Perché gli architetti si vestono di nero

Arata Isozaki e Zaha Hadid vestiti di nero

Se è vero che l’abito non fa il monaco, nell’immaginario collettivo, quello nero è, ormai da tempo, associato alla professione dell’architetto. Dagli occhiali tondi cerchiati di Le Corbusier, le mantelle avveniristiche di Zaha Hadid per arrivare all’intramontabile giacca/t–shirt di Jean Nouvel: sono proprio le archistar a confermare un dress code costoso, no logo, e ovviamente, total black. Architetture geometriche, sartoriali, futuristiche portano la firma di personaggi essenziali e sofisticati, che non appaiono vestiti comunemente variopinti per conservare, almeno in pubblico, l’alone misterioso da guru.

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Tutti a distinguersi dalla massa, decretando la propria individualità e, al contempo, uniformità alla categoria. La perfezione, l’unità di tutti i colori in uno (ma anche la loro assenza), l’impossibilità di sbagliare, il lusso, la solitudine, l’incompletezza e la mancanza di qualcosa. Il nero contempla tutto e semplifica qualsiasi scelta. E poi si sa, nel vestiario, nelle tavole photoshoppate come nel design più serioso, il nero va bene proprio con tutto.

TOTAL BLACK, MINIMALISMO E ESISTENZIALISMO

L’aspetto architettonico del vestiario nero vuole sottointendere uno spirito minimalista e un assoluto purismo, al di sopra di mode passeggere o frivolezze. Azionisti di società, pubblico e clienti altolocati sono conquistati dai render, dalle spiegazioni emozionali e, naturalmente, dalla classe senza tempo del total black.
L’ornamento e qualsiasi orpello, battaglia personale di Adolf Loos, sono banditi, un po’ per comodità (non dover abbinare capi, cambiarsi spesso e poca visibilità allo sporco) un po’ per filosofia. La conseguenza è che pattern fiorellati, colorati accessori e mode passeggere sono censurati a priori.

LE RAGIONI DEL FASHION ARCHITECT

L’abito scuro non è sempre garanzia di professionalità e classe, ma conquista la stima di colleghi, critici e, soprattutto, degli operai quando indossato in cantiere nel profondo e caldo sud. Nel simpatico pamphlet “Why do architects wear black?” (SpringerWienNewYork, Cordula Rau, 2009) sono interpellati cento architetti, tra cui, a sorpresa, vi sono alcuni che preferiscono i colori.

A sinistra, Jean Nouvel (Peter Marlow © Magnum Photo ); a destra, Odile DecqA sinistra, Jean Nouvel (Peter Marlow © Magnum Photo ); a destra, Odile Decq

Le risposte decifrabili (scritte a mano con traduzione in inglese), rivelano le ragioni del successo. Così tante ragioni, dalle macchie che non si notano, la figura snellita fino al sentimento di paura, da decretare il nero come scelta semplificata per ogni occasione e stagione. Chi per un motivo, chi per un altro e chi perché così fan tutti. Odile Decq spiega il suo abbigliamento e trucco profondamente dark; per Peter Haimerl rappresentalibertà e autorità (“Architects wear black … because they want to have the authority of black capes, the liberty of apes, and the visibility of nocturnal capers”); con ironia risponde Michel Desvigne che credeva fosse l’unico (“Parce que je croyais etre le seul a faire ça”).

IL DRESS CODE CONTEMPORANEO

Che non sappia disegnare, non sia eccellente nel calcolo o che semplicemente abbia onorari più bassi degli operai che dovrebbe dirigere, poco importa. Il fashion architect dovrebbe vestirsi così: t–shirt, camicia maniche lunghe, giacca e pantaloni neri, calzature o stivali neri minimal o dal design essenziale. Inaccettabili fantasie, pantaloni con tasche, vestiti con stampe o marchi visibili, mocassini, sandali, scarpe da barca a vela.

La borsa più trendy è la postina nera, che a onor del vero è anche molto comoda. Altro tratto distintivo è la montatura degli occhiali, in modo che il volto dell’architetto rimanga ben impresso nella mente dell’osservatore. Proprio come Le Corbusier, Philip Johnson e Ieoh Ming Pei, gli occhiali dell’architetto sono tondi cerchiati di nero e un po’ fondo di bottiglia.

Visibilità, credibilità e autorità sono valori associati al colore lugubre, tant’è che clienti o neofiti della professione rimangono di stucco quando il dress–code è disatteso dal professionista poco attento agli eventi ma più presente in cantiere.
Un po’ missionari, pessimisti, infelici e neutrali, gli architetti usano il colore intramontabile, come suggerisce Meinhard von Gerkan, in analogia con l’architettura che dovrebbero realizzare.

Elisa Stellacci

Elisa Stellacci Architetto

Di origine barese e studi ferraresi, si occupa di architettura e grafica a Berlino. Lavora in uno studio di paesaggio, adora le ombre, concertini indie-rock e illustrazioni per bimbi. Volubile e curiosa, si perde nei dettagli e divide non equamente il tempo tra lavoro, amici e passioni.