• scritto da Angela Crovace
  • categoria Progetti

Il riciclo in architettura in mostra al Maxxi fino al 29 aprile 2012

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Dare nuova vita a rifiuti, scarti, rottami è pratica consolidata nel campo del design già da qualche decennio, si pensi ad esempio al lavoro innovativo e sperimentale svolto dai fratelli Fernando e Humberto Campana che sin dagli anni ’80 cominciarono a realizzare elementi d’arredo a partire da oggetti recuperati per strada, abbandonati e gettati tra le favelas, ma anche raccolti tra boschi e foreste. Recuperare, riusare, rifunzionalizzare,

riadattare, non gettare via, non consumare e basta, il ‘recycle design’ non implica solo manualità e progetto ma nasce da atteggiamenti consapevoli e responsabili nei confronti dell’ambiente, della natura, di tutto il pianeta Terra, dell’umanità e delle future generazioni.

Ma perché non estendere questa ‘strategia’ anche all’architettura?

Sono molti gli edifici in stato di abbandono, le cave o discariche in disuso, le infrastrutture ormai inutilizzate. Un’alternativa alla demolizione è un recupero che gli attribuisca una nuova funzione, una seconda vita.

LA MOSTRA RE–CYCLE, AL MAXXI FINO AL 29 APRILE

Si tratta di una strategia progettuale che dal design sconfina in campo architettonico, urbanistico, paesaggistico ed è proprio questo il tema della mostra allestita al MAXXI di Roma, Re–cycle. Strategie per l’architettura, la città e il pianeta, inaugurata lo scorso 1 dicembre e che proseguirà fino al 29 aprile 2012. Nelle gallerie del museo è così possibile scoprire che ‘architetture riciclate’ non sono una novità e che già nel 1929 l’architetto Pietro Portaluppi issava su bassi pilastri di cemento due vagoni ferroviari o che maestri come Frank O. Gehry e Robert Venturi hanno riciclato opere dismesse.

L’esposizione

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In esposizione c’è poi il plastico del nuovo parco pubblico di New York che mostra la riqualificazione urbana di una vecchia linea ferroviaria abbandonata (High Line), il modello del museo di Elisabetta Terragni ricavato all’interno di due gallerie sotterranee dismesse, il progetto di una ex discarica vicino Barcellona diventata ora una valle terrazzata e coltivata.
A Pechino lo studio Sanlitun South Lot–Ek ha utilizzato per la costruzione di un centro commerciale oltre 150 container adibiti al trasporto delle merci e ad Anyang, in Corea del Sud, gli stessi sono stati assemblati per realizzare un edificio scolastico.
Anziché colonizzare altro suolo libero si può rinnovare il look a ciò che già c’è, un po’ come quando Duchamp metteva i baffi alla Monnalisa o Andy Warhol personalizzava oggetti quotidiani e banali.
Nella sala Carlo Scarpa 27 fotografie scattate da Pieter Hugo in Ghana mostrano lo scenario catastrofico e agghiacciante di una delle discariche di rifiuti tecnologici più inquinanti del mondo.

Le installazioni esterne
All’esterno del museo sono state realizzate due installazioni site specific.

Maloca’, la copertura dei fratelli Campana, è la rivisitazione in chiave contemporanea della capanna degli indios brasiliani. E’ realizzata in rafia sintetica riciclata tessuta artigianalmente e che ha un effetto naturale, quasi come se fosse stato utilizzato il vero materiale antico (la maloca). Pionieri nell’uso di materiali riciclati, i fratelli Campana sono fautori di “uno ‘slow design’ fatto di manualità, artigianato, recupero di antiche tecniche di contro ad una iperproduzione infinita e devastante per la Terra. Si tratta di un design emergenziale che utilizza materiali poveri e democratico perché tutti possono realizzarlo, non c’è bisogno di una industria o di una tecnologia particolare.” Riciclando i tubi per l’irrigazione hanno creato la sedia Anemone, assemblando pezzi di tessuto di vario tipo e colore la seduta Sushi, dalle forme vernacolari è la linea Transplastic, misto di plastica e midollino.

Lo studio tedesco Raumlaborberlin ha realizzato l’altra installazione, ‘Officina Roma’, utilizzando oggetti riciclati come ante di armadi, finestre, barili, bottiglie di vetro, portiere d’auto ecc.