Bruciare biomassa. Più sostenibile o pericoloso?

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E’ alquanto pretestuoso pensare che bruciare biomasse per produrre energia non implichi una serie di danni per l’ambiente e per l’uomo. Oltre ad avere, infatti, un impatto notevole per l’ambiente in quanto gli inceneritori a biomasse richiedono enormi quantità di materiali da incenerire, a scapito dei

fragili equilibri eco ambientali, creano non poche perplessità sul cospicuo sfruttamento del territorio, nonché potrebbe in futuro essere ritenuta corresponsabile dell’aumento dei prezzi degli alimenti in tutto il mondo.

Da tenere in considerazione, inoltre, che spesso non vi sono tracce di sistemi di trattamento, recupero, utilizzo e smaltimento delle ceneri che gli impianti producono, pari allo 0,5 – 0,7% del peso del legname bruciato, ma con percentuali più elevate per altri tipi di biomassa, come ad esempio la paglia. Queste ceneri sono altamente tossiche, ed in particolare lo sono le ceneri volanti raccolte dagli impianti di depurazione dei fumi, che contengono cadmio, cromo, rame, piombo e mercurio (derivanti, ad esempio, dalla combustione di legno di quercia, faggio o abete.

Le emissioni inquinanti non sono finite qui, infatti, sono presenti anche ossido di carbonio, polveri totali sospese e ossidi di azoto, polveri sottili e diossine (esattamente come per i più comuni inceneritori di rifiuti), formaldeide, benzene, idrocarburi policiclici aromatici.

Ad oggi la normativa risulta carente nella valutazione dell’impatto ambientale e sanitario che i nuovi impianti a biomassa inevitabilmente provocano e provocheranno. La realtà è che le biomasse sono un combustibile povero, e può essere considerato economicamente ed energeticamente conveniente solo in paesi come la Svezia, dove l’industria del legno produce grandi quantità di scarti. l’economia di scala. “Una centrale a biomassa per poter produrre elettricità a costi confrontabili con quelli in uso in Europa deve avere una potenza pari a 20 megawatt elettrici (Bridgwater 2003). Questo significa fare arrivare all’impianto almeno 80.000 tonnellate all’anno di legna secca, con 8.000 camion, e trovare una destinazione a circa 400 tonnellate di ceneri. Il territorio della provincia di Asti può garantire questa produzione di biomassa, in modo veramente sostenibile? Il calore prodotto da un impianto di queste dimensioni può trovare un utilizzo entro un raggio compatibile con i costi della distribuzione del calore e con una richiesta costante per tutto l’anno?” (Dott. Federico Valerio, Istituto Nazionale Ricerca sul Cancro, Servizio Chimica Ambientale).

Inoltre, uno studio svedese ha messo a confronto diversi combustibili per impianti di teleriscaldamento comparando il loro ciclo di vita. Sono stati messi a confronto l’incenerimento di rifiuti, la combustione di biomassa e di metano. Le conclusioni sono che l’incenerimento risulta la peggiore scelta.

Fonte: LaGazzettaWeb.it