- scritto da Mario Rosato
- categoria Curiosità ecosostenibili
Bonifica dell’area ILVA di Taranto. Una pianta mediterranea la possibile soluzione
Alcuni ricercatori dell’Università Autonoma di Barcellona hanno dimostrato che la salsapariglia, una pianta mediterranea, rampicante e spinosa, conosciuta anche con il nome di “stracciabraghe”, si potrebbe utilizzare per la fitorimediazione dei suoli contaminati con metalli pesanti. La natura ci dà una soluzione alla bonifica ambientale di tante aree come quella dell’ILVA di Taranto con problemi di contaminazione da metalli.
Si chiama fitorimediazione il processo per il quale si utilizzano piante per assorbire i metalli pesanti dai suoli inquinatie che potrebbe portare alla bonifica dell’area dell’Ilva di Taranto.
Le piante fitorimediatrici, per poter essere considerate tali, devono possedere una tolleranza elevata ai metalli, ed inoltre, specialmente nell’area del Mediterraneo, devono essere resistenti a svariati fattori quali lo stress idrico, elevate temperature estive, suoli con scarso contenuto di nutrienti, pH o troppo acido o troppo basico, salinità e tessitura del suolo inadeguata allo sviluppo delle radici. Inoltre non devono trasferire i metalli pesanti alle foglie, altrimenti questi entrerebbero nella catena trofica attraverso gli erbivori.
Costituiscono caratteristiche di sicuro interesse per la selezione di una data specie a scopo di fitorimediazione la sua produttività di biomassa e la sua qualità come combustibile (valore calorifico, densità apparente contenuto di ceneri, ecc.).
LA SALSAPARIGLIA
La salsapariglia,Smilax aspera L., è una specie lianosa rampicante sclerofilla (cioè a foglie coriacee) e perenne, dotata di numerose e acute spine. Utilizzata nella medicina popolare come diuretico e depurativo, e in Spagna anche per preparare un rinfresco a base di radici, acqua e miele simile alle bevande Cola, è molto comune nella macchia mediterranea. La sua presenza è stata riscontrata in diverse zone contaminate con metalli pesanti, ma non si dispone ancora di molta informazione sulla sua composizione chimicain funzione delle proprietà del suolo dove cresce.
I ricercatori spagnolihanno studiato la concentrazione dei metalli nella biomassa delle salsaparigliecresciute in suoli con diversa composizione chimica, in modo da determinare i vantaggi o gli svantaggi derivanti dall’uso di questo rampicante nei processi di fitorimediazione.
I suoli selezionati per condurre lo studio corrispondono ad una antica miniera di piombo e bario chiamata “Mina María”, che si trova nella Catalogna (Spagna). Furono presi in considerazione 3 campioni: uno prelevato fuori dalla miniera, un altro rappresentativo di suolo con contaminazione moderata e un suolo molto inquinato. Inoltre, fu considerato un quarto campione di suolo prelevato nel parco nazionale di Cap de Creus, con proprietà molto simili al suolo della miniera, ma senza alcuna traccia di contaminazione. Allo stesso tempo si analizzòla composizione chimica di piante diSilene sclerocarpa (parente spagnolo della nostrana Silene vulgaris, chiamata “cavoli della comare”, “strigli” e “sonaglini” a seconda delle diverse zone geografiche).
Entrambe le specie sono state riscontrate nello stesso suolo rizosferico (cioè, con le radici delle due piante a stretto contatto), e si conosce che la Silene sia un’erba con certa resistenza e capacità di esclusione dei metalli pesanti.
Foto: Miniera abbandonata sul Mont Ras, Les Gavarres, provincia di Girona. Oggi un luogo per praticare sentierismo.
I risultati dello studio mostrano che la salsapariglia, comparata con la Silene, è una specie con una maggiore capacità di escludere i metalli dal suo apparato fogliare. Il basso accumulo di metalli pesanti come Pb, Ba, Zn e Cd nelle foglie della salsapariglia abbassa il rischio di trasferimento dei metalli pesanti alla catena alimentaredegli erbivori. Considerando anche il suo grande adattamento al clima mediterraneo, questo rampicante diventa il candidato ideale per la fitorimediazione dei suoli inquinati nel Sud Europa, benché siano ancora necessari degli studi approfonditi sulla sua velocità di crescita e l’interazione con altre specie potenzialmente interessanti per la fitorimediazione.
Foto: La città di Taranto con l’ ILVA sullo fondo.
Se gli studi venissero realizzati in aree come quelle dell’ILVA di Taranto, che ha tutte le caratteristiche per ospitare un progetto dimostrativo di bonifica ambientale (contaminazione da metalli pesanti, clima mediterraneo e la vicinanza di centrali termiche nelle quali rimpiazzare una quota di carbone con biomassa), si potrebbe abbinare la ricerca scentifica, purtroppo spesso ancora percepita come qualcosa di astratto ed inutile, sulla mitigazione –almeno parziale di un’emergenza ambientale– con il beneficio derivato dall’energia prodotta da biomassa anziché il costo di bonifica con mezzi “tecnologici”. A volte ad essere efficaci non sono le ultime e sofisticate tecnologie ma la capacità di saper applicare soluzioni semplici ed economiche, insomma più sostenibili.