- scritto da Giulia Custodi
- categoria Progetti
Città fantasma: dalla Cina all’Africa, un business in-sostenibile
Cosa succede se un governo, quello cinese, vieta alle imprese di costruzioni di speculare sul territorio costruendo città fantasma? Succede esattamente questo: le imprese fanno armi e bagagli e dalla Cina volano in Africa, dove di suolo ce n’è molto per queste far nascere città abnormi e immense. A rappresentare questo business un caso su tutti, quello di Nova Cidade de Kilamba, nata in Angolae completamente disabitata.
Il contrario della sostenibilità – se con questa parola si intende ancora un’attenzione a 360° verso quelle buone pratiche rispettose dell’ambiente naturale (e culturale e sociale e…) che non siano solamente di natura tecnologica ma anche semplicemente ispirate dal buon senso – è rappresentato in maniera esemplare dal processo economico in atto in Cina e in esportazione verso l’Africa.
Spinte dal boom economico, numerose imprese cinesi hanno iniziato, ormai da diversi anni, a immettersi nel mercato della costruzione, ma non di un edificio, non di un quartiere, bensì di intere città, che sono spuntate nel nulla al ritmo di una ventina all’anno in tutto il territorio cinese.
Ora che la bolla speculativa è scoppiata anche in Cina, queste città appena nate e innaturalmente immense fanno fatica ad essere popolate per via dell’aumento dei prezzi che ne rende gli affitti insostenibili per la popolazione. Il governo cinese ha vietato alle imprese di costruire altre città di questo tipo in Cina, tuttavia non ha nulla da ridire se queste imprese trovano commissioni all’estero. È quello che è successo in Angola, dove la CITIC (China International Trust and Investment Corporation) ha realizzato un vasto complesso residenziale destinato a circa mezzo milione di abitanti, commissionato dal governo angolano nelle vicinanze della capitale Luanda. I buoni rapporti internazionali tra Angola e Cina e il reciproco scambio di mercato, che risulta vantaggioso per entrambi gli stati, serve a spiegare gli interessi che si muovono dietro alla realizzazione di complessi del genere, ma tutto il resto resta totalmente incomprensibile. Perché si tratta della costruzione in tre anni di 750 palazzi di otto piani, inseriti in un ordinatissimo reticolo stradale e differenziate tra di loro solo dal diverso cromatismo degli intonaci. Fino alla metà del 2012 questa città, che si chiama
Nova Cidade de Kilamba, era praticamente disabitata. Disabitata anche perché, così come in Cina, la popolazione non è in grado di comprare una casa in questo complesso residenziale, troppo caro per chi vive in media con due dollari al giorno.
Anche ipotizzando che la città, nel tempo, si vada effettivamente popolando, come continuano a ribadire le fonti ufficiali del governo angolano, resta il fatto che si tratta di un complesso residenziale sproporzionatamente grande per una minima variazione formale: la ripetitività della città non lascia spazio alla ricchezza e alla complessità formale delle vere città, di quelle che crescono piano piano, accentrando con il tempo in se stesse le attività economiche in grado di farle crescere da sole. Questo tipo di intervento è un grossolano tentativo di eugenetica urbana che speriamo fallisca al più presto per il bene dell’ambiente, umano e naturale.