Mattoni di canapa: analisi di vantaggi e svantaggi

mattoni di canapa

Un prodotto presentato come ecologico e bio lo è davvero? In un'epoca in cui la manipolazione delle informazioni dilaga in tutti i settori, possiamo credere che un prodotto certificato per la bioedilizia, come i mattoni di canapa, sia davvero a basso impatto? Di seguito analizziamo i vantaggi e gli svantaggi dei biomattoni in fibre di canapa. 

In copertina: Biomattone di canapulo (scarto della canapa) aggolmerato con calce. Foto da Equilibrium-bioedilizia.it

Il XXI secolo è spesso definito dagli analisti, politici e mass media come “l’era dell’informazione”, caratterizzata dalla velocità del movimento dell’informazione superiore a quella del movimento fisico e sicuramente anche per l’enorme quantità di contenuti pubblicamente accessibili. Oggigiorno diventa sempre più difficile filtrare l’informazione corretta da quella inesatta, o addirittura riuscire a smascherare una “bufala” costruita ad arte e diffusa per qualche preciso scopo: politico, commerciale o per soddisfare il proprio desiderio di protagonismo. Difficile perfino per chi è esperto in un particolare settore, o ramo scientifico. 

Assistiamo ad un evidente paradosso: da un lato l’Umanità ha fatto passi da gigante in materie come la decodificazione del genoma umano, la genetica molecolare, la scoperta di sistemi planetari extrasolari e di un’infinità di particelle subatomiche. Dall’altro lato, osserviamo un'allarmante regressione culturale: la rinascita del creazionismo e dei fanatismi religiosi, la proliferazione di pseudoscienze come la biodinamica e l’orgonica, la credenza in assurde teorie dei complotti come le scie chimiche o i chip per manipolare la mente, i video “virali” che mostrano marchingegni di moto perpetuo o di “energia magnetica”. Dalle discussioni nei blog e forum dei sostenitori di tali teorie e credenze, sembra emergere l'identikit di una subcultura, persone caratterizzate da scarsa, o irrilevante preparazione scientifica, che si ritengono “truffate”, “manipolate”, “oppresse” da un “sistema” e quindi diffidano di qualsiasi informazione provenga da fonti “ufficiali”. Quando scienziati e giornalisti denunciano l’infondatezza delle teorie complottiste, o pseudoscientifiche, vengono puntualmente bollati nei blog e reti sociali come “corrotti”, “pagati dall'industria del petrolio”, o “dalle banche”, o da non meglio precisati “poteri forti”. L’aspetto più inquietante di tale dicotomia è che l’ignoranza si autoalimenta e moltiplica grazie alle reti sociali, oscurando talvolta i siti contenenti informazione corretta. La ragione di tale paradosso è che oggi chiunque può avere un proprio blog e scrivere liberamente, talvolta anche diffamando terzi, spesso ricopiando e amplificando informazione falsa. I motori di ricerca e le reti sociali danno più peso a un blog, purché attiri molto traffico grazie agli “amici in Facebook” inclini a cliccare “mi piace” su notizie sensazionalistiche, che al sito di una pubblicazione scientifica autorevole o di un ricercatore accademico, che in genere non fa audience.

Il settore della bioedilizia non è un’eccezione. Da una parte osserviamo una proliferazione di nomi commerciali dotati di suffissi (bio, eco, zero) e parole chiave molto frequenti nelle ricerche (naturale, organico, tradizionale, artigianale, green) che mirano palesemente ad attirare l’attenzione dei clienti fra la massa, in particolare di coloro che cercano informazione “indipendente” con i motori di ricerca perché diffidenti verso la “scienza ufficiale”. Assistiamo dunque al tentativo di associare un elevato livello di qualità di un prodotto alla sua manifattura di tipo “artigianale”, o “tradizionale”, sottintendendo dunque, per contro una scarsa qualità se è di tipo “industriale”, quindi particolarmente “inquinante” o “insostenibile". Le cose non stanno sempre così, perché anche la commercializzazione di un prodotto “naturale” e “vegetale” può comportare elevato impatto ambientale, anche devastatore di un determinato ecosistema o di una popolazione. Esempi di prodotti vegetali ad elevato impatto ambientale sono l’olio di palma e il pellet austriaco.

Orbene, come verificare criticamente un prodotto venduto come certificato per la bioedilizia come la canapa? In questo articolo presentiamo un’analisi succinta sui vantaggi e gli svantaggi dei mattoni in fibre di canapa.

I mattoni di canapa e calce sono sostenibili?

Il biomattone di canapa (foto in copertina) è realizzato mediante degli stampi in cui viene versato un impasto composto da fibre di scarto della canapa (dette canapulo), agglomerate con calce dolomitica (tetraidrossido di calcio e magnesio o calce magra).

Il nome “biomattone” associato alla canapa è frutto di puro marketing, in quanto, non necessariamente esiste una correlazione diretta con la qualità del materiale - nel senso definito dalla norma ISO 9000, “insieme di caratteristiche di un prodotto o servizio che lo rendono adatto a soddisfare le esigente, esplicite ed implicite, del cliente”.  Si trovano articoli sul “biomattone di canapa” in moltissimi portali, ad esempio una ricerca in Google restituisce oltre 5.500 risultati, fra aziende che lo promuovono, architetti ed ecologisti che lo inneggiano nei loro blog e articoli in testate informative che lo presentano come “materiale assorbitore di CO2”. Analizziamo in seguito le parole chiave contenute nel sito del produttore, separando le componenti emozionali dai dati obiettivi, come farebbe un acquirente “razionale”.

  • Biomattone: La principale caratteristica di un mattone è soddisfare una serie di esigenze, esplicitamente definite da norme tecniche, quali: resistenza meccanica, conducibilità termica, rapporto resistenza/peso, permeabilità al vapore, resistenza al fuoco e in alcuni protocolli di certificazione, anche la sostenibilità. Nel contempo al mattone si chiede di soddisfare ad un’esigenza implicita: l'economicità e versatilità dell’utilizzo. Il prefisso bio è linguaggio puramente commerciale: il fatto che un prodotto sia realizzato in buona parte con materiale di origine biologica non garantisce di per sé il soddisfacimento di tutti i requisiti di qualità enumerati prima.
  • Calce: Esistono mattoni, pannelli e altri elementi costruttivi realizzati con fibre vegetali agglomerate con leganti minerali da almeno un secolo (Storia della tecnica edilizia in Italia: dall'unità ad oggi - Eleonora Trivellin, 1998), per cui non si può dire che solo la calce sia “tradizionale”. I mattoni e i muri fatti con fango o argilla impastata con fibre vegetali, talvolta con l’aggiunta di piccole quantità di calce, sono conosciuti sin dal Neolitico (Construcción con tierra en el siglo XXI, S. Bestraten, E. Hormías, A. Altemir, Informes de la Construcción Vol. 63, 523, 5-20,2011). La differenza fra le prestazioni termo-igrometriche e fonoassorbenti di un prodotto agglomerato con calce, o con cemento, o con argilla è irrilevante, perché in genere la percentuale di agglomerante è decisamente minore di quella di fibra vegetale. Le proprietà termiche e fonoassorbenti della fibra non dipendono dalla specie botanica, bensì dalla sua granulometria e porosità. In genere, tutti i compositi di fibre vegetali e leganti minerali sono adatti come isolanti, resistono al fuoco e sono permeabili al vapore. Guardando la scheda tecnica, il biomattone in canapa, risulta troppo fragile per costruire muri portanti, ma sufficientemente rigido per permettere di costruire muri di tamponamento o per isolare una struttura già esistente senza dover ricorrere a complicati sistemi di fissaggio. Il biomattone si può armare con barre di acciaio per la realizzazione di muri portanti, ma con una semplice analisi LCA l’impatto ambientale e l’energia incorporata delle armature vanificherebbero in parte la sostenibilità di un edificio costruito in tale modo.
  • Canapa: Nell’immaginario collettivo si accomuna la Cannabis sativa (canapa industriale) alla Cannabis indica (canapa “terapeutica”) anche se sono due specie diverse, come si evince dalla foto in basso. La Cannabis indica ha pochissima fibra utile e molto canapulo, uno degli argomenti che impugnano i suoi detrattori per qualificarla come “una pianta che serve solo a produrre droga”. L’utilizzo del canapulo nella costruzione diventa invece l’argomento degli antiproibizionisti per presentare la canapa come una panacea per frenare il cambio climatico, in quanto l’edilizia è una delle principali fonti di emissioni di CO2. Obiettivamente, un mattone conformato con canapulo non è sostanzialmente diverso da un mattone realizzato con qualsiasi altro materiale vegetale di scarto, come potrebbe essere ad esempio la canna comune (Arundo donax), o la canna palustre (Phragmites australis), o la semplice paglia dei cereali, materiale quest’ultimo molto utilizzato in bioedilizia. La coltivazione di Cannabis indica a scopo “terapeutico”, richiede la fioritura precoce, la quale viene indotta artificialmente con il risultato di bloccarne lo sviluppo, per cui la pianta rimane “nana” e dunque poco produttiva di biomassa. Quindi non è vero che la liberalizzazione della coltivazione di Cannabis indica a scopo “terapeutico” o “ricreativo” aiuterebbe a frenare il cambio climatico perché il canapulo si potrebbe poi utilizzare in bioedilizia, perché la quantità di canapulo ottenibile sarebbe irrilevante.

 Comparazione fra Cannabis sativa (a sinistra) e Cannabis indica (a destra). Foto tratta da Hemp: A New Crop with New Uses for North America - Ernest Small and David Marcus Comparazione fra Cannabis sativa (a sinistra) e Cannabis indica (a destra). Foto tratta da Hemp: A New Crop with New Uses for North America - Ernest Small and David Marcus

  • Sostenibilità: La sostenibilità di un prodotto non dipende solo dal fatto che sia realizzato con “materiali naturali” ed “energie rinnovabili. La sostenibilità si misura in base alla metodologia LCA (Life Cycle Assessment). I risultati dell’analisi LCA dipendono fortemente dalle condizioni di calcolo, ad esempio la collocazione geografica e la distanza fra origine delle merci e destinazione finale, in quanto il trasporto incide notevolmente sulle emissioni di CO2 associate e l’energia incorporata del prodotto. Nel caso del biomattone, il fatto che il canapulo provenga in parte dalla Francia - perché in Italia ancora non c’è sufficiente produzione di canapa - lo rende “meno sostenibile” rispetto ad un eventuale agglomerato di fibre vegetali prodotto in loco (ad esempio, con fibre di legno, paglia, canne, ecc.). Se consideriamo l’energia incorporata, 120 MJ/m3 per un muro in biomattoni da 40 cm di spessore (fonte: Proitaca.org), questa risulta essere il doppio rispetto ad un muro realizzato in terra cruda (mediamente 60 MJ/m3), ma 36 volte inferiore rispetto ad un muro dello stesso spessore costruito con mattoni pieni tradizionali (4.320 MJ/m3,) o 22 volte in meno rispetto a un muro di mattoni di fibra di legno mineralizzata con cemento Portland (2.700 MJ/m3). 
  • Impronta di CO2: l’evoluzione normativa e la crescente consapevolezza ecologica dei consumatori - fatta eccezione di Donald Trump e i palazzinari nostrani - spingono i consumatori responsabili a scegliere materiali edili con basse emissioni associate. Il sito del fabbricante afferma (testualmente): “Il Biomattone® è un materiale isolante massiccio con alta capacità isolante, bassa energia incorporata e capacità di assorbire CO2 dall’atmosfera: è il primo materiale edilizio a impronta di carbonio negativa.” La redazione della frase è un po’ fuorviante, perché “capacità di assorbire CO2 lascia intendere che il biomattone sia un oggetto che assorbe CO2 dall’atmosfera indefinitamente, qualcosa di fisicamente impossibile. Verifichiamo invece se la sua impronta di carbonio è davvero negativa: secondo le schede tecniche, la densità del biomattone è pari a 170 kg/mc, mentre la densità del canapulo è pari a 100 kg/mc. Ne consegue che 1 mc di biomattone è composto all’incirca da 100 kg di canapulo e 70 kg di calce dolomitica. Come tutte le biomasse vegetali, il canapulo è costituito per il 50% di carbonio, per cui 1 mc di biomattoni contiene circa 50 kg di carbonio immobilizzato. Ciò non vuol dire che abbia “la capacità di assorbire CO2 dall’atmosfera”. La CO2 è già stata assorbita dalla canapa quando questa cresceva, ed è rimasta confinata stabilmente nel prodotto. Ciò non basta per affermare che la impronta di carbonio sia negativa, perché è necessario verificare quanta CO2 è stata emessa per la fabbricazione, il trasporto e la posa (eventualmente anche la demolizione e smaltimento o riciclaggio, se facessimo l’LCA cradle to cradle).

Nella scheda tecnica del biomattone presentata nel sito Proitaca.org , leggiamo la seguente affermazione:

“La produzione di ogni mc di Natural Beton®, inoltre, è assolutamente sostenibile (sic.) in quanto sottrae dall'ambiente 60 kg di CO2"

Tale affermazione, pubblicata in un sito “per tecnici”, sembra più ragionevole rispetto alla prima (pubblicata in una pagina prettamente commerciale),  anche se non esiste niente che si possa definire “assolutamente sostenibile” perché la sostenibilità è relativa. Verifichiamo se tale quantità di CO2 sottratta possa essere vera: abbiamo calcolato prima che 1 mc di biomattoni contiene circa 50 kg di carbonio immobilizzato, il quale corrisponde a 183 kg di CO2 (un semplice calcolo stechiometrico). I 60 kg di CO2 dichiarati nella scheda tecnica corrispondono al bilancio, risultante di sottrarre tutta la CO2 emessa per la fabbricazione e trasporto ai 183 kg immobilizzati nel canapulo. Questo è un dato obiettivo e indiscutibile a favore della sostenibilità del biomattone, anche se nella scheda tecnica tale bilancio non è giustificato. Vediamo se può essere vero mediante un calcolo molto semplice: abbiamo calcolato prima che 1 mc di biomattoni contiene 70 kg di calce dolomitica, e sappiamo che la produzione di questa comporta l’emissione di 1,3 kg di CO2/Kg di prodotto (media europea, tratta da Competitive and Efficient Lime Industry - Cornerstone for a Sustainable Europe, EuLA Technical Report, 2011). Quindi le emissioni di CO2 associate alla produzione di 1 mc di biomattoni ammontano a 91 kg, per cui il bilancio “lordo”, senza considerare le emissioni imputabili al trasporto, darebbe 92 kg di CO2 immobilizzata/mc di biomattoni. Quindi possiamo ipotizzare che i 60 kg dichiarati dal fabbricante tengano conto di circa 30 kg di CO2 imputabili a trasporto e posa, un valore abbastanza plausibile. Un materiale edile contenente CO2 immobilizzata è certamente migliore dei materiali tradizionali, netti emettitori di gas serra. Non vuol dire però che il biomattone sia il materiale più sostenibile in ogni circostanza. Ad esempio, supponiamo un muro di 40 cm di spessore costituito da 20 cm di laminato di legno massello di abete+20 cm di cellulosa in fiocchi (carta riciclata). La densità media di tale ipotetica costruzione è pari a 600 kg/mc, quindi 1 mc ne contiene 300 kg di carbonio, pari a 1.100 kg di CO2 atmosferica immobilizzata. Se dovessimo considerare solo la CO2 immobilizzata, la costruzione in legno sarebbe 6 volte più sostenibile rispetto al biomattone, fatto non sempre vero in quanto le emissioni di CO2 sono solo uno dei tanti fattori della LCA.

  • Riciclabile e biodegradabile a fine del ciclo di vita: probabilmente è questa la caratteristica che rende più sostenibile il biomattone, rispetto ai prodotti similari, agglomerati con cemento Portland. Infatti, in caso di demolizione dell’edificio i biomattoni si potrebbero calcinare in una fornace, ottenendo di nuovo calce, oppure triturare ed impastare con più calce e fibre vegetali per fabbricare nuovi biomattoni, oppure triturare ed utilizzare come ammendante in terreni acidi o di natura arida-salina. Curiosamente, nessuno dei siti consultati segnala in dettaglio questo aspetto importantissimo.

Conclusione

Non basta, dunque, progettare un edificio con materiali a base di canapa, bambù o legno proveniente da boschi certificati, per garantirne la sua sostenibilità. La sostenibilità di un edificio va calcolata caso per caso in ottemperanza delle norme e regolamenti in vigore. Si devono considerare anche altri aspetti nell’insieme: comfort termo-igrometrico e consumi energetici estivi e invernali, costi di acquisto, trasporto e posa in opera, eventuale necessità di manutenzione, riutilizzo o riciclabilità alla fine della sua vita utile. I biomattoni di calce e canapa sono senza dubbio un’ottima alternativa ai mattoni tradizionali e ai blocchi di cemento, ma non necessariamente sono l’opzione più sostenibile in ogni circostanza, e non è imprescindibile utilizzare proprio canapa per poter produrre tamponamenti di calce e fibra vegetale.

Norme: In Italia è in vigore la Prassi di Riferimento UNI/PdR 13:2015 Sostenibilità ambientale nelle costruzioni - Strumenti operativi per la valutazione della sostenibilità. La stessa è composta da: UNI/PdR 13:2015 - Sezione 0: Inquadramento generale e principi metodologici (30/01/2015 - agg. 22/06/2016), UNI/PdR 13:2015 - Sezione 1: Edifici residenziali (30/01/2015 - agg. 22/06/2016).

Mario Rosato

Mario Rosato Ingegnere

La sua passione sono le soluzioni soft tech per lo sviluppo sostenibile, possibilmente costruite con materiale da riciclaggio. Un progetto per quando andrà in pensione: costruire un'imbarcazione a propulsione eolica capace di andare più veloce del vento in ogni direzione.