Edifici in bambù: l’eleganza delle architetture vegetali

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Per noi occidentali il bambù rappresenta un materiale non idoneo per la realizzazione di edifici, sia dal punto di vista prestazionale che estetico. Eppure questa erba a gambo cavo non è adatta solo a fragili capanne tropicali: superate le normali diffidenze, si scopre che i veri ostacoli alla diffusione del bambù in Europa sono l’approvviggionamento della materia prima, il vuoto normativo e la mancanza di conoscenza. Vogliamo dimostrare, attraverso alcuni esempi di architetture di qualità realizzate in diversi luoghi del pianeta, che il bambù ha enormi potenzialità espressive e di impiego strutturale. Sono state selezionate delle architetture progettate da architetti occidentali che hanno saputo interpretare il bambù secondo la nostra scienza costruttiva, superando gli schemi tradizionali di impiego, fornendo al bambù diverse potenzialità e un’espressività nuova.

THE GREEN SCHOOL – John Hardy

John Hardy e la sua compagna Cynthia hanno deciso di realizzare la Green School per motivare la comunità indonesiana di Bandung, a Bali in Indonesia, a vivere in modo sostenibile; la scuola è per studenti di età diverse e segue degli indirizzi formativi nuovi e consoni al luogo dove è situata. La scuola è aperta da pochi anni, è alimentata energicamente con fonti rinnovabili ed è un grande esempio di eco–engineering che vale la pena visitare. E’ un complesso di edifici costruiti con materiali vegetali del luogo. Il campus ha tutti i servizi di una scuola classica: dispone di aule, palestra, laboratori, sale computer, uffici, bar e bagni. I suoi edifici sono realizzati con struttura portante costituita da tre spirali in bambù, erba locale e mattoni di fango; è lunga 60 metri, non ha nessuna tamponatura e si alza verso al cielo fino all’altezza di 19 metri. Realizzare tutto ciò non è stato semplice e gli ingegneri che si sono occupati della progettazione della struttura hanno dovuto realizzare dei modellini in scala per rendere comprensibile la costruzione agli artigiani locali abituati a costruire edifici diversi. Il rapporto con la natura in questa architettura è non solo dovuta all’utilizzo dei materiali ma soprattutto alla possibilità dello sguardo di spaziare dall’interno verso l’esterno senza interruzioni.

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THE MASON LANE FARM OPERATIONS FACILITY – De Leon & Primmer

La Fattoria Mason Lane Operations Facility, situata a Goshen, nell’Indiana, è un nuovo complesso per la manutenzione, il rifornimento e il ricovero di macchine agricole, dotata di un volume per lo stoccaggio stagionale di grano e fieno. La struttura è annessa alle lavorazioni di circa 800 ettari di terra utilizzata per l’agricoltura e per la salvaguardia della fauna locale. Uno dei capannoni è rivestito interamente da canne di bambù, legate insieme con fascette in metallo zincato in modo da tessere una griglia tridimensionale che da un lato conferisce eleganza al fienile, dall’altro, essendo permeabile all’aria, risulta utile all’asciugatura del fieno.

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THE ZOCALO NOMADIC MUSEUM – Simon Velez

L’architetto Simon Velez, di nazionalità colombiana, ha perfezionato negli anni la sua tecnica sul bambù in numerosi progetti, realizzando strutture graziose e forti come le fasce muscolari di un essere vivente. Velez ad oggi rimane uno degli architetti maggiormente specializzati nell’utilizzo del bambù, avendone studiato le caratteristiche fisiche, le possibili e migliori applicazioni, dimostrandone tutti i vantaggi possibili. Il “Nomadic Museum” è stato montato nel 2008 a Città del Messico. E’ una struttura temporanea, fatta di bambù e container così come altri materiali riciclati, che possono essere smontati e rimontati in diverse località. E’ un museo sostenibile e all’epoca della sua costruzione era la più grande struttura di bambù mai creata. La struttura occupava 5.130 mq e conteneva due gallerie espositive e tre distinti teatri. E’interessante come Simon Velez abbia saputo integrare elementi non comuni e di utilizzo non costruttivo come il bambù e il container, che sono elementi agli antipodi per significato e linguaggio. Egli riconosce la bellezza dei “bamboo building”: costruzioni che richiedono molta manodopera e ormai l’architetto colombiano si affida ad un team di artigiani esperti e affiatati.

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CARABANCHEL HOUSING – Foreign Office Architects

L’architettura in questione è una realizzazione residenziale situata a Carabanchel nella periferia di Madrid; è un edificio di pregio architettonico corredato da impianti di produzione energetica rinnovabile. Un esempio diverso dai precedenti in quanto è un edificio che presenta fortemente la sua visione contemporanea dell’architettura occidentale. Il bambù è impiegato in facciata e permette alla luce di entrare con un effetto molto particolare. In questo edificio il bambù non ha funzione strutturale ma svolge l’importante ruolo di filtro solare, di protezione visiva e di rivestimento. I progettisti hanno lasciato la libertà di configurazione dei moduli apribili, prevedendo la manovrabilità attraverso un sistema di ante a fisarmonica ripiegabili verso l’esterno. A rendere espressiva la pelle dell’edificio ci pensano quindi le abitudini, i desideri e la creatività dei residenti. La superficie in bambù può provvisoriamente, assumere una delle tante conformazioni dalla totale chiusura a quella di completa apertura. L’utilizzo del bambù in questo caso non comporta la scelta di una specie di bambù ad alto fusto perché ogni stelo è di ridotte dimensioni.

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© Foreign Office Architects | Immagini di Francisco Andeyro e Alejandro Garcia© Foreign Office Architects | Immagini di Francisco Andeyro e Alejandro Garcia

 

GREAT BAMBOO WALL HOUSE – Kengo Kuma

Kengo Kuma, architetto sensibile alle tematiche ambientali, nella progettazione di questo edificio racconta di aver tratto ispirazione dalla Grande Muraglia Cinese che, seppure opera dell’uomo, non è mai un oggetto isolato nel paesaggio, piuttosto vive in profonda simbiosi con esso. L’idea dell’integrazione e della fusione fra architettura e territorio conferisce significato all’uso del bambù in questo edificio. Bambù, carta di riso, ardesia e vetro sono i materiali con i quali la casa si lega al luogo. In particolare il bamboo (elemento vegetale della tradizione costruttiva locale) diventa la pelle dell’abitazione, che appare rivestita da cortine di canne a distanza variabile l’una dall’altra. Attraverso questo materiale speciale, lo spazio interno è più protetto in alcuni punti, in altri punti è filtrato. A seconda della densità del bambù e del suo diametro, l’architetto ha una varietà di opzioni possibili per la partizione dello spazio. L’architettura di Kengo Kuma, infatti è quasi essa stessa episodio naturale.

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THE BAMBOO CHOCOLATE FACTORY – Pete Celovsky

La struttura, orgogliosamente ecosostenibile, di 26.500 mq è adibita a fabbrica per la lavorazione del cioccolato. In questo caso l’edificio risponde nel suo linguaggio architettonico ad esigenze comunicative dell’azienda che lo occupa. La costruzione della nuova sede della Big Tree Farm incarna la sua missione ecologista e la visione della società. Almeno fino al momento della sua realizzazione è diventata la più grande struttura commerciale in bambù del mondo. La struttura di grande complessità formale appare simile ad una costruzione religiosa, è alta 15 metri ed è stata progettata dall’architetto Pete Celovsky, un architetto di Seattle, trasferitosi a Bali. Oltre al materiale vegetale del nucleo dell’edificio, sono state installate due vasche di raccolta dell’acqua piovana per scopi non alimentari. Il progetto della fabbrica, nella sua forma a tre piani, comprende uffici, un locale per la vendita al dettaglio con caffetteria, spazi di magazzino, aree meeting, un centro congressi e uno spazio di produzione.

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Stefano Liberati

Stefano Liberati Architetto

Nasce a Roma dove vive da sempre. Ricorda gli anni universitari come i più stimolanti della propria vita. Crede che viaggiare sia estremamente importante per diventare un buon architetto. Ascolta musica mentre progetta al computer e trascorre il tempo libero con le persone che ama. Sposato da poco è in attesa che la famiglia si “allarghi”.