Bam, storia della rinascita di una città distrutta dal sisma

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Il sisma del 26 dicembre 2003 ha devastato Bam, cittadina dell’Iran meridionale. I suggestivi luoghi dell’antica Arg–e–Bam hanno ispirato gli scenografi del film tratto dal romanzo Il deserto dei tartari di Dino Buzzati, mentre Pier Paolo Pasolini ha qui girato una sequenza del film Le Mille e una notte. Le antiche e caratteristiche costruzioni in mattoni di terra cruda sono valse a questa città non lontana dalle “vie della seta”, il riconoscimento di patrimonio dell’umanità, ragion per cui il processo di ricostruzione e rinascita post–terremoto è stato particolarmente sentito e partecipato non solo dalle forze locali ma anche dai paesi della comunità europea ed internazionale.

Ripercorriamo dunque i passi salienti della vicenda, dal sisma alla ricostruzione, e cerchiamo di capire i perché di una scelta tanto coraggiosa.

Breve storia della cittá

Recenti ricerche archeologiche hanno portato alla luce tracce di insediamenti achemenidi risalenti al VI–IV secolo a.C.
Occupata dagli Arabi nel 642, nel X secolo Bam era nota come “città imprendibile grazie al fitto sistema di fortificazioni ed alla collocazione geografica strategica, essendo situata su un altopiano avvolto da catene montuose.

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La gran parte degli edifici danneggiati dal sisma fu eretta nel periodo sassanide (1502–1722), allorché la città era dotata di un sistema di fortificazioni con ventotto torri e di una doppia cinta posta a protezione della cittadella, Arg, situata sul colle più alto.

Dopo l’invasione afgana del 1722, Bam fu abbandonata dalla popolazione divenendo una città militare.
Nel 1810 venne conquistata da nuovi invasori diventando, nel 1932, una sorta di deposito d’armi e, alla fine del secolo scorso, luogo di traffico per contrabbandieri di armi e droga.

Riscoperta nella seconda metà del Novecento, è stata dichiarata patrimonio culturale dell’umanità dall’Unesco in quanto uno dei pochi e preziosi esempi viventi di architettura in argilla rossa al mondo: “Arg–e Bam è l’esempio più rappresentativo di una cittadella fortificata medievale costruita con tecniche vernacolari che utilizzano strati di fango (Chineh), mattoni d’argilla essiccati al sole (khesht) e strutture a volta e a cupola.
(tratto da “Bam, la città distrutta”, di Matteo Guardini)

Dal 1953 l’antica cittadella ha subìto una serie di restauri che si sono succeduti fino alla distruzione sismica del 2003.

La città conserva ancora oggi alcuni tra i più antichi canali sotterranei di irrigazione, i tipici qanāts delle oasi, perfettamente funzionanti.

La ricostruzione ed il genius loci

La storia della rinascita della cittadella iraniana è esemplare per le scelte effettuate.
Il terremoto di 6,7 gradi Richterha demolito gran parte dell’antico borgo fortificato. Nonostante l’importante aiuto finanziario ed umanitario devoluto alla comunità colpita, la questione della ricostruzione di una città distrutta per l’80%, con oltre 43.000 vittime, 30.000 feriti e 75.000 sfollati, è rimasta a lungo irrisolta.

Molte e diverse sono le ipotesi di ricostruzione della città che si sono succedute nel tempo: lasciare le rovine nel loro stato di devastazione, oppure ricostruire secondo un intervento alla Viollet–Le–Duc o salvaguardando la riconoscibilità degli interventi.

Di estrema importanza è stata la posizione dell’architetto Hussein Tayari, che per trent’anni ha presieduto i lavori di restauro della cittadella, fermamente orientato verso la ricostruzione “mattone su mattone”, “ritenendo che ricostruire la cittadella sarebbe il solo modo per salvaguardarne la memoria.”

In effetti, la città distrutta di Bam ha scelto la strada della ricostruzione integrale dei complessi monumentali di mattoni crudi; nonostante essi non avessero alcun valore economico o abitativo, si è scelto di ricostruirli perché il complesso definisce lo spirito stesso della città.

Ci sono molte motivazioni che spingonoall’inerzia geografica durante le fasi successive ad una catastrofe naturale: per prima cosa, i modelli esistenti di proprietà del suolo solitamente restano invariati dopo il disastro; in secondo luogo, la popolazione locale mira a ripristinare i modelli preesistenti delle attività economiche e delle relazioni sociali, per rigenerare il senso di comunità; in terzo luogo, a causa di un probabile processo di graduale adattamento al rischio da parte della comunità locale.

Inoltre, le ragioni della conservazione storica potrebbero richiedere la ricostruzione di edifici o monumenti quanto più possibile vicina all’originale.

Infine, il senso di attaccamento emozionale o ideologico al posto è funzione del suo genius loci: il processo di ricostruzione normalmente coinvolge risorse destinate alla riedificazione o riorganizzazione di quegli elementi che incarnano il genius loci del posto, e quanto più un sito è antico e storico, tanto più complesso sarà questo processo.

La lezione che leggiamo dal caso di Bam è chiara: il processo di pianificazione della ricostruzione post–sisma ha dovuto necessariamente prendere in considerazione l’attaccamento fisico, emozionale ed economico della gente al luogo.

Probabilmente questo modus operandi non ha portato alla più efficiente forma di ricostruzione, ma sicuramente ha aumentato le possibilità di successo in confronto a soluzioni più radicali che cercano di cancellare via il passato e sono perciò rese inoperabili dall’ostilità pubblica. (Fonte: D. Alexander)

Post scriptum: cose che nessuno vi dirà

Il sistema costruttivo in terra cruda è tra i più diffusi al mondo, ma deve affrontare sfide di “aggiornamento” per fronteggiare il rischio sismico. A seguito del terremoto non tutte le architetture in terra cruda sono crollate. La cittadella è stata distrutta quasi interamente dal terremoto, ma gli edifici che hanno ceduto avevano subito restauri e rimaneggiamenti a partire dal 1950, mentre ironicamente, quelli che non erano stati soggetti ad alcun intervento hanno subìto meno danni o addirittura sono rimasti completamente illesi. Il caso di Bam è esemplare da questo punto di vista: sebbene le costruzioni tradizionali in terra cruda fossero quelle di cui ci si aspettava la scarsa resistenza e quindi il crollo, letali si sono rivelati invece gli edifici in cui l’acciaio moderno e i pesanti tetti in muratura gravavano sui preesistenti muri di mattoni – piuttosto che le strutture in adobe costruite con gli antichi sistemi voltati.

Questi ed altri esempi fallimentari di costruzioni antisismiche, in cui le tecnologie premoderne si combinano con disinvoltura a quelle contemporanee, possono e devono servire da monito per i potenziali pericoli derivanti dall’inserimento di tecnologie moderne all’interno dei sistemi costruttivi tradizionali dell’edilizia storica, quando questa è sottoposta ad opere di miglioramento sismico. I notiziari del mondo hanno trasmesso la notizia che siano state decine di migliaia le persone morte sotto le macerie delle antiche costruzioni in fango, mentre quasi tutti i 30.000 morti del terremoto si trovavano in costruzioni che avevano meno di trent’anni di vita (fonte: R. Langenbach).

Il sito web dell’Unesco ha pubblicato un’interessante rassegna fotografica sulla città di Bam.

Barbara Brunetti

Barbara Brunetti Architetto

Architetto e dottoranda in Restauro, viaggia tra la Puglia e la Romagna in bilico tra due passioni: la ricerca accademica e la libera professione. Nel tempo libero si dedica alla lettura, alla grafica 3d, e agli affetti più cari. Il suo sogno nel cassetto è costruire per sé una piccola casa green in cui vivere circondata dalla natura.