• scritto da Andrea Di Gaetano
  • categoria Progetti

La tridimensionalità della città contemporanea. Comprehensive, città in un unico edificio

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In un contesto architettonico nel quale la “verticalità” sembra essere la risposta più ovvia ai problemi delle città, voglio spostare il discorso su una tematica ampiamente trattata dalla generazione di architetti degli anni Sessanta e che ultimamente ha visto una sua efficace riproposizione in chiave contemporanea: la “tridimensionalità”. Nel 1969 la rivista Domus pubblica il progetto di due giovani architetti britannici, Mike Mitchell e Dave Boutwell, in cui un edificio in linea retta si estende da New York a San Francisco; una città fatta di un unico edificio denominata “Comprehensive City”.

Nel 2010 lo studio romano OFL architecture vince la Silk RoadMap International Competition con un progetto “che integra fortemente l’infrastruttura con l’architettura e, attraverso una nuova main line su binari gravitazionali segue il tracciato che va da Venezia fino a Xian, Shanghai, Tokyo, estendendo le sue braccia composte da nuove infrastrutture, servizi commerciali e residenze” – si legge nella relazione di progetto fornita dal team vincitore.

Dopo quarant’anni, dunque, la “città generale” diventa una “città diffusa”, entrambe lineari e con l’obiettivo di risolvere problemi ad una scala più ampia, sviluppando una proposta progettuale che si basa su due aspetti cardine: la mobilità e un nuovo modello di urbanizzazione.

Tuttavia, mentre in precedenza si è cercato di risolvere il problema rendendo il progetto stesso una versione monumentale di una grande autostrada transcontinentale, oggi si punta a ridurre al minimo gli spostamenti tramite una loro crescente meccanizzazione e l’abbandono di autoveicoli personali.

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Questo avviene grazie ad un’arteria vitale, ossia ad una città non più pensata come un oggetto isolato quanto piuttosto come una rete di relazioni che si realizza in una vera e propria infrastruttura urbana che definisce una città spaziale. Linearità e tridimensionalità, quindi, come risposta ai problemi di sovrappopolazione delle città attuali e come evoluzione di centri urbani compatti; un’idea già presente nella mente dei progettisti della “Comprehensive City” ma che qui assumente un significato sociale più ampio, ossia dare linfa vitale ad organismi urbani minori eliminando le problematiche legate a sobborghi marginali e quartieri periferici.

Porre quindi fine ad una situazione in cui il “caos gigantesco, incontrollato e in dilatazione, che chiamiamo oggi città, sta paralizzando la nostra civiltà”. Con queste parole Mitchell e Boutwell descrivono una sensazione fortissima in quegli anni, che risale a Le Corbusier e ancora più indietro, ossia il desiderio di porre un ordine architettonico alla società umana e fermarne la tenace tendenza ad espandersi.

L’uomo deve configurare a propria immagine il paesaggio metropolitano: un fascio energetico fisicamente compatto, intenso, tridimensionale, non una tenue pellicola di materia organica. Il paesaggio artificiale dev’essere un paesaggio multilivelli, un solido in tre dimensioni congrue. L’unica direzione realistica verso una comunità umana fisicamente libera è quella che tende alla costruzione di città veramente tridimensionali.” Con queste parole Paolo Soleri esprime nel 1970 la sua visione urbana, traducendola in opere che mostrano l’intento di concentrare la razza umana per sgomberare la crosta terrestre dall’espansione suburbana, e con le stesse parole possiamo oggi descrivere il progetto dello studio romano, che nella Silk Road Map Evolution (SRME) ha saputo interpretare al meglio questa tridimensionalità.