Terra cruda per il suolo lunare: il Super Adobe di Nader Khalili

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Anni ’80. La NASA si trova in importanti difficoltà legate al futuro dei finanziamenti dell’agenzia. Tenta allora di rilanciare l’implementazione di infrastrutture di alloggio e permanenza sulla luna, attraverso un simposio pubblico dal titolo Lunar Bases and Space Activities of the 21st Centuryrivolto a scienziati, inventori ed esperti del settore, che si terrà presso la National Academy of Sciences in Washington nell’ottobre del 1984.

Nader Khalili è tra i relatori. Presenta un’idea di costruzione di moduli abitativi per il suolo lunare in mattoni di terra “ceramizzati”, ripetibile sulla terra in condizioni di isolamento o di emergenza. A tal punto che viene successivamente invitato come scienziato “visitatore” nei laboratori di Los Alamos per approfondire gli aspetti tecnici della cosa. Nasce così il Super Adobe, ovvero sacchi di tessuto stratificato riempiti di terra cruda e ceramizzati in loco che permettono l’impilamento per la costituzione di pareti, archi ed ogive. In quell’anno Khalili riceve per le sue ricerche sul sistema ceramico il premio “Excellence in Technology” dal CCAIA (California Council of the American Institute of Architects) e diviene membro del team del “Lunar Resources Processing Project” . Tre anni dopo un riconoscimento speciale per il suo progetto “Housing for the Homeless: Research and Education”; il sistema ideato infatti ha caratteristiche di economicità e facilità di realizzazione che si prestano all’applicazione in casi di emergenza sociale e povertà.

In effetti l’architetto aveva già testato nel 1980 il processo nella realizzazione di una scuola a Javadabad, una cittadina nella regione di Teheran: durante la costruzione le stanze, in mattoni di terra e argilla, divenivano forni in cui la combustione rendeva la struttura monolitica, con un effetto smaltante. Come si dirà più avanti Khalili subì l’influenza della filosofia sufica in merito all’uso dei 4 elementi: terra e acqua per i mattoni, fuoco e aria per la combustione. La nuova tecnica ceramica si innestava sulla lavorazione tradizionale in adobe mantenendone le caratteristiche di economicità.

GLOBALIZZAZIONE E POEMI SUFI

Nader Khalili nasce a Tehran nel 1936, frequenta l’Università di Tehran e si interessa sin da giovane alla poesia medievale iraniana, rappresentata dal poeta e sufi Gialal al–Din Rumi, che ispirerà la sua opera e la sua vita: scopo della sua vita sarà di “permettere ai poveri del pianeta di costruire la loro casa con la terra che hanno sotto i piedi”.

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Negli anni ’50 studia ingegneria e architettura ad Istanbul, poi si trasferisce a New York, a San Francisco ed infine a Los Angeles, dove sarà riconosciuto nel 1970 per insegnare al Southern California Institute of Architecture. Gli anni ’80 sono quelli del successo del Super Adobe con la Nasa, ma il progetto rimane teorico fino allo scoppio della Guerra del Golfo, quando migliaia di rifugiati migrano in Iran. Khalili collaborerà allora con l’UNDP e l’UNHCR per l’emergenza abitativa dei rifugiati. In quegli anni istituisce la Geltaftan Foundation (1986) e il Cal–Earth Institute (1991), una struttura in cui approfondisce i suoi studi sull’uso della terra cruda ma anche la sua filosofia professionale. La struttura è aperta a studenti e tecnici, ma anche a gente disagiata alla ricerca di soluzioni abitative economicamente sostenibili.

Nel 2004 i suoi studi sul Super Adobe gli valgono l’Aga Khan Award for Architecture.

Oltre alla traduzione in inglese dei poemi e delle poesie di Rumi scrive importanti libri sulle sue idee, sulle esperienze sul campo, sui risultati ottenuti e le tecniche elaborate. Di particolare interesse il primo libro, Racing Alone, in cui narra un importante episodio della sua vita che segnerà il suo modo di pensare: non si corre per vincere sugli altri, ma per guardarsi intorno e migliorare sé stessi. Muore a Los Angeles nel 2008.

Ad oggi i figli Dastan e Sheefteh continuano la sua opera architettonica e sociale presso il Cal–Earth Insitute, assieme ad alcuni allievi che diverranno anch’essi punti di riferimento per l’architettura sostenibile; tra di essi Kelly Hart, che elaborerà 13 principi per il suo sviluppo.

LE APPLICAZIONI DEL SUPERADOBE

Khalili ribattezza il superadobe, con traduzione da mille e una notte, Geltaftan (gel–taftan, “argilla bruciata”), se non fosse che già “adobe” è un termine che viene dall’arabo al–tobe, “il–mattone”, spagnolizzato e poi prestato all’inglese per indicare il mattone in fango o terra cruda.

L’idea si basa essenzialmente su due elementi.

Anzitutto viene creata la struttura portante, in elementi simili a mattoni in terra cruda (sul sito del Cal–Earth si possono trovare i costi le dimensioni ed altre caratteristiche tecniche dei sacchi da riempire con la terra che si trova in loco. Poi ci sono foto, schemi e prescrizioni per costruire strutture a volta, con tutti i necessari sistemi di intersezione ed aperture). L’ispirazione è tratta dal sistema costruttivo tradizionale mediorientale (ma anche in Europa esistono notevoli esempi, uno per tutti i trulli pugliesi).

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Il secondo elemento riguarda il consolidamento e la conseguente finitura della struttura. Una volta e rette le pareti, esse vengono intonacate esternamente ma soprattutto internamente in argilla, con impasti funzionali alla successiva combustione: si trasformeranno infatti in giganteschi forni, fucine che daranno alla luce i suggestivi ambienti a volta.

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Entrambi gli elementi sono concepiti secondo i seguenti principi:
–Possibilità di applicazione nella maggior parte dei luoghi
Facilità di realizzazione: ogni abitante sarà in grado di realizzare la sua dimora
Economicità del processo e dei materiali: ne sono prova le numerose realizzazioni, oltre che l’essenza originaria e semplice di entrambi.

Il nome di Nader Khalili grazie a questi principi rimane per sempre legato alla ricerca dell’architettura per i poveri ed i disagiati della terra. In occasione del recente terremoto in Haiti i figli dell’architetto hanno riproposto il modello abitativo anche per le sue caratteristiche antisismiche.

Francesco Cherubini

Francesco Cherubini Dottore in Fisica

Nasce ricercatore biofisico per morire progettista HVAC tra ingegneri, architetti e geometri. E’ il classico soggetto che ha una lavatrice a pedali in cantina e l'estate fa campeggio con i pannelli solari e l'impianto a 12 volts autocostruito. Passione per l'artigianato, il rugby e l'essenzialità.