Fermare la desertificazione: il recupero delle oasi con tecniche tradizionali

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La desertificazione, secondo i dati forniti dall’UNCCD (Convenzione delle Nazioni Unite Contro la Desertificazione), rappresenta un pericolo per le aree aride, semiaride e secche presenti in tutti i continenti. Minaccia un quarto delle terre del pianeta e oltre 1 miliardo di abitanti nei 100 paesi maggiormente interessati. La situazione più drammatica è quella africana, dove è a rischio il 73% delle terre aride coltivate. La cattiva notizia,

insomma, è che i deserti avanzano, ma quella buona è che il modo per fermarli esiste e passa attraverso il recupero delle oasi grazie alla riscoperta di tecniche tradizionali locali, antiche quanto il deserto.

UNA BANCA DATI MONDIALE DELLE ANTICHE TECNICHE DELLA CIVILTA’ UMANA
A promuovere tali iniziative è l’ITKI, (International Traditional Knowledge Institute), la cui missione è raccogliere una banca dati mondiale delle antiche tecniche della civiltà umana. L’istituto agisce presso governi, pubbliche amministrazioni, aziende e cittadini per diffondere i saperi tradizionali come pratiche sostenibili ed innovative in agricoltura, architettura, gestione delle acque, delle aree urbane e del paesaggio; permettendo così risparmi economici ed ecologici considerevoli, in particolare per le emissioni di CO2.

I NUOVI METODI DI LOTTA CONTRO LA DESERTIFICAZIONE
I nuovi metodi di lotta contro la desertificazione consistono proprio nell’impiego di strategie e tecniche legate alla tradizione locale delle popolazioni desertiche, dal momento che gli studiosi sono ormai riusciti a convincere i governi che è più utile ricorrere alle tecniche tradizionali che ai metodi moderni ad alta intensità di spreco energetico e di investimenti. A differenza infatti delle tecnologie moderne che procedono per separazione e specializzazione, i saperi tradizionali uniscono e integrano, operando una sintesi. Nei climi aridi, la prima sintesi di quest’antica ingegnosità non poteva che essere l’oasi, intesa appunto come realizzazione umana volta a creare una sinergia uomo–natura, tanto più perfetta quanto più guidata da una profonda conoscenza ambientale.

LE FOGGARA, OPERE DI INGEGNERIA IDRAULICA ANTICHE E STRAORDINARIE
Siamo stati a lungo abituati a considerare l’oasi come l’eccezione dei deserti, un miracolo della natura. La parola evoca subito una cartolina esotica: palme pittoresche che rompono la monotonia del deserto, giardini solitari nella sabbia, orti impossibili tra le dune. Simboli di speranza e testimoni millenari della storia, le oasi compaiono già nei papiri dell’Antico Regno d’Egitto come “uahat”, che è ancora oggi il termine con cui gli arabi le chiamano; ma l’esotismo, l’immaginario un po’ ingenuo legato ai miraggi e il turismo fighetto in cerca di cartoline arrivarono per fortuna solo molto più tardi. Malgrado ciò le oasi hanno un tratto in comune con i miraggi: ingannano l’occhio. Sembrano fenomeni naturali; invece le oasi sono quasi sempre opere antropiche. Un prodotto culturale, ottenuto grazie all’ingegno dell’uomo, che si sono evolute e affinate a partire da epoche preistoriche sfruttando con sapienza il fenomeno della condensa tramite opere di ingegneria idraulica antiche e straordinarie, le foggara. Si tratta di un sistema di piccole gallerie sotterranee drenanti, dalle quali sgorga l’acqua senza che ci sia una sorgente all’inizio del tunnel. In corrispondenza del tunnel sotterraneo, in superficie, si trovano delle costruzioni simili a piccoli e stretti pozzi, situati a circa 8–10 metri l’uno dall’altro, che comunicano con il tunnel principale e per effetto dell’inclinazione del tunnel e della differenza di temperatura, l’umidità si accumula per condensa formando così un piccolo rivolo d’acqua. Non sono pozzi, non vanno in profondità, non depauperano nulla, non intaccano il capitale idrico della falda; raccolgono solo ciò che andrebbe disperso (si può arrivare a raccogliere in una notte 5 litri d’acqua per una superficie di 20 metri quadrati). La foggara è convogliata sotto le case e le caverne e costituisce anche un sistema di condizionamento delle abitazioni, fino a terminare in una depressione ben delimitata che, così abilmente alimentata, diventa il giardino delle classiche palme da dattero (Phoenix dactylifera). Grazie alla loro ombra è così possibile veder crescere erbe aromatiche, fiori medicinali, frutti; non a caso gli Egizi nei periodi di crisi e siccità traevano sussistenza e cibo proprio dalle oasi in cui ancora oggi si coltivano, oltre ai datteri, agrumi, miglio, ortaggi, orzo e frutta.

Il sapere tradizionale diventa quindi uno strumento essenziale per la protezione del territorio dall’avanzata dei deserti e per la fertilità dei suoli, con effetti di efficacia superiore alle tecniche attuali. E non ci sono solo le foggara. Infatti, così come un semplice terrazzamento è allo stesso tempo un modo per proteggere un pendio, ricostituire i suoli, raccogliere l’acqua; così nelle zone aride quella che può sembrare una rete di stradine è in realtà, nei momenti di piena, un importante strumento per la canalizzazione dell’acqua, in grado di assolvere alle diverse esigenze secondo gli andamenti stagionali.

È importante capire che ogni tecnica tradizionale non è solo un espediente per risolvere un singolo problema, (si pensi anche alle costruzioni rupestri e alle architetture spontanee) ma è sempre un metodo, elaborato e spesso multifunzionale, frutto di un approccio integrato ed istintivo tra società, cultura ed economia; accompagnato da una visione del mondo consapevole dei propri limiti proprio perché basata sulla gestione accurata delle risorse locali e rinnovabili.

E se questa definizione delle tecniche tradizionali vi sembra simile a quella di sviluppo sostenibile avete perfettamente ragione. La sostenibilità sembra un concetto nuovo, ma non lo è per niente. È solo che in passato erano abituati a chiamarlo “buon senso”.

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Leggi un articolo sulla sostenibilità delle oasi











Alberto Grieco

Alberto Grieco Architetto

Frequentando una signora chiamata Storia, ha scoperto che l’architettura bio-eco-ecc. non ha inventato Nulla©, ed è per questo che perde ancora tempo sui libri. Architetto per vocazione; tira con l’arco, gira per boschi, suona e disegna per vivere. Lavora nel tempo libero per sopravvivere.