- scritto da Mariangela Martellotta
- categoria Progetti
Storia, origini e particolarità dei palmenti di Pietragalla
La Basilicata è una regione che affascina e che sorprende per le sue unicità: accanto ai luoghi più noti e famosi al mondo, come la città di Matera già capitale della cultura, la terra lucana conserva tantissime peculiarità, e il Parco dei Palmenti di Pietragalla, caratterizzato da costruzioni insolite che sembrano appartenere a un mondo incantato, è uno di queste.
Pietragalla, è un piccolo centro abitato situato ad oriente dell’Appennino Lucano, che nella parte che degrada verso le colline della Fossa Bradanica guarda alla Murgia pugliese. Sono state le caratteristiche orografiche, geologiche e climatiche dovute alla doppia esposizione a levante e ponente, che in passato hanno condizionato la comunità locale sulla gestione dell’uso del territorio.
A Pietragalla è la pietra locale dal tipico colore tendente al giallo (da cui anche il nome Pietra – Galla che deriva dalla materia prima e dal suo colore) che la fa da padrona per la realizzazione degli edifici, da quelli per le residenze alle costruzioni rupestri tipiche chiamate “palmenti”.
Cosa sono i palmenti?
I palmenti di Pietragalla sono delle costruzioni semi-ipogee scavate nella roccia arenaria che dall’inizio del XIX secolo fino agli anni Sessanta sono serviti come luogo per la pigiatura dell’uva e la fermentazione del mosto, e questo grazie alle caratteristiche microclimatiche che solo nelle grotte – naturali e artificiali – si realizzano.
L'uva vendemmiata era trasportata nella zona dei palmenti e veniva pigiata a piedi nudi nella vasca più alta, poi il mosto ricavato dalla pigiatura finiva nella vasca sottostante per essere lasciato a fermentare dai 15 ai 20 giorni prima di essere passato nei barili e travasato nelle botti, che qui a Pietragalla erano chiamati con il termine locale “rutte”. Le botti erano conservate nelle cantine, anch’esse ipogee e caratterizzate dagli stessi principi costruttivi dei palmenti.
Naturalmente oggi i palmenti, non solo di Pietragalla, sono riconosciuti e tutelati grazie ad un'opera di censimento e di documentazione da parte degli enti e delle associazioni e diventati luoghi di attrazione, ma un tempo sono nati come luoghi funzionali.
All’interno dei palmenti visitabili sono ancora visibili gli ambienti nei quali si lavorava il vino, dalle vasche per la pigiatura e la fermentazione del mosto, alle zone adibite al deposito e le nicchie per collocare le lanterne per illuminare gli ambienti altrimenti troppo bui: tutto rigorosamente ricavato nella pietra e con la pietra.
Le origini dei palmenti
Secondo fonti storiche i primi palmenti vennero realizzati in Provenza, nel sud della Francia, dove ancora oggi sono visibili costruzioni molto simili ai palmenti dell’Italia meridionale. Probabilmente dalla Francia la cultura del palmento si diffuse prima in Puglia e in Abruzzo tra l’inizio del XVI secolo e la fine del XVIII, cioè quando fu proclamata la Repubblica Partenopea e la distruzione della flotta francese da parte di Nelson, e poi via via la loro diffusione fu dovuta alle loro utili caratteristiche.
Il nome stesso “palmento” è, secondo studiosi di linguistica francese, una chiara derivazione del termine “balmetti” a sua volta derivato dal ligure “balma” che significa “incavatura”. Ricordiamo che la Liguria si trova al confine con la Francia e ne subì oltre la dominazione diretta nel XV secolo successive influenze negli anni a seguire.
Altri storici sostengono che il termine “palmento” derivi dal latino “paumentum” (pavimento) che si riferisce all’azione della pigiatura fatta battendo letteralmente coi piedi sul pavimento.
I materiali dei palmenti di Pietragalla
Il materiale dei palmenti di Pietragalla anziché essere reperito e messo in opera, era sottratto mediante scavo direttamente dal banco roccioso, e inoltre grazie agli spessori dei muri e al fatto di essere inglobate in uno strato di roccia, mantenevano pressoché costanti le temperatura interna, consentendo ai contadini di poter lavorare senza patire troppo il caldo o il freddo e di ricavarne un mosto eccellente che poteva essere conservato senza il timore che andasse a male! L’aerazione dell’ambiente era assicurata dall’ingresso e da una piccola apertura in facciata.
La particolarità dei palmenti di Pietragalla
Rispetto altri palmenti rinvenibili in altre località del Sud Italia e della Lucania stessa, ove la cultura del rupestre è stata molto sentita in passato, i palmenti del parco di Pietragalla sono unici nel proprio genere sia perché non isolati ma raggruppati tra di essi in un’aggregazione che ne conta circa duecento in un’area rurale che si estende per circa due ettari, sia perché disposti a diverse quote che seguono l’andamento irregolare del terreno e che offre una vista davvero suggestiva del complesso di ipogei che oggi hanno le coperture totalmente inerbite.
Dal punto di vista strutturale i palmenti si basano su un semplice ma funzionale principio della statica, che è quello della distribuzione uniforme di tutti i carichi propri della massa rocciosa che si scompongono in orizzontali e verticali lungo le componenti portanti delle coperture a botte e degli apparati murari massivi che a loro volta scaricano i pesi al suolo che ne controbilancia le spinte in maniera uguale e contraria.
Attualmente i palmenti di Pietragalla non assolvono più la loro funzione originaria ma sono diventati un’attrazione per curiosi e studiosi.
Sono inoltre entrati a far parte dei Luoghi del cuore del FAI come bene archeologico.