Isolanti (bio)compositi con lana di pecora. Sono sempre ecosostenibili?

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La lana di pecora è uno dei più interessanti isolanti termoacustici, al contempo innovativo e tradizionale. Adoperata fin dagli albori dell’umanità come capo protettivo dalle intemperie, oggi risulta essere un prodotto ecologico, non inquinante e molto performante. Tuttavia il suo elevato carattere di sostenibilità viene spesso ridimensionato a causa della presenza delle fibre di poliestere per nulla ecosostenibili, adoperate per stabilizzare il feltro in lana pura. Il poliestere, infatti, non è riciclabile e la sua produzione è particolarmente invasiva. Questa riflessione ha indotto alcune Università europee ad intraprendere una ricerca mirata all’eliminazione delle materie plastiche ed all’associazione della lana di pecora ad altri materiali “bio”.

Approfondimento: la lana di pecora per l’isolamento termico

In alto: provino del biocomposito realizzato in laboratorio

LA LANA DI PECORA

La lana di pecora è un materiale interessante per la bioarchitettura in quanto il suo utilizzo comporta una serie di vantaggi per l’ambiente.
Innanzitutto è un prodotto naturale, che si rigenera ogni anno (infatti viene tosata ogni anno nel mese di aprile). In molte Regioni è reperibile localmente per usi legati alla bioedilizia, abbattendo così il costo ambientale dei trasporti. Inoltre è annoverata fra i rifiuti speciali pertanto il suo riutilizzo consente e consentirebbe di recuperare una risorsa sprecata.

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Com’è noto essa vanta ottime proprietà di fonoassorbenza, termoisolamento, igroscopicità e riduzione dell’inquinamento indoor che la rendono un ottimo elemento per realizzare isolanti biocompositi.

Il suo processo produttivo ha una bassa embodied energy in quanto consta di semplici operazioni, in parte a carattere artigianale ed in parte industriale (quali la tosatura, il lavaggio, la cardatura e la formatura in feltri, materassini, ecc...). È una materia riciclabile e le fibre, essendo molto resistenti, possono subire più di un ciclo di riuso.

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LE RETI IN POLIESTERE

Unica nota dolente: la lana di pecora non è del tutto autoportante, pertanto spesso usufruisce di un supporto in un altro materiale a formare materiali biocompositi. Nella maggior parte dei casi oggi la lana viene irrigidita disponendo all’interno delle reti realizzate in fibre di poliestere secondo una percentuale modesta, pari a circa il 25% del totale. Cosa comporta unire questi due materiali? Per la lana di pecora comporta la perdita dei requisiti di riciclabilità e bassa embodied energy.

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Unire due materiali, pertanto, é un’operazione molto delicata, che sottosta ad approfonditi studi interdisciplinari. Da un’ottica strettamente ecologica, l’unione delle fibre naturali ecosostenibili a quelle sintetiche comporta un depotenziamento delle prestazioni.

Il poliestere, infatti, è una sostanzasintetizzata in laboratorio a partire dal petrolio. Si tratta di una plastica molto diffusa nelle nostre città poiché viene adoperata soprattutto nel settore tessile, viste le sue qualità di tenacia ed elasticità. Ma ciò non è tutto. Il poliestere non è riciclabile e viene prodotto a partire da fonti non rinnovabili. Il processo produttivo è molto impattante a causa anche della quantità ed entità di sostanze emesse in ambiente.

In alto: a destra, rete in poliestere; a sinistra, biocomposito realizzato in laboratorioIn alto: a destra, rete in poliestere; a sinistra, biocomposito realizzato in laboratorio

 

I BIOCOMPOSITI

La volontà di testare la lana in unione con altri materiali mira, innanzitutto, a conferirle capacità autoportante.
L’idea è quella di realizzare dei biocompositi che sfruttino le capacità isolanti ed igroscopiche della lana e la resistenza meccanica di altri. Università come quelle di Poznàn, Brno e Palermo hanno intrapreso la sperimentazione della lana miscelata ad altri materiali bio che, oltre a conferirle resistenza, ne incrementino le prestazioni a livello termoigrometrico. Sia il fieno sia la calce sono materie prime diffuse su tutto il territorio pertanto il loro utilizzo favorisce la logica “costruire a km zero”.

L’utilizzo di lana miscelata a fieno consentirebbe l’aumento del potere idrofugo del pannello e la riduzione dell’inquinamento indoor (i materiali naturali sono noti per la loro salubrità maggiore). A ciò si aggiunge il perseguimento del principio “from cradle to cradle”, che punta al riciclo del pannello.

Lana di pecora e calce idrata

Diverso è il presupposto che sta alla base dell’amalgama di lana di pecora e calce. In seno ad uno studio dinamico dell’edificio, risulta auspicabile sviluppare materiali isolanti che oltre, ad assicurare una barriera al flusso di calore, siano capaci di simulare un comportamento inerziale e massivo della parete. E non a caso la calce idrata è un prodotto qualificato da elevata densità e da bassa trasmittanza termica periodica.
Il principio non è nuovo: l’architettura tradizionale in muratura portante è rinomata per la sua efficienza termini di sfasamento dell’onda termica. Imparare dal passato è , in fondo, il primo passo per la sperimentazione.

Federica Zagarella

Federica Zagarella Architetto

Formazione siciliana, lavoro milanese, in futuro si vedrà. Ama passeggiare a piedi ed in bici ma è decisamente poco sportiva, ama leggere e non solo paper, scrive per ae perché è uno svago...intelligente: forse "equilibrio" è la sua parola d'ordine!