Sulle macerie dell’uragano Katrina, nasce a New Orleans il più grande eco-quartiere d’America

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New Orleans. Sette anni fa Katrina si abbatteva lungo le coste sudorientali degli Stati Uniti devastando tutto quanto incontrasse sul suo cammino. La città della Louisiana, stretta tra il lago Pontchartrain e il letto del Mississippi, la sua vittima predestinata. Il pericolo che un tale cataclisma si avventasse su quelle aree era elevatissimo e le misure di salvaguardia insufficienti. L’area metropolitana di New Orleans sulla costa sud

si trova a 8 metri sotto il livello del mare, ciò significa che bastava che il livello delle acque si alzasse di pochissimo perché parte della città venisse completamente sommersa, come è avvenuto. Tuttavia a rompere gli argini non è solo il fiume, ma anche l’Industral channel, il canale costruito dall’uomo per agevolare il trasporto delle merci nell’area produttiva della città. Quando l’uomo supera il limite, la Natura poi regola i conti. I danni alla comunità e all’ecosistema non si contano più: le acque di inondazione di Katrina portarono con sé un mix di acque di scarico, batteri, pesticidi, composti chimici tossici e milioni di litri di petrolio delle raffinerie; decine di migliaia di ettari di zone umide costiere, aree tampone tra città e riserve naturali, sono andate perse; le abitazione rase al suolo; il lento ritiro delle acque ha portato malattie e disidratazione; migliaia di persone in diaspora negli stati confinanti.

Lower 9th Ward è il quartiere che di più ha patito gli effetti dell’uragano e il trauma da ricostruzione. Sorge alla foce del Mississippi, per lo più un quartiere di famiglie a basso reddito, di afroamericani che a distanza di sette anni ancora vivono sotto coprifuoco: a nessuno è permesso di tornare nelle poche case rimaste in piedi, al massimo si può scavare ancora tra le macerie, riparare le abitazioni che hanno avuto meno danni e tutto questo in assenza di contributi statali. Risale al marzo del 2012 l’ultima denuncia del New York Times sullo stato di fatto nella città del jazz: dove prima sorgeva una comunità, oggi c’è la giungla.

MAKE IT RIGHT E LA RICOSTRUZIONE DAL BASSO

Nel 2007 Brad Pitt, attore e filantropo appassionato di architettura, fonda Make it right, un’associazione no–profit che vuole far fronte ad un’emergenza ancora attuale costruendo un quartiere ad alta efficienza energetica, che coniuga elevati standard tecnologici e di sicurezza con bassi costi di costruzione. La filosofia che ispira l’intervento di MIR suggerisce di pensare che ogni cosa che creiamo può incidere positivamente sulla società, sull’ economia e sull’ ambiente, perciò materiali, tecniche e metodo scelti per la ricostruzione sono sicuri per le persone e per l’ambiente, soprattutto in previsione di un eventuale prossimo disastro.

Il primo intervento nel Lower Nine ha visto la costruzione di una tendopolidenominata Pink Project: una miriade di tende rosa shocking, progettate dallo studio Graft di Berlino, hanno puntellato l’area per fornire ospitalità ai senzatetto. Oggi quelle tende lasciano spazio alle prime case sostenibili.

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L’obiettivo da raggiungere è la costruzione di 150 abitazioni unifamiliari e duplex, realizzatecon le tecniche costruttive delle classiche villette a schiera americane, ma seguendo i requisiti imposti dal FEMA (l’Agenzia Federale Americana di controllo e prevenzione delle emergenze) e i semplici principi di bioedilizia e del green building: il costo di ogni edificio non deve superare i 150 mila dollari, l’altezza massima deve essere di 12 metri, devono essere previste vie di fuga e l’elevazione del prima piano rispetto al suolo, tutti i materiali devono essere ad impatto zero, il riscaldamento è fornito dal geotermico e la luce dai pannelli solari.

Una star di Hollywood del calibro di Brad Pitt riesce a catalizzare l’attenzione con poco e se diventa portavoce di una comunità intera e prende a cuore una buona causa può attirare anche investitori e grandi nomi dell’architettura. É così che questo progetto di ricostruzione può avvalersi della partecipazione di 21 prestigiosi studi che hanno donato alla causa i loro progetti (Shigeru Ban, MVRDV, Frank Gehry e tanti altri).

Il cantiere di MIR è in primis un laboratorio di casi studio in cui vengono testate più tecnologie e tipologie costruttive, a partire dalle fondazioni su pali profondi 40 piedi e mantenuti in posizione dall’attrito generato con il suolo melmoso. Su di essi si innestano le travi del solaio e i pilastri alti 2,5 m. Il tutto impiegando circa 1/3 del cemento impiegato in una fondazione tradizionale. Minimo materiale, massima resistenza.

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La tecnica costruttiva adottata prevede la tipica intelaiatura americana, perfezionata per aumentare la durabilità e la solidità delle case: l’impiego di connettori metallici negli angoli e in testata permette di ridurre l’uso del legno. Telaio e tamponamenti sono costituiti dai SIP (Structural Insulated Panel), pannelli sandwiched costituiti da più strati di materiali naturali e duraturi, capaci di resistere anche a venti che superino le 130 miglia orarie. In base ai test eseguiti in cantiere, una sezione tipo, che usa circa il 30% di materiale in meno rispetto alla sezione di una parete tradizionale, risulta 5 volte più resistente.

Il primo livello delle abitazioni è posto a 1,5–2,5 metri dal suolo (contro il mezzo metro delle vecchie costruzioni), per assicurare che le abitazioni siano protette da future inondazioni. Il vuoto lasciato dal piano elevato è occupato da un parcheggio o dal giardino.

Alcuni progetti prevedono di ripristinare il verde occupato dell’ingombro delle ville con tetti giardino, altri invece prevedono, direttamente sotto la copertura,un impluvium in metallo riciclato che svolge più compiti: raccoglie l’acqua piovana e la convoglia in due cisterne di accumulo da 2200 litri, da riutilizzare nei giardini o per lavare le automobili; mantiene freschi gli ambienti sottostanti riducendo dal 20% al 70% la necessità di raffreddare la casa. Una stanza speciale è prevista sotto la copertura per proteggere gli abitanti dalle piogge torrenziali e dalle infiltrazioni. Ogni edificio è dotato di più vie di fuga, una della quali è situata proprio sul tetto. Infine il tetto ospita pannelli fotovoltaici che generano 2,7–3,0 kW di energia e permette di vendere quella avanzata alla Smart Grid del quartiere.

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Innovativi canali di scolo e di drenaggio assicurano un corretto deflusso delle acqua piovane, mentre l’uso del cemento poroso per marciapiedi e vialetti permette all’acqua di filtrare attraverso il suolo dove poi è riassorbita dalle piante. Questo assicura ad ogni edificio di gestire l’acqua che si è riversata nel lotto e di accogliere quella dei lotti vicini.

In prossimità di tempeste o tifoni, prima di abbandonare le proprie case, gli abitanti sono soliti assicurare le finestre con tavole di legno, un procedimento dispendioso in termini di tempo e materiali. Gli infissi delle nuove abitazioni sono dotate di un tessuto a prova di uragano, traspirante ma impermeabile, che impedisce all’acqua di penetrare, elimina i problemi di condensa e fa recuperare tempo prezioso per l’evacuazione.

Particolare attenzione è data alla scelta dei componenti di arredo e alle tecnologie interne: mobili in legno ricavato da foreste “sostenibili”, luci a risparmio energetico, infissi termoisolanti e vetri basso–emissivi mantengono le case fresche in estate e calde in inverno grazie al guadagno solare, rubinetti e soffioni riducono l’uso di acqua del 50%, tubature garantite 35 anni e resistenti a sbalzi di temperatura e corrosione, moquette riciclate e vernici ZERO VOCs che non emettono gas nocivi per la salute . Il risultato è un’abitazione che rispetta il marchio di garanzia internazionale di efficienza energetica Energy Star e che ha guadagnato la certificazione LEED Platinum conferitogli dall’US Green Building Council.

RICOSTRUIRE IL PAESAGGIO E LA COMUNITÁ

Gestire il carico delle acque su un territorio come quello di New Orleans è complesso anche in un regime di normalità. Questo compito viene quindi affidato alla vegetazione, progettando delle soluzioni strategiche per proteggere il suolo, ridurre il bisogno di irrigazione, di manutenzione ordinaria (senza pesticidi e fertilizzanti chimici), ridurre il rischio di inondazioni e al tempo stesso ripristinare l’habitat naturale delle specie autoctone, animali e vegetali.

I tetti verdi hanno molti benefici, ecologici ed economici: recuperano gli spazi verdi, attutiscono l’effetto isola di calore, purificano l’aria e l’acqua piovana, aiutano a minimizzare il ristagno dell’ acqua che viene assorbita dalle piante.

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Il progetto del paesaggio prevede la realizzazione di rain gardens, ovvero delle depressioni nei giardini in cui sono piantate essenze native: queste “vasche” raccolgono l’acqua che scorre sulle superfici impermeabili e le fa filtrare nel suolo, rimuovono inquinanti e sedimenti dall’acqua e creano un microclima che permette la proliferazione di insetti, farfalle e uccelli.

Allo stesso tempo è prevista la piantumazione di specie xerofile che necessitano di poca acqua, riducendo il bisogno di irrigare i giardini. Frutteti rigogliosi ornano le aree residenziali ed i cortili abbandonati, coltivati a rotazione per produrre frutta e verdura per la comunità. Lungo i viali, cipressi e querce fungono da cisterne giganti durante e dopo gli acquazzoni, offrono ombra e protezione contro il vento.

Ogni isolato è arricchito da piccoli parchi gioco che ospitano solo attrezzature costruite con materiali riciclati e sostenibili, inclusi computer e videogames alimentati ad energia solare.

Tenda a tenda, famiglia dopo famiglia, il quartiere riprende vita ed il risultato è già sotto gli occhi di tutti.

Anellina Chirico

Anellina Chirico Architetto

Cilentana, si avvicina al mondo delle costruzioni per gioco grazie ad un regalo della Befana. Quella casa in legno da montare diventa una passione e decide di farne il suo mestiere. Quando ripone matite e computer, guarda fuori dalla finestra, parla tanto e lavora a maglia.