Autoproduzione vs PIL. Come si misura il tenore di vita?

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L’autoproduzione di beni alimentari e l’autosufficienza energetica stanno diventando sempre più i pilastri di uno stile di vita migliore ed ecosostenibile, una condizione a cui sempre più persone aspirano, consapevoli che il nostro attuale modello di vivere e produrre abbia fatto il suo tempo (e i suoi danni). La scommessa è che si possa vivere meglio con meno, un less is more applicato alla vita quotidiana, forti del fatto che le cose per cui vale la pena vivere non si possano comprare, e che molte delle cose che compriamo non ci facciano affatto vivere meglio. Ma cosa vuol dire vivere meglio? La risposta non può essere univoca e non c’è una ricetta, ma possiamo provare a ragionarci su.

L’ESEMPIO DI TOKYO
Tokio, per fare un esempio, è annoverata tra le città in cui il tenore di vita è tra i più alti in assoluto. Una metropoli però in cui lo spazio pro capite è fra i più bassi del mondo, in cui l’inquinamento atmosferico è elevatissimo, dove le malattie cardiorespiratorie e i tumori raddoppiano ogni anno, dove i ritmi di vita sono insostenibili e in cui si registra da anni il record mondiale di suicidi.

C’è qualcosa che non va, mi pare.

LA DEFINIZIONE DI “TENORE DI VITA” E IL PIL
Il problema sta nella definizione di tenore di vita, o meglio, nello strumento classicamente usato per la sua misurazione. Tutti parlano di tenore di vita, ma nessuno spiega cosa sia, perché in fondo tutti lo sanno e non c’è bisogno di spiegarlo. Busta paga, reddito pro capite, esportazioni, ma soprattutto lui: il PIL. Ma dove sta scritto? I teologi del Sacro PIL sembrano dimenticarsi che la crescita economica, slegata dai fattori socioculturali e ambientali, non dice assolutamente nulla. Non si vuole qui sostenere che il problema sia il denaro, la sua importanza è fuori discussione, ma il punto è: fino a che punto il denaro misura la mia felicità? Il PIL è un indice puramente quantitativo, che nulla ha a che fare con il concetto di qualità (esempio enologico: non è il numero di bottiglie prodotte a rispecchiare la qualità di un vino. Se così non fosse ci ritroveremmo orde di sommelier che degustano Tavernello).

Sull’inadeguatezza del PIL come strumento di misura dello sviluppo umano e del suo benessere concordano ormai molti sociologi, ma non solo: persino alcuni economisti, da sempre in ritardo nel capire l’andamento del mondo, sembrano essersene accorti. Meglio tardi che mai.

FAMIGLIE A CONFRONTO
Prendiamo due famiglie. Una famiglia, con reddito medio–alto, due stipendi, che vive magari in centro in una città qualsiasi della pianura padana, magari dove c’è molta nebbia e gli abitanti hanno pure la “r” moscia. I figli sono sempre da soli o con la babysitter, poiché i genitori lavorano tutto il giorno in un ufficio, per raggiungere il quale la coda in tangenziale è d’obbligo. Abitano al sesto piano di un gigantesco condominio senza nemmeno un balconcino striminzito, dalle cui finestre si gode la vista del condominio di fronte. L’edificio è un colabrodo energetico, un palazzone anni ’80 in calcestruzzo armato, come ce ne sono a migliaia in Italia. Le bollette salate non sono un problema, i soldi non mancano, e in casa il frigo è sempre pieno: basta prendere l’auto e in dieci minuti di tangenziale sei al centro commerciale. Che figata.

Prendiamone un’altra, più povera e monoreddito, che però abita in Sicilia, in aperta campagna e a due passi dal mare, in un’azienda agricola a tenore familiare, fra distese di ulivi, vigne e orti. Inutile dilungarsi oltre nel descrivere la quiete del luogo, l’aria pulita e tutto il resto: sono cose che troverete in ogni pubblicità di un qualsiasi agriturismo (tutte cose a cui evidentemente si attribuisce molto valore, visto il boom delle aziende agrituristiche e viste le cifre che siamo disposti a pagare per soggiornarvi). L’auto è usata solo quando serve davvero, la casa è antica e ha massicci muri in pietra, il fabbisogno domestico di acqua calda sanitaria e corrente elettrica è garantito da un impianto solare termico e dai pannelli fotovoltaici integrati sul tetto. Al supermercato non ci si va quasi mai, visto che grazie allo scambio di prodotti con l’azienda agricola vicina in casa non manca mai nulla. Persino gli oggetti rotti non si buttano, ma si riparano, visto che qui sanno ancora utilizzare le mani.

Secondo il dogma della crescita e del PIL, non solo la prima famiglia avrebbe un tenore di vita più elevato, ma la seconda andrebbe incriminata per sabotaggio, perché per il sistema economico non c’è nulla di più pericoloso del non spendere denaro inutilmente, del risparmio e dell’autoproduzione. Se tutti facessero così l’economia non girerebbe, il PIL cadrebbe in picchiata. Panico nelle borse. Investitori in fuga. E il fatto che il modello economico vigente sia già crollato più e più volte dimostrando la sua fallacia non ha importanza, perché voi avrete sempre torto. Se coltivo un pomodoro e poi lo mangio sono un eversivo, non emetto né fattura, né scontrino, non pago niente e nessuno, non mi indebito con nessuna banca, insomma: sono un pazzo.Autoproduzione-vs-pil-d

Fonti | Filippo Schillaci, “Vivere La Decrescita – Una felice esperienza di autoproduzione”, Edizioni per la decrescita felice, Roma, 2009.










Alberto Grieco

Alberto Grieco Architetto

Frequentando una signora chiamata Storia, ha scoperto che l’architettura bio-eco-ecc. non ha inventato Nulla©, ed è per questo che perde ancora tempo sui libri. Architetto per vocazione; tira con l’arco, gira per boschi, suona e disegna per vivere. Lavora nel tempo libero per sopravvivere.