Architettura della terra: Hassan Fathy e l’esperimento di New Gourna

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Negli anni quaranta la zona delle tombe faraoniche dell’antica Tebe era stata occupata da una piccola comunità la cui attività principale consisteva nello scavo delle rovine per il commercio di reperti archeologici. Il Dipartimento Egiziano delle Antichità decise allora di recuperare l’area archeologica e spostare l’intero villaggio di Gourna, con una soluzione che fosse economicamente accettabile per lo stato e per gli abitanti. In quegli anniin realtà si andava imponendo il modello tecnologico–architettonico occidentale, sia nella ripetitività dei moduli abitativi che permetteva una progettazione veloce e di facile “espansione”, sia in merito ai materiali e ai modelli strutturali che andavano diffondendosi nelle periferie urbane delle grandi metropoli industriali. In controtendenza, e pagando a caro prezzo tale presa di posizione, un architetto che lavorava presso il Comune del Cairo propose un modello abitativo che all’epoca incontrò il fallimento per ragioni in buona parte non legate all’idea in sé, ma che oggi viene largamente rivalutato alla luce delle nuove tendenze architettoniche legate alla sostenibilità e alla riscoperta della tradizione.

Nasceva così New Gourna, un villaggio fatto interamente in mattoni di terra cruda; la popolazione aderì malvolentieri al progetto, nonostante la partecipazione fosse uno dei capisaldi dell’idea del giovane architetto, ma i motivi sono da ricercarsi nel fatto che lo spostamento in sé avrebbe comportato la perdita del lavoro per molti degli abitanti, e l’unico modo per mantenere lo status quo era boicottare qualsiasi progetto fosse stato proposto; molti critici erroneamente videro in tale rifiuto l’inadeguatezza del modello.

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HASSAN FATHY: UN ARCHITETTO PER I POVERI

Hassan Fathy nasce nel marzo del 1900 ad Alessandria, si laurea nel 1926 al Dipartimento di Architettura del Tecnico di Ingegneria del Cairo e lavora negli anni seguenti nell’ufficio tecnico del Comune ed in altre posizioni pubbliche e governative. Nel 1945 l’incarico di progettare New Gourna gli dà la possibilità di sperimentare il suo modello di architettura urbanistica popolare, delineato, come vedremo, attraverso principi ben precisi. Il progetto tuttavia, nonostante l’approvazione del Dipartimento Egiziano delle Antichità e lo stanziamento di fondi pubblici, non ebbe il successo sperato, e rimase incompiuto. I motivi in buona sostanza sono quelli già citati. Si potrebbe aggiungere la difficoltà di portare avanti da solo un progetto visionario, fortemente caratterizzato da una attiva partecipazione popolare da un lato e da esigenze di sensibilità, disponibilità al sacrificio e capacità di comprensione al livello della coordinazione e gestione delle attività. Evidentemente furono in pochi a credere al progetto e ai suoi principi ispiratori. Oggi probabilmente i fallimenti di certa modernità muoverebbero un numero maggiore di adepti.

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Nel 1954 è professore presso la Facoltà di Belle Arti della nuova Università del Cairo, ma il suo esordio sulla scena internazionale avviene nel 1973 con la pubblicazione del suo libro Architecture for the poor (University of Chicago Press), che descrive la sua esperienza di New Gourna e le sue idee sull’architettura e sullo sviluppo urbano. Nel 1980 riceve il premio Nobel alternativo (Right Livelihood Award) e l’Aga Khan Award, nel 1984 la Medaglia d’Oro dell’Unione Internazionale degli Architetti. Muore al Cairo cinque anni dopo.

Oltre che architetto e urbanista, è stato anche pittore, poeta e discreto violinista, ma soprattutto diverrà ispiratore di molta parte delle nuove tendenze architettoniche delmondo arabo. Una sua frase riassume il tratto caratteristico del suo apporto all’architettura dei nostri giorni: ”La qualità e i valori inerenti la risposta tradizionale dell’uomo all’ambiente, dovrebbero essere conservati senza rinunciare al progresso scientifico”.

IL NUOVO VILLAGGIO E I SUOI COSTRUTTORI

Il progetto del nuovo nucleo urbano era impostato su alcune importanti idee che ancor oggi rendono unica nel suo genere la proposta e al tempo stesso delineano la personalità dell’architetto. Anzitutto il recupero della tecnica costruttiva locale, ovvero l’uso quasi esclusivo del mattone in terra cruda. Con essa, Fathy insegnava a costruire archi e volte come anche a riprodurre decorazioni e lavorazioni (vedi l’uso del cortile o delle Mashrabiye in legno), caratteristici dell’edilizia tradizionale araba. Questo costituiva un primo contributo all’economicità di quella che egli promuoveva come edilizia popolare, e che immaginava potenzialmente applicabile all’espansione rurale dell’Egitto di quegli anni.

In secondo luogo la costruzione del nuovo villaggio portava con sé una importante prerogativa che la avrebbe resa economicamente accettabile per le famiglie sfollate: Fathy pretese che i futuri proprietari avessero potuto parteciparein misura pressoché totale ai lavori edili. Avrebbe insegnato lui stesso alla popolazione le tecniche tradizionali, e diretto i lavori.

La partecipazione popolare poggiava anche su un altro pilastro. Al contrario delle metodologie pseudo–industriali, che consistevano nell’elaborare delle unità abitative che potessero essere applicate in modo ripetitivo e modulare, propose l’idea per la quale ogni nucleo familiare avrebbe ideato e contribuito alla progettazione del proprio spazio abitativo, rendendo così il tessuto urbano un aggregato di elementi individuali e originali, pur se concepiti allo stesso modo e con gli stessi principi e legati dal disegno urbanistico a partecipare democraticamente alla vita cittadina. In ciò l’architetto ravvisava un faticoso, enorme lavoro di coordinazione, ma al tempo stesso l’idea identificativa della propria professione. Questa idea viene oggi riscoperta come foriera di umanità e personalità in opposizione al tratto sempre più pesante della massificazione.

DA ESPERIMENTO FALLITO A PATRIMONIO ARCHITETTONICO

Negli ultimi decenni due forze hanno contribuito a far rinascere l’interesse per il progetto di New Gourna: la riscoperta delle tradizioni come veicolo di identificazione e valorizzazione culturale e la ricerca della sostenibilità ambientale ed economica come strategia di fuga dai cappi del consumismo. L’uso della terra e delle lavorazioni tradizionali assieme a quello delle nuove tecnologie ne fanno un punto di riferimento.

Ad oggi tuttavia molti degli edifici originari risultano irrecuperabili, e per questo Il World Monuments Fund, assieme all’UNESCO e al Governatorato di Luxor, hanno promosso un lavoro di valutazione delle condizioni del villaggio; non solo dal punto di vista architettonico e strutturale, bensì anche riguardo all’aspetto socio–economico: si vogliono identificare e studiare i fattori di cambiamento della comunità e del suo contesto economico, i modelli di distribuzione urbana e di ripartizione degli spazi pubblici e privati, e finalmente si intende promuovere presso la popolazione residente, nell’originario spirito del progetto, l’attenzione per la conservazione del proprio ambiente.

Francesco Cherubini

Francesco Cherubini Dottore in Fisica

Nasce ricercatore biofisico per morire progettista HVAC tra ingegneri, architetti e geometri. E’ il classico soggetto che ha una lavatrice a pedali in cantina e l'estate fa campeggio con i pannelli solari e l'impianto a 12 volts autocostruito. Passione per l'artigianato, il rugby e l'essenzialità.