Grattacieli d'Italia le cause della crisi finanziaria

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La BBC ha divulgato un report di Andrew Lawrence di Barclay Capital Hong Kong, in cui si collegano i grattacieli alle cause della crisi finanziaria. Fin dai tempi dell’Empire State Building di New York, tristemente vicino alla grande depressione del 1929 fino alla torre più alta del mondo di Dubai e il recente collasso economico, il documento connettein un pauroso ordine cronologico eventi che sembrano delineare un bizzarro destino e metterebbe

in tal senso in guardia Cina e India con, rispettivamente, 124 e 14 grattacieli in progetto o in costruzione.

Leggendo l’articolo viene da pensare che tutti presi come siamo dalle allucinazioni da apocalisse, chiunque pensi di poter avanzare profezie sul collasso del pianeta.

Ora, dire che i grattacieli siano la causa della crisi finanziaria mi sembra piuttosto azzardato, anche se non mi stupisce troppo. Del resto costituisce ormai malcostume diffuso fare a gara per invogliare con ogni mezzo (non sempre) lecito qualcun altro ad assumersi la responsabilità per potere puntargli il dito contro quando le cose vanno male, generando un “walzer delle colpe” che allontana le responsabilità dal vero colpevole.

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Il punto sembra più che altro la mania di invincibilità che la ricchezza materiale produce e l’ottusa cecità positivista nel domani, omettendo il necessario calcolo delle conseguenze.

Le spese eccessive che apportano tali giganti urbani sono infatti di gran lunga superiori ai vantaggi, specie in un’epoca in cui si ripensano stili di vita e politiche sociali.

Abbiamo recentemente argomentato il nuovo grattacielo di Renzo Piano a Torino (in realtà di dimensioni molto ridotte rispetto ai cugini stranieri) e come sia fuori luogo in un contesto geografico e cronologico attuale, ma è importante mantenere il dialogo vivo poiché il sistema capitalistico della libera concorrenza spinge ad imitarsi a vicenda, anche nell’errore, se arreca profitto.

Le nostre città hanno bisogno di una pianificazione d’insieme, di ricuciture di tessuti disconnessi e di integrazioni di parti separate, non di edifici puntuali sparsi nel territorio il cui unico scopo è quello di dare sfogo all’ego di qualcuno. Basta fare visita ad amici, parenti o colleghi che vivono nei quartieri suburbani delle nostre città per rendersi conto di come una scarsa progettazione possa influire sulle relazioni umane e quindi sulla società. Gli edifici verticali costringono gli abitanti a non guardarsi e i vuoti tra questi poliedri di cemento sono appunto vuoti!

Non so se una riprogettazione urbanistica possa salvare le sorti economiche di questo come di ogni altro paese, ma penso che se la progettazione allargasse la propria attenzione anche alle sue conseguenze sociali, saremmo certamente in grado di costruire un mondo più ordinato e meglio fruito e condiviso, che lasci meno spazio anche agli anfratti dell’illegalità.











Federica Lipari

Federica Lipari Architetto

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