Arte e rifiuti. Da Warhol a Schult, l’interpretazione dei grandi artisti

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Recuperare, conservare i rifiuti, trasformarli, lavorarli… per dirla con le parole di Andy Warhol “gli scarti sono probabilmente brutte cose, ma se riesci a lavorarci un po’ sopra e renderli belli o almeno interessanti, c’è molto meno spreco.” I rifiuti costituiscono un vero e proprio mondo, speculare a quello delle merci, un immenso giacimento di grande valore creativo, oltre che un documento fedele delle nostre abitudinie del nostro stile di vita. Sono lo specchio della nostra società dei consumi, che riflettendosi in esso può prendere coscienza di sé.

Il mondo dell’arte si è cominciato ad interessare ai rifiuti a partire dalla seconda metà del XX secolo. La dimensione intrinsecamente ironica degli scarti è stata subito compresa da Andy Warhol: “Mi è sempre piaciuto lavorare con gli scarti […] hanno un grande potenziale di divertimento […] Ho sempre pensato che ci fosse più houmour negli scarti […]” (Da Filosofia di Andy Warhol, Costa & Nolan, Genova 1983).

Alcuni artisti, come Arman e César, hanno quasi sempre fatto ricorso ai rifiuti; altri come Burri, Pistoletto, Tàpies o Beuys ne hanno fatto largo uso solo in certi periodi della loro attività; altri, come Cattelan, li hanno impiegati sporadicamente; altri ancora ne hanno fatto la materia principale della loro arte.

Nella maggior parte dei casi gli artisti non si limitano ad un semplice uso estetico degli oggetti da scarto, ma giungono ad un’interpretazione metaforica della condizione dell’uomo contemporaneo, egli stesso scartato dalla società dei consumi e contemporaneamente sopraffatto dai suoi stessi scarti.

In tal senso, emblematica e attuale è installazione dei “Trash Men” ideata dall’artista tedesco Ha Schult. Un’opera d’arte monumentale, costituita da enormi schiere di uomini spazzatura, che è stata installata nei luoghi emblematici del pianeta: sulla Grande Muraglia (2001); davanti alle Piramidi di Giza (2002); in piazza del Popolo a Roma (2010), ecc.

Non è un caso che proprio gli artisti, automaticamente emarginati e rifiutati come figure inutili dall’attuale società dei consumi, fondata solo sui beni materiali, ne abbiano per primi cominciato a recuperare l’immensa mole di rifiuti, dandogli un nuovo valore e una nuova vita.

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Uno dei ruoli culturali fondamentali dell’arte, il cui abbandono è un chiaro segno di decadenza da parte di chi ci governa, sta nella capacità di percepire in anticipo il cambiamento e di trasferirne il senso alla società. È dunque anche per merito dell’arte che oggi possiamo comprendere fino a che punto l’infinitismo caratteristico della modernitàabbia raggiunto il limite della sostenibilità, un limite oltre il quale si spezzano gli equilibri e si oltrepassa quella capacità di carico che non è solo ambientale, ma anche e soprattutto umana.

E in questo senso sono profetiche le parole di Vittorio Hosle che già nel 1990 scriveva:“Uno dei compiti etici più importanti del secolo dell’ambiente consisterà nel rinunciare all’infinitismo caratteristico della modernità per ritrovare una misura”.

Fonti |
Lea Vergine “Quando i rifiuti diventano arte”, Skira, Milano 2006
Vittorio Hosle,“Filosofia della crisi ecologica”, Einaudi, Torino 1990
“Filosofia di Andy Warhol”, Costa & Nolan, Genova 1983