Abbandono edilizio e spreco del territorio. Come combatterlo. In Italia due esempi da seguire

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Nella situazione attuale del nostro pianeta, nel quale il paesaggio raggiunge a volte livelli molto alti di antropizzazione, lo spreco del territorio e il sotto–utilizzo dei volumi edilizi rappresentano un problema da porre sempre più in primo piano nelle scelte strategiche per la crescita sostenibile. Spesso il fenomeno viene erroneamente recepito nella sua sola accezione estetica e si parla esclusivamente di danno al patrimonio paesaggistico, oppure di confusione edilizia, ma il problema è ben più complesso. Paesaggio ed ambiente hanno significati diversi, ma vivono l’uno in dipendenza dall’altro. Probabilmente il problema non viene ben focalizzato perché le cause sono di diversa natura, e generalizzare il fenomeno potrebbe essere un grave errore per le scelte risolutive più idonee.

Cerchiamo quindi di concentrare l’attenzione sugli sprechi rappresentati dalle proprietà degli enti pubblici, quelle a destinazione non residenziale, che vengono parzialmente o totalmente inutilizzate, tralasciando per il momento i vari casi privati di abusivismo o di inagibilità per fatiscenza da mancata manutenzione.

LO SPRECO EDILIZIO NELLE CITTA’ ITALIANE
Lo spreco edilizio, all’interno delle città italiane, si verifica ormai da decenni, ma per fortuna il fenomeno segue uno sviluppo ancora puntuale e contenuto rispetto all’andamento amplificato nel resto del mondo. Negli USA, per esempio, ci sono intere e storiche downtown che faticano a ricrearsi un’identità nuova in contrapposizione ai business districts che sorgono velocemente nelle immediate vicinanze. In Italia i nuclei storici, nel loro complesso, non hanno mai smesso di vivere e non hanno subìto l’abbandono in grande scala: per questo hanno una più alta probabilità di essere sanati e totalmente recuperati.

L’esempio di recupero degli immobili nella città di Trieste
La città di Trieste offre un bell’esempio di presa di coscienza e di azioni propositive che partono dal basso. L’iniziativa per un “Catalogo Spazi Opportunità” si basa sull’intervento volontario dei cittadini, e mira a catalogare, attraverso la loro denuncia o segnalazione, i vari casi di abbandono edilizio. A supporto di questa iniziativa c’è “Manifetso 2020”, un’associazione apartitica ed autofinanziata, il cui obiettivo è creare una nuova identità locale attraverso il recupero dell’immobile. Manifesto 2020 è composta da individui con competenze eterogenee, affinché attraverso l’approccio integrato e multidisciplinare si possano cogliere le diverse dinamiche di cambiamento sociale ed economico e quindi risolvere le situazioni nella loro complessità ed interezza. Workshop, video su web e programmi radiofonici sono i mezzi più usati sia per sensibilizzare ulteriormente sia per discutere concretamente delle proposte. Trieste presenta problemi simili a molte altre città d’Italia, e questo atteggiamento costruttivo lascia spazio a considerazioni ottimistiche sulla possibilità di contenere – se non di risolvere – il fenomeno dell’abbandono edilizio urbano.

LO SPRECO DEL TERRITORIO IN AMBIENTE RURALE
Purtroppo il senso di inquietudine cresce quando l’analisi si sposta sull’ambiente rurale e montano. In questo contesto i dati possono diventare allarmanti almeno quanto quelli rilevati nelle zone urbane d’oltreoceano. Secondo dati forniti da Lega Ambiente, nel 2003 l’Italia contava già 2831 comuni a rischio estinzione. A parte alcuni casi di abbandono causato da catastrofi naturali (o riconducibili a tali), la maggior parte di questi centri vedono costantemente diminuire la loro densità demografica a causa della mancanza di infrastrutture e dell’offerta lavorativa. La demotivazione porta all’assenza di azioni conservative e il patrimonio immobiliare si impoverisce fortemente, anche quando si tratta di beni dal forte valore storico ed artistico.

Uno scenario inquietante e contraddittorio se si pensa che contemporaneamente in Italia vengono consumati mediamente oltre 500 chilometri quadrati di territorio vergine all’anno, per creare nuovi nuclei abitativi.

Ma tale fenomeno migratorio può considerarsi ancora oggi espressione del tempo in cui si vive? La risposta sembrerebbe negativa. La lontananza dai centri urbani, causa prima del degrado rurale, è ormai considerata un pregio del luogo, per l’alta qualità dell’ambiente e della vita. Inoltre, i nuovi mezzi di comunicazione sono svincolati dal trasporto materiale e prospettano una totale trasformazione dell’ambiente lavorativo: questo vuole e può essere molto più dinamico, e non più legato necessariamente ad un luogo.

L’esempio di recupero territoriale della comunità di Casale di Tenno

Concludiamo quindi col proporre un bell’esempio di recupero territoriale: quello della comunità di Casale di Tenno. Questo paesino può vantarsi di aver iniziato il processo di rivalutazione proprio quando l’abbandono dei centri rurali contava i suoi dati più allarmanti. Casale di Tenno fu abbandonato completamente nel dopoguerra in seguito a bombardamenti, ma già negli anni sessanta è tornato fiorente grazie al sostegno coordinato dei tre comuni altogardesani: Tenno, Riva del Garda e Arco.

Le antiche strade e case sono state mantenute in modo eccellente al punto che quando si passeggia viene da pensare che si tratti di una ricostruzione scenografica perfetta di un film, ed invece è tutto autentico.

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Molte antiche dimore sono diventate residenze alternative per artisti, che a loro volta partecipano attivamente alla vita della comunità facendosi sostenitori e co–promotori di attività culturali. Queste ultime si articolano in convegni, corsi estivi, soggiorni per artisti, Accademie ed Istituti d’arte nazionali ed esteri.

Se questa iniziativa di recupero concepita quasi cinquanta anni fa ha avuto un tale esito, allora perché non provare ad andare oltre, affinché il recupero di spazi e la promozione di nuove attività possano ristabilire nuovi e migliori equilibri ecosistemici.

Foto | Nicola De Pisapia












Giuseppina Ascione

Giuseppina Ascione Architetto

Dopo aver cambiato case e paesi per 10 anni, si stabilizza definitivamente a Rovereto. Qui inizia a concepire l'architettura come un mezzo per  investigare ed influenzare il nostro benessere psicofisico. Da allora sogna e promuove un’architettura sostenibile non concepita tanto nell'accezione ecologica del termine, quanto mirata a creare una esperienza rigenerativa per chi la vive.