- scritto da Francesco Cherubini
- categoria Energie rinnovabili
Strategie energetiche: sistemi di accumulo dell’energia elettrica
Sin dalle migrazioni delle prime tribù nomadi attraverso i continenti, dopo l’appropriazione delle fonti e delle risorse, il secondo problema strategico che ha portato al prevalere di popoli e civiltà è la capacità del loro mantenimento. Oggi, pensando all’energia come al bene più prezioso dal punto di vista commerciale, in quanto alla base di qualsiasi processo produttivo o trasformativo nelle sue forme di carburanti o vettori come l’elettricità, il problema principale all’interno delle strategie energetiche è legato allo stoccaggio.
Strategie di stoccaggio del gas, delle benzine, del carbone, ma anche dell’elettricità.
In realtà l’elettricità non è altro che il movimento di elettroni e ioni, ed il suo accumulo pone delle problematiche assai diverse da quelle del semplice accantonamento di un materiale che fa da carburante.
Infatti mentre per lo stoccaggio di quest’ultimo occorre prestare attenzione al sito di deposito e allo spazio necessario al suo interno, soprattutto per le particolari caratteristiche chimico–fisiche del carburante stesso, per l’elettricità invece si tratta essenzialmente di creare dei dispositivi che siano in grado di erogare nuovamente l’energia elettrica con la quale sono stati predisposti e caricati.
Dunque se abbiamo un surplus di energia elettrica, la usiamo per creare quella che chiameremo differenza di potenziale all’interno di un dispositivo che ci renderà tale energia in un altro momento, quando attiveremo il dispositivo medesimo.
Un po’ meno purtroppo perché, come in ogni trasformazione fisica, la natura pretende un “dazio”, il che porta a definire l’efficienza dei sistemi di accumulo: se inserisco 100 nel mio dispositivo, tra la trasformazione diretta e quella inversa alla fine otterrò indietro 60, o anche meno, ed il rapporto tra la seconda e la prima cifra rappresenterà il rendimento del mio sistema di accumulo.
SISTEMI DI ACCUMULO DELL’ENERGIA ELETTRICA
Ad oggi i dispositivi di accumulo possono distinguersi tra quelli che hanno una differenza di potenziale di vario genere, come i bacini di accumulo di montagna, le pile ad idrogeno, etc. e quelli che hanno una differenza di potenziale elettrochimico, come pile e batterie.
Se i primi hanno grandi dimensioni e si basano comunque su accumuli di elementi intermedi come l’acqua o l’idrogeno (o anche dispositivi ingombranti come i grossi volani per i sistemi inerziali di tipo meccanico), i secondi possono avere dimensioni variabili, anche tascabili, ed una notevole flessibilità, anche se i rendimenti e i tempi di vita lasciano un po’ a desiderare; queste due caratteristiche tuttavia li rendono compatibili con i sistemi di produzione locale dell’energia, i piccoli sistemi domestici o aziendali che nascono dagli investimenti dei consumatori stessi.
Su questa considerazione si basano le strategie energetiche di alcuni dei paesi industrializzati.
Se molti paesi mirano da sempre a inventare ed implementare sistemi centralizzati di accumulo dell’energia prodotta o trasportata sulle dorsali delle reti elettriche a livello nazionale, altri stanno invece puntando proprio sugli accumuli di tipo diffuso, quelli “domestici” per intenderci.
Tale differenza è più importante di quanto possa sembrare, perché è conseguente ad una strategia di gestione delle reti, dei sistemi di produzione e trasformazione, delle modalità di distribuzione e consumo.
SISTEMI CENTRALIZZATI PER L’ACCUMULO DELL’ENERGIA ELETTRICA
Nell’ipotesi di strategie energertiche basate su sistemi centralizzati, il sistema di accumulo deve supportare le caratteristiche della fornitura e quelle del consumo. Le prime sono legate alla tipologia dei contratti con paesi o altri soggetti produttori, che mettono a disposizione una produzione continua nel tempo che mal si adatta alle curve di consumo, e alle modalità di erogazione alla fonte.
Queste ultime sono determinate dai cicli di funzionamento delle centrali e dai piani economici di produzione delle stesse; ad esempio una centrale nucleare ha una produzione costante che non può essere interrotta né modulata, mentre le centrali fotovoltaiche producono essenzialmente in base alla presenza del sole, modulando la potenza di erogazione in base alle condizioni climatiche, spesso in contro–fase rispetto alle esigenze di consumo.
Le seconde sono legate alla “forma” dei consumi nazionali, che è determinata dal tipo di industrie presenti sul territorio, dall’efficienza dei processi industriali, dai consumi domestici di massa a loro volta determinati dagli orari di lavoro e dalle cadenze settimanali, dall’efficienza energetica degli immobili, etc.
Inoltre gli accumuli a livello nazionale possono in qualche modo ovviare a difficoltà di distribuzione della corrente elettrica derivanti dalla inadeguatezza o cattivo dimensionamento della rete, soprattutto sulle dorsali che attraversano il territorio, anche se più spesso si pone il problema inverso, ovvero di adeguare la rete alla dislocazione dei grandi centri di accumulo.
I grandi sistemi infine possono godere delle economie di scala e della possibilità di usare altri vettori come l’acqua dei bacini idroelettrici alpini. Tuttavia dei sistemi così grandi necessitano di una adeguata gestione, sia tecnica che economica, oltre che di un adeguato interfacciamento con il sistema di approvvigionamento e distribuzione nazionale.
La filosofia del conto energia e di altri finanziamenti italiani finora è stata quella di demandare il problema dell’accumulo alla gestione nazionale (in pratica alla rete) a fronte dell’incentivo all’installazione di una produzione di energia diffusa sul territorio, pretendendo come requisito essenziale che l’impianto fosse direttamente connesso con la rete stessa.
Uno degli effetti negativi di ciò è stata la obbligatorietà dell’espletazione di una serie di pratiche lunghe e complesse che definiscono il rapporto tra il “produttore” di energia e un ente nazionale che comunque prende in consegna l’energia e la gestisce in sua vece prima di erogarla nuovamente allo stesso soggetto che in questa seconda fase veste i panni del consumatore.
LA SCELTA ITALIANA: INNOVAZIONE IN TERNA
L’Italia privilegia questa strategia, dirottando una parte dei finanziamenti per le energie rinnovabili verso la realizzazione di sistemi di accumulo avanzati da parte dell’ente gestore, Terna, società privata anche se unica a livello nazionale ( liberismo statalizzato o statalismo liberale? È di pochi giorni fa la buona notizia di forti utili per la società, che tuttavia interesserà solo i soci, visto che i risparmi prodotti non modificheranno gli oneri sulle bollette ).
Dunque l’AEEG ha definito (Del. 288/2012/R/EEL) il finanziamento di 3 progetti pilota relativi a sistemi di accumulo dell’energia elettrica.
Terna non si è fatta trovare impreparata ed ha a sua volta pubblicato un primo bando per la realizzazione di un primo sistemada 10MW (tecnologia: batterie al Litio), che corrispondono alla potenza di circa 3000 piccoli impianti domestici, ed un secondo per due impianti da 1MW (tecnologia: batterie al Sodio), quest’ultimo con il coinvolgimento del primo produttore italiano di batterie, la storica FIAMM.
In realtà i progetti di Terna vanno assai oltre e questi primi progetti pilota aprirebbero le commesse per la realizzazione di ulteriori 240MW di accumulo.
Per capire una delle conseguenze del concetto di strategia centralizzata occorre notare che il bando per la realizzazione di questo tipo di accumuli chiede come requisito un fatturato di 10 mln di euro negli ultimi 3 anni ed aver realizzato batterie al sodio per almeno 500kW.
In questo senso si sta già formando un consorzio di grandi imprese, che coinvolge ABB, NEC Italia, Ansaldo, Gruppo Tozzi e SAET.
Tale strategia non coinvolge i piccoli produttori (i proprietari di piccoli impianti con fonti rinnovabili), tanto meno i consumatori, visto che nell’ottica degli ultimi finanziamenti le due figure rimangono distinte.
Le ditte coinvolte sono di grosso taglio, ben lontano da quello della più diffusa azienda a dimensione familiare che aveva caratterizzato lo sviluppo del settore delle rinnovabili in questo ultimo decennio.
Una delle conseguenze infine sarà la necessità di rimettere mano alla rete per renderla funzionale alla gestione dei grandi accumuli in relazione ai punti di prelievo diffusi sul territorio, ma anche a questo penserà Terna, magari finanziandosi con percentuali dei costi in bolletta.
Intanto i piccoli produttori/consumatori possono consolarsi con le ipotesi di Nicola Cosciani, presidente gruppo Sistemi di Accumulo di ANIE, secondo il quale i primi finanziamenti alla ricerca nel settore porteranno alla diffusione commerciale anche a livello domestico e ad un conseguente abbassamento dei prezzi sul mercato di nuove tecnologie più performanti, e persino alla nascita di nuovi operatori per servizi di flessibilità della fornitura.
SISTEMI LOCALIZZATI PER L’ACCUMULO DELL’ENERGIA ELETTRICA
Se la strategia appena descritta nasce dall’esigenza di gestire grandi centrali di produzione di energia centralizzate, e più spesso anche le importazioni di energia dall’estero, invece l’installazione delocalizzata di piccole centrali di produzione, come sono quelle con fonti rinnovabili, introduce la possibilità di fare uso di sistemi di accumulo anch’essi delocalizzati, che siano in grado di gestire le asincronie tra produzione e consumo già a livello locale.
In questo senso prima di tutto è necessario abbandonare la visione secondo la quale l’ente nazionale gestore dell’energia (GSE), o della sua distribuzione (TERNA), gestiscono interamente le quote di produzione e consumo, separando i ruoli di produttore e consumatore nello stesso soggetto.
In pratica è necessario ammettere che il soggetto produttore, nella misura dei suoi consumi, gestisce da sé l’energia prodotta, senza dover passare attraverso una concertazione con l’ente nazionale.
Ovviamente questo è tanto più realizzabile quanto meno sono necessarie delle sovvenzioni pubbliche, ovvero quanto più ci si avvicina alla grid parity, e quanto più il soggetto privato si fa responsabile e onesto nei confronti dell’ente pubblico. Di fatto la liberalizzazione del mercato dell’energia già spinge in questa direzione.
Poi c’è l’aspetto della modulazione della produzione e dei consumi.
Il problema sorge quando le relative curve sono sfasate, ovvero necessito di energia quando non ne produco e viceversa.
L’accumulo locale dunque serve a spostare il surplus prodotto in alcuni momenti della giornata (o della settimana), relativamente ai dati di produzione e consumo del singolo utente, in altri dove ai consumi non corrisponde una adeguata produzione (esempio: giorni di pioggia per il solare).
Ci sono studi che si occupano anche degli sfasamenti stagionali, ovvero nel corso dell’intero anno (sovrapproduzione solare estiva e necessità invernali, per esempio), ma la complessità di questi sistemi è notevole.
Tornando agli accumuli giornalieri o settimanali, la strategia dei sistemi localizzati consiste nel predisporre degli accumuli opportunamente dimensionati per ogni punto di produzione e consumo.
VANTAGGI “IN LOCO”
I vantaggi sono molteplici. Anzitutto l’onere della gestione dell’accumulo (ed in parte anche della provvisione) viene delegato al privato, con il duplice effetto di alleggerire la gestione nazionale (meno personale e meno spese) e responsabilizzare il produttore–consumatore, il quale diviene primo e diretto interessato all’efficienza e all’ottimizzazione del sistema.
In seconda battuta vengono in buona parte eliminate le curve di consumo: i picchi vengono smorzati a livello locale, e questo costituisce un enorme vantaggio per la gestione dei contratti di acquisto, che come si diceva non tengono conto dei picchi.
Fa riscontro anche un disegno diverso delle reti di distribuzione e del loro dimensionamento.
Se per i sistemi centralizzati la priorità è data alle capacità di trasporto e di collegamento con le fonti, per i sistemi distribuiti l’elemento strategico fondamentale è la flessibilità del sistema, la capacità della rete a riorganizzarsi e a generare flussi in tutte le direzioni ed in ambo i versi. In pratica si tratta di realizzare smart grids, cosa su cui stanno lavorando molti paesi indipendentemente dall’orientamento in tema di rinnovabili.
Ad una flessibilità della rete corrisponde anche una flessibilità di gestione in caso di danni o eventi catastrofici.
Come accade in generale nelle reti, da quella neurale a quelle delle comunicazioni, la presenza di molteplici centri di gestione (ripetitori, amplificatori, centraline, etc.) facilita il mantenimento della funzionalità complessiva nel caso di interruzione di funzionamento di una singola parte: in presenza di accumuli delocalizzati sarebbe impensabile che il danno di una grossa arteria di distribuzione sul confine alpino metta in ginocchio la capitale, come accadde in occasione della notte bianca romana del 2003.
Altra riprova della funzionalità di tale strategia è la presenza di gruppi generatori nei centri strategici di emergenza (ospedali, caserme, centri di comunicazione, etc.) del paese, antesignani poco efficienti dei moderni sistemi di accumulo locale.
Un’ultima considerazione riguarda le potenzialità economiche di mercato relative in generale ai dispositivi di accumulo. L’ANIE, federazione italiana delle imprese elettrotecniche ed elettroniche, promotrice del consorzio di aziende interessate agli accumuli centralizzati di cui abbiamo già parlato, osserva che tale tecnologia genererà entro il 2020 un giro di affari di oltre 4 miliardi di euro l’anno.
Dunque una notevole risorsa in tempi di crisi e di concorrenza, che i vari paesi potranno (non l’Italia, che ha già deciso per una politica centralizzata) mettere a disposizione del libero mercato per far crescere nuovi settori produttivi, con particolare attenzione alle PMI e all’utenza diffusa.
LA SCELTA TEDESCA: FINANZIAMENTI AI PICCOLI ACCUMULI
È curioso come la Germania si ponga spesso per noi come termine di confronto.
Del resto lo sport nazionale in Italia, che consiste nel criticare i fatti con dovizia di argomenti, non prevede una lucida analisi delle cause: nel 1948, con quegli stessi fondi del piano Marshall che i nostri politici usarono per creare la speculazione edilizia di cui oggi paghiamo pesanti conseguenze, fu fondata la KfW, una banca statale per la ricostruzione che negli ultimi anni è divenuta il motore finanziario della Energiewende, la politica energetica che permetterà alla Germania di transire dal nucleare e dagli idrocarburi alle fonti rinnovabili.
Dal 2009 ha finanziato il 43% di tutti gli impianti rinnovabili e nel solo 2010 ha erogato 8,8 miliardi di euro per la riqualificazione energetica di quasi 430.000 abitazioni.
Oggi mette sul piatto 50 mln di euro per intraprendere il primo passo verso il rafforzamento della rete energetica attraverso la installazione di accumuli di taglio domestico diffusi sul territorio. I finanziamenti, a 5, 10 o 20 anni, copriranno il 100% dei costi non solo dell’accumulo, ma dell’intero impianto, a tassi e condizioni agevolati.
Dal 1° maggio inoltre il Ministero dell’Ambiente attiverà un nuovo incentivo che eroga un contributo a fondo perduto fino al 30% per l’installazione di batterie di accumulo per impianti FV di nuova installazione con potenza massima di 30kW, assieme alla richiesta che l’impianto in oggetto immetta almeno il 60% dell’energia generata in rete.
Mi piace ricordare che investimenti di questo tipo, 52GW di FV installato la cui produzione viene ora ottimizzata e regolamentata attraverso l’integrazione con la rete e con i sistemi di accumulo, non sono visibili con gli attuali indici economici di produttività e consumo, divenendo una risorsa strategica che in questi anni vari paesi stanno sviluppando, e su cui in futuro potranno contare per una maggiore stabilità economica negli altri settori da essa dipendenti, come quello produttivo.
CRITICHE
In effetti il costo dei sistemi di accumulo è notevole, della stessa entità di quello dell’impianto, e la tecnologia non è ancora stata sviluppata appieno, visto che ha avuto una limitata diffusione nel mercato.
Su questo argomento vertono le critiche maggiori all’incentivo, che tuttavia, guarda caso, arrivano da stakeholders di grosso calibro come la BDEW (Associazione Federale dell’Industria Idrica ed Energetica) e la Dena (Agenzia tedesca per l’Energia).
Del resto la critica è la stessa rivolta alle celle al silicio una decina di anni fa, quando il prezzo, quasi 10 volte l’attuale, era considerato elevato e difficilmente abbattibile.
Altra critica riguarda la ricaduta economica dell’incentivo, recuperato, almeno in parte, in bolletta.
Essa tuttavia non tiene conto del fatto che dei costi per l’adeguamento della rete, sia in un sistema centralizzato che in uno delocalizzato, sarebbero comunque presenti, e comunque sarebbero recuperati dalle bollette. Piuttosto in quest’ultimo caso, a fronte di un aggravio delle imposte, il privato cittadino avrebbe la possibilità di un recupero dell’imposta attraverso la proprietà di un sistema di accumulo domestico.
Un ultimo argomento, forse il più debole tra gli altri, focalizza sulle possibilità di sbilanciamenti della rete dovuti all’utilizzo “anarchico” locale.
In realtà le caratteristiche e le funzioni dell’accumulo già di per sé portano ad un funzionamento di immissione/prelievo rispetto alla rete prevedibile, senza contare le potenzialità che le moderne centraline e contatori intelligenti sono in grado di mettere a disposizione del gestore della rete.