- scritto da Mariangela Martellotta
- categoria Curiosità ecosostenibili
I biocarburanti inquinano più dei combustibili fossili
Per anni sono stati indicati come il sostituto ecologico del petrolio, limitato soltanto dall’alto costo. Adesso che il petrolio ha raggiunto i cento dollari al barile i biocarburanti sono diventati competitivi, ma c’è un problema: secondo gli studi più recenti non sono così amici dell’ambiente. Nel caso del bio–diesel (olio di colza) l’unico effetto collaterale pareva essere solo la puzza di fritto date le sostanze di cui in biocarburante è fatto.
Uno dei primissimi a mostrare le contraddizioni fra l’uso dei biocarburanti e politiche ambientaliste è stato però Fidel Castro, preoccupato – e la storia gli ha dato ragione – per la stretta relazione che si veniva a creare fra i prezzi delle derrate alimentari e la produzione di carburanteo, meglio, per la trasformazione di cibo in carburante: una sorta di spreco per il fabbisogno umano primario a favore di interessi quanto meno secondari.
Jorn Scharlemann e William Laurance, dello Smithsonian Institute di Panama spiegano: “Rispetto al petrolio, quasi tutti i biocarburanti diminuiscono le emissioni di gas serra quando vengono bruciati ma le considerazioni cambiano se si tiene conto dei loro effetti globali sull’ambiente”.
L’Onu ha più volte lanciato dichiarazioni molto forti contro la diffusione dei biocarburanti, responsabili, a loro dire, di un “crimine contro l’umanità”. Il costo del granoturco, visto il rinnovato interesse delle industrie, è aumentato, portando ad un brusco rialzo del costo del cibo che mette ulteriormente in crisi le popolazioni più povere ed il “diritto al cibo”. La commissione dei diritti umani dell’Onu ha chiesto di posticipare di 5 anni l’introduzione dei biocarburanti per frenare l’aumento dei prezzi dei cereali, legati anche alle recenti scelte politiche del maggior esportatore al mondo di questi prodotti, gli Stati Uniti.
Secondo una ricerca finanziata dal governo britannico nel 2007, le emissioni dei carburanti biologici superano nel complesso quelle che derivano dall’uso degli idrocarburi. La motivazione è semplice: a impattare sull’ambiente è il processo di deforestazione necessario per trasformare i boschi in piantagioni. I risultati della ricerca britannica poi contraddicono alcune tesi dell’Unione europea, secondo cui ogni litro di biocarburante riduce le emissioni del 35%. Di fatto l’uso dell’olio di palma (ma anche di soia e semi di rapa) porta a un aumento del 31% delle emissioni, considerando l’anidride carbonica rilasciata durante il processo di conversione delle foreste in campi coltivati. Gli studiosi hanno inoltre calcolato che alla pianta servono circa 840 anni per compensare le emissioni derivanti dal disboscamento. In Inghilterra questa notizia rischierebbe di provocare una revisione dei target fissati dal Dipartimento dei Trasporti britannico.
La conferma di emissioni inquinanti da parte dei presunti “carburanti ecologici” viene anche da uno studio condotto nel 2008, da un gruppo di ricercatori della Princeton University e dalla Iowa State University, nel corso degli ultimi 30 anni l’uso dell’etanolo come carburante ha prodotto un tasso di “global–warming” (= riscaldamento globale) due volte superiore a quello prodotto da carburanti come benzina o gasolio. Un altro studio condotto da ricercatori della “Nature Conservancy” e dell’Università del Minnesota ha invece accertato che gli ampi spazi del Sud America o dell’Asia in cui le foreste sono state riconvertite a coltivazioni adatte a produrre bio–carburante hanno “scaldato” quelle zone in modo innaturale, inoltre le emissioni gassose prodotte dall’utilizzo di etanolo, il carburante derivato dai cereali, sono più dannose per l’atmosfera di quelle prodotte dai carburanti derivati dal petrolio.
Ulteriori dati forniti da una ricerca commissionata dal governo svizzero da un paio di anni a questa parte evidenziano come su 26 dei principali biocarburanti prodotti nel mondo, 21 permettano un risparmio di CO2 quando vengono bruciati in quantità superiore al 30% rispetto alla benzina. Inoltre quasi la metà (12 su 26) ha costi per l’ambiente molto maggiori rispetto ai carburanti tradizionali, e tra questi figurano quelli economicamente più importanti, come l’etanolo derivato dal grano statunitense e dalla canna da zucchero, il diesel di soia e quello da olio di palma prodotto nel sud–est asiatico.
Anche dai dati dei ricercatori svizzeri emerge che se pure i carburanti derivati dai vegetali bruciando producano meno CO2 la loro produzione spesso è tutt’altro che ecosostenibile, e risulta anche cinque volte più inquinante.
Il biocarburante più “cattivo” in assoluto è il diesel di sorgo prodotto nell’Unione Europea, che ha un impatto cinque volte maggiore della benzina. Dall’altro lato della classifica ci sono biocarburanti prodotti dal legno, meglio ancora se dagli scarti di produzione.
Il metanolo ottenuto dalle graminacee, ad esempio, fa risparmiare il 70% delle emissioni e ha un impatto ambientale più basso del 10% rispetto a quello della benzina.
A determinare i maggiori costi ambientali è proprio la coltivazione, che nella maggior parte dei casi contribuisce per più del 90%. Nel caso del Brasile o dell’Indonesia, ad esempio, per trovare nuovi spazi per le piantagioni si ricorre alla deforestazione selvaggia: secondo uno studio presentato all’ultima conferenza sull’ambiente di Bali sono 13 milioni gli ettari di foreste che si perdono ogni anno, in gran parte proprio per la produzione dei biocarburanti. Negli Stati Uniti la situazione non è migliore, qui il governo finanzia con diversi miliardi di dollari la produzione di etanolo dal grano così che gli agricoltori non producono più soia e si dedicano al grano e questo farebbe alzare il prezzo della soia; per evitare il sovrapprezzo si realizzano quantità di piantagioni di questa pianta in Brasile a discapito però della foresta Amazzonica.
Da tutti questi studi si comprende che se i biocarburanti sono un aiuto contro i gas serra in molti casi, vanno usati con attenzione, anche per l’incidenza che hanno sui prezzi delle materie prime e la loro competizione con le produzioni per uso alimentare.