LIFE Ambiente (concesso dalla UE nel 1996) la municipalità di Denya, sotto la supervisione dell’Università Politecnica di Valenzia, ha realizzato un impianto di compostaggio in grado di trattare circa 15.000 metri cubi all’anno di residui vegetali. Il progetto è nato dall’esigenza di rimuovere ingenti quantità di alghe e fanerogame marine (posidonia), spiaggiate in grande quantità lungo le coste, e di smaltire rilevanti quantitativi di scarti di manutenzione del verde pubblico e privato (circa 60.000 mc all’anno). Il ciclo di trattamento utilizza la tecnica del cumulo rivoltato all’aperto, con aerazione forzata: la capacità di trattamento è di circa 9.000 T di resti vegetali e 3.000 T di posidonia (con una incidenza di circa il 15 % di alghe). Secondo i ricercatori con tale composizione viene ottenuto un compost di apprezzabili caratteristiche agronomiche, con deboli limitazioni e ricco in oligoelementi, particolarmente indicato per impieghi nella vivaistica, negli interventi di riforestazione o di recupero ambientale.

Malta

La piccola isola maltese spicca per alcuni interventi innovativi, anche se basati su esperienze storiche, nella gestione ed il miglioramento della copertura vegetale costiera attraverso il reimpiego della posidonia spiaggiata. Il materiale viene rimosso dalla spiaggia ed utilizzato come substrato organico per creare condizioni pedologiche favorevoli allo sviluppo delle coperture vegetali ed al restauro di aree costiere degradate o comunque denudate e carenti di suolo. Gli obiettivi dell’azione consistono nei seguenti interventi:

  • pulizia, per motivi turistici, delle spiagge;
  • riduzione delle problematiche di gestione dei rifiuti;
  • creazione di barriere verdi utili per fini di restauro ambientale ed il contenimento dell’impatto prodotto dai veicoli sulle spiagge.

L’esperienza maltese prevede la rimozione meccanizzata, ma comunque attenta del materiale, che viene successivamente deposto in cumuli, l’uno accanto all’altro, a formare uno strato di un metro e mezzo di spessore, modellato prima dell’inverno. Dopo almeno due stagioni invernali, il deposito viene piantumato con specie quali Atriplex halimus, lungo il perimetro, e Tamarix sp. ed Acacia al suo interno. A circa 15 anni dai primi interventi i risultati ottenuti sono molto soddisfacenti essendosi realizzate barriere verdi alte più di due metri, in grado di controllare l’accesso selvaggio alle spiagge, soprattutto per le automobili, e di creare condizioni favorevoli alla colonizzazione della vegetazione pioniera locale. (http://www.um.edu.mt/pub/jborg.html).

Nord Europa

Alcuni paesi del Nord Europa (Germania, Danimarca e Francia) nell’ambito del progetto INTERREG IIIC CosCo (Coastal co–operation with sea grass and algae focus) hanno avviato sperimentazioni per attuare il riutilizzo delle biomasse vegetali spiaggiate in differenti settori quali quello medico, edile e commerciale. Lo scopo del progetto è quello di evitare lo smaltimento di tali depositi in discarica per non incrementare la concentrazione nell’atmosfera di biogas generato dalla decomposizione della sostanza organica. In quest’ottica, infatti, il conferimento in discarica di biomasse vegetali contraddice le direttive del protocollo di Kyoto.

RIFERIMENTI NORMATIVI

Come abbiamo detto all’inizio, il D.L. “Conversione in legge del D.L. numero 2 del 25 gennaio 2012, recante misure straordinarie e urgenti in materia ambientale”, già approvato in Senato e attualmente in approvazione alla Camera, sta per consentire la rimozione e l’utilizzo dei rifiuti spiaggiati lungo i litorali. Riportiamo l’articolo 3–bis: «Le biomasse vegetali di origine marina spiaggiate lungo i litorali, con la prevista autorizzazione regionale e senza la necessità di espletare ulteriori valutazioni di incidenza ambientale, possono essere rimosse e utilizzate, sempreché ricorrano i requisiti di cui all’articolo 184–bis (vedi articolo sul ruolo del responsabile tecnico nella gestione dei rifiuti), per la produzione di energia o per il riutilizzo a fini agricoli, in ogni caso nel rispetto delle norme tecniche di settore e mediante processi o metodi che non danneggino l’ambiente né mettano in pericolo la salute umana.»

COME SI POTREBBE UTILIZZARE LA POSIDONIA?

Se in passato la posidonia veniva impiegata come materiale edile, per l’imballaggio, l’imbottitura di materassi, la fabbricazione di tessuti e come ammendante in agricoltura, oggi la ricerca scientifica potrebbe esplorare il suo utilizzo anche nelle seguenti aree:

  • Produzione di carta;
  • Produzione di biogas;
  • Produzione di polimeri termoplastici biodegradabili;
  • Prodotti per il design;
  • Settore agricolo e zootecnico;
  • Cosmesi ed erboristeria;
  • Chimica verde.

 

Giovanna Barbaro

Giovanna Barbaro Architetto e Tecnologo

Deve il suo carattere cosmopolita a Venezia, dove si laureò in architettura (IUAV). Dal 2008 europrogettista nei settori green economy e clean tech. Nel 2017 ha realizzato uno dei suoi più importanti sogni: fondare Mobility-acess-pass (MAP), un'associazione no profit per la certificazione dei luoghi pubblici per le persone con disabilità motorie. Tra i suoi hobby preferiti: la fotografia e la scrittura