- scritto da Stela Karabina
- categoria Progetti
Secular Retreat Villa: l’omaggio di Peter Zumthor a Palladio
Sul sito di un’abitazione demolita degli anni ’40, sulla sommità di una collina nel suggestivo scenario del South Devon, in Inghilterra, sorge la “Secular Retreat Villa” di Peter Zumthor, una promessa di architettura longeva, che l’architetto vorrebbe chiamare Chivelstone House.
Il progetto, ultimato dopo dieci anni, mira ad ospitare visitatori per soggiorni brevi in un luogo fortemente meditativo, aperto al paesaggio tramite ampie vetrate, sapientemente esposte.
Secular Retreat Villa si sviluppa su un unico piano, in cui, ad uno spazio comune di condivisione, una sorta di focolare aperto verso la natura, si legano, ad una quota leggermente inferiore rispettando l’altimetria naturale, gli ambienti più intimi delle cinque camere da letto, ognuna dotata di servizi propri. La superficie esterna degli elementi strutturali è in calcestruzzo rifinito a mano, fino a creare uno spartito di linee sul piano, mentre gli interni, in cui prevale l’uso del legno locale, sono stati attentamente progettati fino all’accurato disegno degli arredi.
La componente umana della manualità nell’esecuzione dell’opera rappresenta il maggior contributo all’identità propria del luogo, una sorta di firma con cui l’uomo attesta il tempo dedicato per realizzarlo. Questo proietta il pensiero di Peter Zumthor in un’ottica Umanistica. Sebbene non intenda paragonarsi, per riverenza, ad Andrea Palladio, con il progetto di Secular Retreat Villa Zumthor dichiara una precisa intenzione espressiva: raccogliere l’eredità del maestro del Rinascimento e creare un luogo di dialogo con l’ambiente.
L’importanza dello spazio collettivo è per Zumthor un concetto chiave, tanto da rifiutare spesso committenze commerciali, selezionando invece solo progetti votati alla lentezza e alla durata. Oltre alla Secular Retreat Villa, suoi sono, ad esempio, i progetti delle Terme di Vals, il Museo Kolumba a Colonia e la Cappella di Burder Klaus in Svizzera. Sulle Terme di Vals, in particolare, verte un’amarezza di cui Zumthor ha parlato in un’intervista rilasciata nel 2017. Il complesso, infatti, voluto fortemente e seguito personalmente da Zumthor anche dopo la sua ultimazione nel 1996, è stato acquisito recentemente da Remo Stoffel, dando al luogo un’impronta ben lontana dal significato sociale che l’architetto gli aveva attribuito. Ad ogni modo, in questo, come in tutti i suoi progetti, ricorre una poetica spaziale godibile solo nel silenzio e costruendo un immaginario in cui il costruito si integra con l’ambiente, dalle scelte tecniche dei materiali e dei colori, fino alla destinazione stessa delle funzioni del luogo. In questo modo le Architetture di Peter Zumthor non sovrastano mai il paesaggio e il loro contesto.
Peter Zumthor risponde a suo modo a chi ripone nell’architettura le speranze di una soluzione ai cambiamenti climatici. L’ultimo segnale arriva dall’ONU, che denuncia il preoccupante incremento medio della temperatura globale. Al limite di 1,5 °C di incremento medio del riscaldamento globale, concordato nel 2015 tra le maggiori potenze economiche, è subentrata una significativa quantità di studi che attestano il netto superamento fino a 3,6 °C a causa di una scarsa regolamentazione dell’uso di combustibili, di poche incentivazioni per le energie rinnovabili e per una crescente antropizzazione dei paesaggi, provocando un impatto significativo sul suolo e aggravando le conseguenze dovute al difficile smaltimento di strutture desuete perché inutilizzate o inefficaci.
Va da sé, quindi, che i progettisti sono chiamati a compiere scelte oculate in primo luogo sui materiali e sui siti in cui progettare, intervenendo preferibilmente su ciò che è stato precedentemente edificato invece di consumare ulteriore suolo e progettando architetture performanti dal punto di vista energetico, che possano beneficiare della luce naturale, delle condizioni climatiche e ridurre l’uso di tecnologie impattanti.
Secondo Peter Zumthor il ruolo dell’Architetto non è quello di un eroe che da solo possa rispondere alle istanze globali per l’ambiente, ma progettare al meglio, con un obiettivo di medio raggio. A questo proposito l’Architetto rinnova la sua fiducia nella progettazione virtuosa in una prospettiva duratura, pensando a Secular Retreat Villa e i suoi altri come a progetti che vivano cento o duecento anni, e non dieci o vent’anni. Da qui la definizione della sua opera come “secolare”, fatta per accogliere e non per imporsi, per costruire e non per demolire.
- crediti fotografie © Jack Hobhouse