Un ristorante sull’albero ispirato al bozzolo della crisalide

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In sezione, un bozzolo che racchiude una crisalide e che di notte si illumina come una lanterna; in pianta, la conchiglia di un Nautilus: sono queste le suggestioni che hanno ispirato lo studio Pacific Environments Architects nel suo progetto per un ristorante sull’albero. Le forme organiche della natura ed il legno di sequoia sono il punto di partenza di una ricerca che, intrisa di tecnologia e di un pizzico di originalità, non manca di compiersi negli orizzonti della sostenibilità ambientale: la struttura può essere infatti liberamente smontata e reinstallata su un altro albero che risulti ugualmente idoneo a fungerne da supporto.

Siamo in una zona rurale a nord di Auckland, in Nuova Zelanda.

Una foresta di sequoie è stata scelta come location per una installazione che nasce come sfida: le Yellow Pages neozelandesi hanno lanciato un programma di marketing con cui dimostrare che il servizio può essere usato per qualsiasi incarico, persino per la realizzazione e le gestione di uno spazio pubblico come questo.

In effetti il

Treehouse Restaurant non è un ristorante qualunque ed i suoi numeri non passano inosservati: 10 sono i metri che lo separano da terra e 10 sono i metri della sua massima larghezza, 120 cm è la misura del diametro del tronco della sequoia alta 40 metri, 30 è il numero massimo di clienti che la struttura può ospitare contemporaneamente. L’accesso al bozzolo avviene attraverso una passerella lunga 60 metri, rivestita in doghe di recupero in legno di sequoia e sospesa in mezzo alla natura: un asse immaginario in direzione est–ovest crea uno sfalsamento in pianta che consente di mantenere inalterate le sinuosità della struttura ed al contempo diventa a sud sbocco per la passerella (e quindi ingresso al locale) e a nord affaccio privilegiato sul panorama (con il “balcone di Giulietta”).

Ciò che colpisce dell’installazione non risiede né nei materiali, che in un continente ecologicamente virtuoso come l’Australia non potevano che essere locali, né nelle forme (non siamo nuovi alle architetture audaci del Nuovo Continente), bensì nel

sistema costruttivo concepito ad hoc per la struttura: tre collari di acciaio fissati al tronco dell’alberosostengono lastruttura portante tridimensionale in legno, realizzando così il solaio di calpestio e quello di copertura. Elementi curvi in legno lamellare di pino sono resi solidali ai solai, informando l’involucro esterno in legno, mentre l’involucro interno è costituito di doghe in pioppo con funzione frangivento e frangisole, a sud a tutt’altezza ed a nord a mezza altezza per la presenza del parapetto del “balcone di Giulietta”. Lastre in perspex e tende schermanti difendono rispettivamente dalle intemperie e dall’irraggiamento estivo, mentre la conformazione curvilinea delle alette esterne allontana la pioggia dallo spazio interno.

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La

casa sull’alberocome tipologia architettonica risale ad epoche e luoghi remoti: dall’antico Egitto, all’Europa settentrionale, dalla Roma antica, alla Firenze Medicea, fino agli Stati Uniti d’America dove decine di aziende sono specializzate nella costruzione di case sugli alberi. Simili ardite architetture sono per tecnici ed esperti del settore occasioni imperdibili per stimolare la creatività, sperimentare nuove tecniche e tecnologie costruttive e codificare nuovi approcci al costruire che siano preludio al progresso in campo edile, del resto la vista di tali soluzioni estetiche non può che destare curiosità ed ammirazione nell’osservatore, esperto o neofita che sia.

Tuttavia lasciamo al lettore lo spazio di una riflessione dal sapore fortemente emozionale: è davvero il caso di perseguire a tutti i costi la novità, la spettacolarità, o peggio il desiderio onirico, retaggio dell’infanzia, della “casa sull’albero”, anche a costo di un’azione di

violenta imposizione su un elemento naturale dalla storia millenaria quale è l’albero, attraverso elementi strutturali invasivi ed estranei alla sua natura? Dico violenta, nei casi in cui non sia assicurata la compatibilità tra materiali e componenti vecchi e nuovi e quando non si tiene conto della storia, del vissuto, dell’evoluzione di un essere vivente come l’albero, e in definitiva quando l’approccio verso la progettazione che coinvolge direttamente un elemento naturale non sia guidata dalla profonda sensibilità del progettista nella comprensione di qualcosa di esterno a lui. Il limite tra occasionalità e necessità di un simile intervento è davvero labile, probabilmente non esiste neppure perché manca il secondo termine.







Barbara Brunetti

Barbara Brunetti Architetto

Architetto e dottoranda in Restauro, viaggia tra la Puglia e la Romagna in bilico tra due passioni: la ricerca accademica e la libera professione. Nel tempo libero si dedica alla lettura, alla grafica 3d, e agli affetti più cari. Il suo sogno nel cassetto è costruire per sé una piccola casa green in cui vivere circondata dalla natura.