- scritto da Tania Talamo
- categoria Curiosità ecosostenibili
Le città di transizione, per un mondo in cui il petrolio non c’è
Sapevate che ben più di un migliaio di comunità molto diverse in tutto il mondo (dalle città in Australia a vari quartieri in Portogallo, dalle città in Brasile alle comunità rurali in Slovenia, dalle sedi urbane in Gran Bretagna alle isole al largo della costa del Canada) stanno sviluppando un nuovo modello di sostenibilità non dipendente dal petrolio, ma caratterizzato dal concetto di resilienza? Parliamo delle città di transizione,
le città di transizione.
Seguono questo esempio, già da alcuni anni, anche numerose città italiane. Ecco la mappa! La prima città ad aderire a questo movimento culturale, nato in Inghilterra è stata Monteveglio (CT).
LA NASCITA DELLE CITTA’ DI TRANSIZIONE
Le Transition Towns, nate dalle intuizioni e dal lavoro di Rob Hopkins con un progetto strategico (inizialmente solo un’esercitazione scolastica) che indicava come una piccola città avrebbe dovuto riorganizzare la propria esistenza in un mondo in cui il petrolio non fosse stato più economico e largamente disponibile. Lo studio è poi culminato nel saggio Energy Descent Action Plan. Un’approccio multidisciplinare tra energia, salute, istruzione, economia e agricoltura, messo poi in pratica da Louise Rooney, uno degli studenti di Hopkins a Kinsale Town, in Irlanda.
L’appellativo “città” rappresenta in realtà comunità di diverse dimensioni, da piccoli villaggi a distretti fino a vere e proprie città che si oppongono alla società industrializzata strutturata dall’ attuale modello economico basato profondamente su una vasta disponibilità di petrolio a basso costo e sulla logica di consumo delle risorse come se fossero infinite. Le conseguenze più evidenti di questa politica sono il Global Warming e il picco delle risorse, prime tra tutte il petrolio, una combinazione di eventi dalle ricadute di portata epocale sulla vita di tutti noi. Ci sono molti altri effetti che si sommano a questi, inquinamento, distruzione della biodiversità, iniquità sociale, mancata ridistribuzione della ricchezza, ecc. La crisi petrolifera e il cambiamento climatico appaiono però la minaccia più immediata.
OBIETTIVO RESILIENZA
L’obiettivo perseguito è di sviluppare la “resilienza” delle comunità: la capacità di un sistema, specie od organizzazione di adattarsi ai cambiamenti, anche traumatici, che provengono dall’esterno senza degenerare; una sorta di flessibilità rispetto alle sollecitazioni. E la società industrializzata è caratterizzata da un bassissimo livello di resilienza!
Ci si propone quindi di ricondurre i modelli sociali di sfruttamento delle risorse ad una dimensione consapevole e rispettosa dei limiti biologici del pianeta, attraverso la strutturazione di una comunità sostenibile e altamente vivibile.
Lo si fa con proposte e progetti incredibilmente pratici, fattivi e basati sul buon senso. Prevedendo processi governati dal basso e la costruzione di una rete sociale e solidale molto forte tra gli abitanti delle comunità. Non si ricercano solo mezzi alternativi al petrolio, ma varie misure quali la creazione di gruppi di acquisto solidale, l’installazione di pannelli solari, la creazione di orti condivisi, il riciclaggio di materie di scarto come materia prima per altre filiere produttive, o semplicemente la riparazione di vecchi oggetti non più funzionanti in luogo della loro dismissione.
La Transizione propone un modello diverso, ispirato alla permacultura, che studia il modo in cui la natura si organizza e ne imita le strategie applicandole agli insediamenti umani, all’agricoltura, all’economia fino a diventare una vera e propria filosofia generale.
Le tappe per creare una città di transizione sono descritte precisamente sul sito in 12 “passi”.
Un modo per dire che si può diventare eco senza aspettare leggi, decreti dall’alto, ma con azioni quotidiane.