Makoto Sei Watanabe: progetti natura(l)mente artificiali

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In un’epoca in cui la sostenibilità è sempre più un target di mercato piuttosto che una qualità consapevolmente accettata dal progettista, Makoto Sei Watanabe propone un nuovo metodo di progettazione nel quale i progetti nascono naturalmente, come una foglia o un albero, secondo un’esigenza che da sempre regola il mondo: sopravvivere. “Per progettare un reticolo strutturale tradizionale, si appronta una semplice griglia,

si applica il carico e si calcolano gli effetti. Si selezionano i materiali adatti a soddisfare le condizioni di carico degli elementi in caso di sforzo maggiore. Poi si utilizzano gli stessi materiali per tutta la struttura”.

Watanabe cerca invece di applicare, ad esempio nel progetto della stazione Iidabashi (nella foto di seguito), una variazione da sezione a sezione dell’applicazione dei materiali, in modo da evitare la loro selezione in base ad una regola di uniformità.

Nel suo progetto “l’ossatura è larga e massiccia dove le forze sono maggiori e sottile dove le forze sono più deboli. I materiali sono saldati nelle giunture per sopportare meglio lo sforzo trasmesso. Invece di unire i pilastri con le travi, il materiale si estende, si separa, si riunisce e forma una singola struttura unitaria senza distinzione fra verticale e orizzontale. Inoltre, l’interazione fra ossatura e materiale viene ottimizzata, in modo che nulla sia superfluo”.

Un progetto interessante a tal riguardo è anche quello della Kashiwanoh–Campus Station (nella foto di seguito). “Questo edificio ha una forma che ricorda il fluire del vento e dell’acqua. Volevo rappresentare il fluire con un metodo che non si basasse sull’imitazione della natura o sul capriccio umano. Avrei potuto usare un’applicazione della fluidodinamica per generare la forma, ma ciò avrebbe significato prendere in prestito un modello dal mondo naturale. Non sto cercando l’imitazione… lo scopo non è scoprire una forma, ma giungere a modi di realizzare una città e architetture che forniscano migliori soluzioni ai problemi del mondo, lasciando al contempo più libertà all’immaginazione”.

La metodologia progettuale, sviluppata da Makoto Sei Watanabe, non imita la natura e nemmeno ne copia le forme, eppure ha molto in comune con il modo in cui essa funziona. Gli aspetti che collegano il mondo naturale ad una nuova metodologia di progettazione computerizzata derivano da una somiglianza di forme, una somiglianza con i sistemi naturali che è sorta in maniera inaspettata, come afferma lo stesso autore, il quale prosegue dicendo che la struttura di Induction Cities è simile a quella di un ecosistema naturale, perché imposta valori e programma metodi per realizzare quei valori; questi due sistemi, dunque, generano forme simili perché entrambi sono validi per raggiungere lo scopo prefisso in determinate circostanze. Le forme, infatti, sono il risultato non il punto di partenza, rappresentano la soluzione ad un problema impostato in un certo modo, in un determinato contesto e sottoposto a determinate costrizioni, questo è il concetto alla base di Induction Cities, la cui prerogativa è di far crescere i risultati di generazione in generazione, di proporre soluzioni diverse a problemi eterogenei, ponendosi come valida alternativa alla progettazione convenzionale, che cerca di decidere tutto.

Watanabe propone l’esempio del seme. “Un seme, se riceve luce e acqua, estende le sue radici, mette le foglie e i fiori. Espande le radici alla ricerca di terreno soffice e posiziona le foglie dove possono ricevere più luce solare possibile. Le strutture dei rami e delle foglie di un albero sono progettate per ottimizzare le forze necessarie a resistere alla pressione del vento a seconda delle risorse disponibili. Le piante sono in grado di trovare un compromesso fra i propri bisogni e le condizioni ambientali, e crescono in accordo con esso”.

La Natura si basa su principi semplici che sviluppati possono dare vita a soluzioni molto diverse, soluzioni che difficilmente si possono scoprire dall’esterno, dalla forma.

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L’idea di Watanabe è quella di provare a definire tali principi e di sviluppare un metodo di programmazione che riesca a svilupparne le potenzialità creative; in tal modo “le città e l’architettura si adatterebbero meglio al loro ambiente e al contempo diverrebbero più libere”.

L’esempio a mio avviso più convincente per supportare questa ipotesi è il disegno degli alberi per mezzo del basic design. “Semplificheremo gli elementi e rappresenteremo tronchi e rami con linee. I rami dell’albero si biforcano dal tronco. Noi sceglieremo il numero di rami, la loro angolazione, il rapporto di restringimento e quello di espansione. Bisogna quindi specificare soltanto quattro valori e poi il programma aggiunge rami esattamente secondo le istruzioni. Scegliamo un numero, uno. Sembra un albero. Sembra un albero a foglia larga. Proviamo un numero diverso, due. Questo sembra una conifera. Possiamo ottenere felci e graminacee allo stesso modo. Possiamo ottenere un baobab”. Come già affermato in precedenza, la forma rappresenta soltanto il punto di arrivo di una metodologia progettuale basata su questi concetti. Le forme della Natura non vengono imitate, ma studiate per comprenderne i principi che le governano e le generano. Allo stesso modo in cui la varietà di alberi può essere descritta partendo da soli quattro parametri, così è probabile che la genesi della morfologia naturale sia governata dalla combinazione di alcune variabili, la cui comprensione potrebbe rivoluzionare la concezione progettuale.

Questi concetti, pur essendo discussi in maniera attuale, fornendo spunti di riflessione originali, non rappresentano un’innovazione sostanziale nel campo (prettamente teorico) della progettazione. L’idea di imparare dalla natura, come lo stesso Watanabe afferma, ha fatto la sua apparizione molte volte nella storia del pensiero architettonico, tuttavia egli sostiene che Induction Cities si differenzia da tali precedenti sotto questo aspetto: “non stiamo cercando di imitare forme di vita, ma il loro meccanismo. Non siamo alla ricerca di metafore, ma di modelli”.

L’argomentazione portata avanti da Watanabe potrebbe essere ricondotta al concetto di intuizione. L‘autore, infatti, intitola il suo testo Induction design; il concetto di induzione è un procedimento che partendo da singoli casi particolari presume di poter stabilire una legge universale, e che cos’è l’induzione se non il punto di arrivo di una intuizione intellettuale? Watanabe utilizza (anche se solo una volta) il temine intuizione.

“Il layout di piano che risulta dal programma sembra naturale, sembra, ecco, come la planimetria di una vera città. “Sembra” non è un’espressione scientifica, certo, ma giustifica una valutazione intuitiva del risultato”.

Fonte | Makoto Sei Watanabe (2004), Induction design. Un metodo per una progettazione evolutiva, Testo & Immagine
Immagini | Makoto–aarchitect.com

Andrea Di Gaetano

Andrea Di Gaetano Architetto

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