Obsolescenza programmata. Anche l’Italia prova a dire No

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Cosa intendiamo quando parliamo di “obsolescenza programmata”? Molto semplicemente, gli oggetti che compriamo hanno una scadenza, spesso a breve termine. Il capitalismo ha scelto l’”usa e getta” per tenere alti gli standard produttivi delle industrie. Da quasi un secolo, dagli Usa all’Italia, chiunque acquisti oggetti tecnologici viene ingannato. Questa sorta di truffa ai danni del consumatore ha avuto inizio nel 1924 col cartello Phoebus: i produttori di lampadine si riunirono a Ginevra e stabilirono di ridurre la vita utile dei bulbi luminosi da duemilacinquecento a mille ore, così da imporre una loro sostituzione. Dopo la grande depressione del 1929, l’industria statunitense allargò l’obsolescenza programmata ad altri prodotti industriali, proprio per disincentivare le persone a riparare gli oggetti, come invece stava accadendo a causa della crisi.

Approfondimento: come difendersi dall’obsolescenza programmata

Il termine fu coniato nel 1932, quando il mediatore immobiliareBernard Londonpropose che tale pratica fosse imposta alle imprese per legge, così da poter risollevare i consumi negli Stati Unitidurante lagrande depressione; successivamente il designerstatunitenseBrooks Stevensreinterpretò il concetto di obsolescenza pianificata: “instillare nell’acquirente il desiderio di comprare qualcosa di un po’ più nuovo, un po’ migliore e un po’ prima di quanto non sia necessario”. Nasce così l’idea di progettare prodotti sempre nuovi che utilizzassero tecnologie moderne e generassero nuove fasulle necessità, mal celando una sistematica produzione di rifiuti, e dichiarando al contempo che i prodotti ritenuti inservibili sarebbero finiti nel mercato di seconda mano, dove avrebbero potuto essere acquistati da persone con un potere di acquistoinferiore.

Nascono spontanee le critiche verso la dilagante produzione di rifiuti, lo spreco di risorse naturali e le guerre per l’accaparramento di materie prime; basti pensare alle cinquecento navi che ogni anno trasportano centocinquanta milioni di computer inservibili in Nigeria e Ghana, ai centotrenta milioni di cellulari, ancora funzionanti, buttati negli Stati Uniti per via dell’ “obsolescenza percepita”, favorita dalla pubblicità e dalla moda del momento, all’immissione nell’atmosfera di diossina, furani e altre sostanze inquinanti a causa dello smaltimento di rifiuti elettronici contenenti metalli pesanti e tossici come mercurio, nichel, cadmio, arsenico e piombo, alle guerre civili e conseguenti decimazioni delle popolazioni africane, fornitrici di metalli rari come il Coltan.

È noto ai più lo studio di Serge Latouche, economistae filosofofrancese sostenitore della decrescita felice, che ha identificato nell’obsolescenza pianificata uno dei tre “pilastri che sostengono la società dei consumi”, insieme a pubblicitàecredito, dunque un espediente per aumentare infinitamente i consumi e con essi la crescita fine a sé stessa, nociva sia per l’uomosia per l’ambiente. La condanna arriva inesorabile:
“La società cosiddetta sviluppata si fonda sulla produzione di massa del deperimento, cioè sulla perdita di valore e il degrado generalizzati tanto delle merci quanto degli uomini”, ovvero “sullo schiacciamento del tempo e il trionfo dell’effimero”

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Uscire da tale circolo vizioso è possibile, come dimostrano esempi virtuosi in Danimarca, con la zona industriale di Kalundborg in cui i sottoprodotti e i rifiuti delle imprese fungono da materie prime per altre fabbriche; ad Amsterdam con i “Repaire Cafè”, a Brooklyn con i “Fixers Collective” e a Londra col “Restart Project” dell’italiano Ugo Vallauri, veri e propri emblemi della proliferazione di luoghi per imparare a riparare dispositivi elettronici o elettrodomestici.

Un recente studio tedesco spiega come numerosi elettrodomestici e prodotti di uso comune vengono programmati, dagli stessi produttori, per rompersi dopo 2 anni, cioè dopo la scadenza del periodo di garanzia stabilito dalla legge. A Maggio, in Francia, il gruppo parlamentare ecologista al Senato ha presentato un disegno di legge per la lotta contro l’obsolescenza programmata e per facilitare la riparabilità dei prodotti, con esiti purtroppo disastrosi.

LA SITUAZIONE IN ITALIA

Il 28 Ottobre alle 13:30, presso la Sala Stampa della Camera dei Deputati, è stata presentata dal deputato Sel Luigi Lacquaniti e Simone Zuin di Decrescita Felice Social Network, la proposta di legge “Disposizioni per il contrasto dell’obsolescenza programmata dei beni di consumo”, con lo scopo di “combattere l’obsolescenza programmata dei beni di consumo per tutelare il consumatore da una pratica particolarmente odiosa qual è l’obsolescenza programmata; permettere una reale e leale concorrenza di mercato; attivare conseguentemente la creazione di posti di lavoro legati alle pratiche di manutenzione e riparazione dei beni di consumo”.

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La legge n. 1563 con i suoi pregevoli obiettivi, riguarda al momento solo beni di consumo funzionanti tramite energia, ma se uscisse vincitrice dall’iter parlamentare e fosse effettivamente applicata, comunque racchiuderebbe al suo interno una vastissima gamma di oggetti. Per contrastare il fenomeno dell’obsolescenza pianificata, Lacquaniti propone la proroga della garanzia da 2 a 5 anni, assicurando un minimo di 10 anni per quei beni dai quali ci si attende una lunga aspettativa di vita (lavatrici, automobili, forni, frigoriferi, ecc); l’obbligo di garantire la manutenzione dell’oggetto; la disponibilità delle informazioni per le riparazioni e l’incentivazione da parte delle regioni di corsi per la formazione di giovani che intendano specializzarsi nella riparazione dei beni di consumo oggetto della presente”.

La proposta include anche “una serie di sanzioni, da 1’000 a 500’000 euro, a seconda delle inosservanze alla legge riscontrate. Le sanzioni dovranno essere determinate tenendo in considerazione il prezzo di listino del bene, il numero di unità poste in vendita, nonché il complessivo volume d’affari del produttore”.

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Trattasi di una legge che riguarda un cambiamento nel sistema produttivo e nelle abitudini dell’utente, che appare di complessa attuazione in un’economia globalizzata, ma sicuramente utile a tutelare il consumatore e l’ambiente, riducendo le risorse impiegate oltre che i rifiuti, offrendo una gamma di prodotti da utilizzare in maniera più consapevole, con una costante opera di manutenzione da parte del fruitore e una crescente offerta di riparazione.

La speranza è di non trovarci ancora a dire, come già negli anni ’50 Fredric March in Morte di un commesso viaggiatore, per una volta vorrei possedere qualcosa interamente prima che si rompa. Faccio sempre a gara con lo sfasciacarrozze, finisco di pagare l’auto ed è già agli ultimi colpi! Il frigorifero consuma le cinghie come un dannato maniaco! Queste cose le programmano! Quando hai finito di pagarle sono già consumate”.

Marina Block

Marina Block Laureanda in Architettura

Amante dei gatti, zen e folle; un haiku nato a Napoli, sempre in compagnia di un buon libro e di un pacchetto di caramelle gommose. Affetta dal male incurabile del sognare, sa che se dovesse fallire come architetto, non si perderà d’animo: alle persone, invece che luoghi sicuri, regalerà storie fantastiche in cui rifugiarsi.