ILVA. Lasciate ogni speranza o voi ch’entrate

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Quando vai via da Taranto, il ricordo che ti resta più di ogni altro è quello di una città surreale, tinta dal rosso delle polveri di ferro e intrisa di veleni che rendono l’aria stessa un’esalazione irrespirabile. Chi ha l’onore e l’onere di vivere a Taranto, sa benissimo che questa è solo la punta di un enorme, impressionante iceberg. Passare un giorno da Taranto può lasciare interdetti e stupiti, ma passarci un’intera esistenza può esigere un prezzo molto maggiore.Lo sanno molto bene coloro che hanno avuto uno o più lutti in famiglia, a causa di un lavoro ormai sempre più simile a un ricatto il cui costo non vale il salario. Vedere questa innegabile realtà e leggere poi il fiume di ipocriti appelli per il “diritto al lavoro”, fatti molto spesso da chi in vita propria non ha mai lavorato, sarebbe oltremodo comico se non fosse tragico per le conseguenze che comporta. La parola “lavoro” non ha alcun senso se ad essa consegue l’altra, quella che (quasi) nessuno vuole associare all’ILVA e cioè la parola MORTE. Una parola molto pesante, certo. Chi si assumerebbe una responsabilità simile? Non i politici, non l’orchestra mediatica italiota, che, citando Flaiano, è sempre pronta a correre in soccorso del vincitore, cioè i Riva. Ogni giorno che passa senza una soluzione politica sul destino della fabbrica, non ci sarà sentenza che possa portare giustizia su crimini tanto a lungo impuniti.

Il calvario di sentenze di condanna per l’ILVA comincia nel 1982 (causa lo spargimento di polveri minerali sulla città) e non è ancora finito. I 30 anni trascorsi da quella prima sentenza sino al sequestro degli impianti dell’area a caldo del Siderurgico, il 26 luglio 2012, sono costellati da pronunciamenti e disposizioni della magistratura che individuano chiaramente quelli che sono i responsabili (diretti e indiretti) del disastro ecologico e sociale di Taranto, dipingendo un quadro che lascia sgomenti e attoniti sia per i reati commessi in sé (e si parla di associazione a delinquere finalizzata al disastro ambientale, avvelenamento di sostanze alimentari, omissione dolosa di cautele sui luoghi di lavoro) sia per la reiterazione dolosa degli stessi perpetrata in trent’anni di totale disinteresse da parte del Partito Unico.

Ma per capire meglio il perché le cose andranno sempre peggio laggiù, vi racconterò una storia. Attenzione, si tratta di un caso eclatante di sdoppiamento della personalità: mandate a letto i bambini o le persone impressionabili.

“C’era una volta, una lista civica, che di civico non aveva nulla, se non il numero sulla porta della sede. Finanziatore di quella lista, nonché consulente del governo (capeggiato dalla suddetta lista) per decidere sui tagli e i sacrifici da imporre a persone incolpevoli della crisi in atto, era lui, il signor Enrico. Era bravo nel suo lavoro, tanto è vero che dopo anni di consulenze per una certa famiglia che possedeva una certa fabbrica nel tacco d’Italia, ne fu nominato dai vertici amministratore delegato in aprile. Era successo che nel frattempo la fabbrica fosse stata posta sotto sequestro, ma la fortuna volle che proprio il governo le permettesse di proseguire le attività concedendole un’AIA, che non è un’esclamazione (!), ma una serie di prescrizioni ambientali, rese particolarmente stringenti grazie alla pressione dei giudici. Manco a farlo apposta, la fabbrica se ne infischiò alla grande aggirandone un bel po’, ma venne ovviamente beccata di nuovo dalla magistratura. A questo punto, per salvare la faccia, l’a.d. si dimise indignato (con se stesso?). Ed ecco che finalmente, il (solo apparentemente) nuovo governo, all’insegna della discontinuità, decise un bel giorno di intervenire ed estromettere dalla gestione i recidivi proprietari della fabbrica, nominando un commissario governativo che finalmente ne facesse rigare dritto gli impianti. E vissero tutti felici e contenti.”

FINE.

E invece no.

Riuscite ad indovinare chi, in un paese con più di sessanta milioni di abitanti, è stato scelto a ricoprire tale ruolo? Esatto, il signor Enrico, incaricato di fare da commissario ciò che non ha fatto da consulente e da amministratore delegato. Non fa una piega.

A questo punto non dico di fare esattamente come in Cina, ma almeno di prendere provvedimenti.

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Alberto Grieco

Alberto Grieco Architetto

Frequentando una signora chiamata Storia, ha scoperto che l’architettura bio-eco-ecc. non ha inventato Nulla©, ed è per questo che perde ancora tempo sui libri. Architetto per vocazione; tira con l’arco, gira per boschi, suona e disegna per vivere. Lavora nel tempo libero per sopravvivere.