Expo 2015. Il riscatto dell’Italia? Quello che non ci dicono

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L’Expo 2015“sarà il successo di tutta l’Italia e della sua volontà comune diriscatto, di rilancio per la nostra economia. Chi lo ha detto? Vediamo se indovinate: è lo stesso che sosteneva che andando avanti a botte di austerity e licenziamenti facili saremmo usciti dalla crisi. Lui. Mario. Quello col loden. Ma siamo proprio sicuri? Come dimostrano i lavori in alto mare e le voragini di bilancio del comune di Milano, per Expo2015 il tempo inizia a stringere: oltre a qualche scavo, nulla è stato fatto (a parte pubblicizzare in ogni dove render del tutto irrealistici) e la consegna prevista per il 1 maggio 2015 è un miraggio. Cerchiamo di capire quello che non ci dicono.

Il progetto: il Padiglione italiano per l’Expo2015 di Milano

Segnali indicativi sono il Supercommissario Unico fresco di nomina e la decisione del Cdm, che come extrema ratio ha approvato il 26 Aprile 2013 delle misure urgenti riguardanti al contempo terremoto in Abruzzo, terremoto in Emilia e Expo di Milano, (sottolineando involontariamente la natura catastrofica dell’evento). Altro che riscatto. I segnali che questo progetto fosse una cattedrale nel deserto erano anzi chiari a tutti da tempo. Un sospetto doveva già venire il 3 novembre 2006, alla scadenza per la presentazione delle candidature, quando l’idea dell’Expo 2015 era così convincente che fra tutti i paesi del mondo gli unici a presentare domanda di candidatura sono stati Italia e Turchia (e facciamoci delle domande).

Dal 31 Marzo 2008, giorno in cui la città di Milano si è aggiudicata l’organizzazione dell’Expo, ad oggi, il mirabolante percorso dell’Expo2015 è somigliato più ad una sofferente Via Crucis; malgrado nell’agosto 2012 “ce la expofaremo!”, assicurava con disprezzo dell’eufonia Paolo Peluffo, l’allora sottosegretario alla Presidenza del Consiglio e coordinatore della cabina di regia intergovernativa per il supporto all’Expo.

Facendo finta per un attimo di ignorare le infiltrazioni mafiose, vale le pena di far notare come siano arrivati puntuali, come al solito, i costi “imprevisti”. Ben 30 milioni di Euro di extra costi e nuove bonifiche. Chi lo avrebbe mai detto? Impareranno mai i nostri amministratori che questo è quello che puntualmente accade quando le imprese vincono un appalto con un ribasso esagerato (il 42,83% in questo caso)? Delle due l’una: o sono dei dilettanti, o sono dei collusi. Tertium non datur.

Serviva quindi un alibi per lucrare su terreni agricoli acquistati a 0 e rivenduti a 1000, o per dare ossigeno al Partito del Cemento ormai agonizzante. Lo hanno trovato. Sarà un bellissimo e scintillante cavallo di Troia, con betoniere al posto degli achei in agguato. Dietro la realizzazione di alcune opere di pregio architettonico, si nasconde la malcelata intenzione di un’operazione immobiliare attraverso cui la Fondazione Fiera di Milano spera di risanare i suoi passivi di bilancio. Punto, e a capo.

Se davvero lo scopo dell’Expo 2015 fosse quello che campeggia negli slogan (Nutrire il Pianeta), non si capisce cosa c’entrino le centinaia di residenze e appartamenti, così come sarebbe bello capire perché non sia stata sviluppata l’idea di quel sovversivo di Carlin Petrini di Slow Food: quella di costruire l’unica cosa sensata da fare (oltre che davvero unica al mondo), cioè un grande parco biologico dedicato all’agroalimentare, in uno spettacolare tributo alla biodiversità del mondo mai realizzato prima.

Sarebbe stata davvero un’occasione unica per Nutrire il Pianeta, facendo crescere i frutti della terra anziché pilastri di cemento,un museo vivente del Gusto, mostrando il percorso dall’orto alla tavola, osservando la natura trasformarsi in cibo, dunque in cultura (un settore in cui noi italiani non siamo secondi a nessuno, anche se spesso ce ne dimentichiamo).
Ma tutto questo è il mondo ideale di Thomas More, che non trova applicazioni in un paese sventrato dalle logiche che muovono l’economia del cemento. I grandi appalti mal si conciliano con gli orti, e così gli interessi convergenti di amministratori e costruttori indebitati hanno portato a questa illogica new–town di palazzine in mezzo al nulla.

Cosa c’entrano però con il cibo 750.000 metri quadrati di cemento? E soprattutto: una volta terminata (se ci riusciranno) l’Expo, quali sono gli scenari previsti per l’area? Il progetto sul dopo Expo doveva essere pronto per Aprile, ma il suo destino è già chiaro. Lo abbiamo visto fare troppe volte per non sapere come andrà a finire: diranno “dobbiamo valorizzare il tessuto suburbano”, “occorre un piano di sviluppo”, “non possiamo lasciarlo improduttivo” e così arriverà nuovo cemento. The Day After Expo, ci accorgeremo che a nessuno interesserà mantenere verdi e infruttuose le aree a parco attualmente risparmiate. Gli indizi ci sono tutti: l’Expo ha già attirato i costruttori nelle aree circostanti (es. Cascina Merlata e via Stephenson costellate di residenze, torri ecc.). Ma perché stupirsene?

Inoltre secondo i dati di Legambiente,la Lombardia è una delle regioni più urbanizzate e cementificate d’Europa. E se consideriamo che la legge 12/2005 è cambiata sette volte negli ultimi cinque anni, non dovremmo stupirci nemmeno di questo.

Intanto i costi e i ritardi si sommano. Tornare indietro è ovviamente impossibile. Al momento, il totale pagato da Arexpo (la società pubblica che ha acquistato le aree) è di 151 milioni di Euro, che secondo il Fatto Quotidiano, una perizia dell’Agenzia delle Entrate avrebbe giustificato solo in virtù delle future potenzialità di espansione immobiliare dell’area: come volevasi dimostrare. E sarà con ogni probabilità questo il destino dell’area Expo, dal momento che meno cemento significa meno denaro da fare rientrare nelle casse pubbliche: le Grandi Opere costano, e qualcuno deve pagarle. Soprattutto quelle inutili.

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Qui il danno ormai è fatto: o il comune punterà sul cemento, o andrà incontro alla creazione di un buco a cui dovranno comunque far fronte, ricorrendo inevitabilmente al taglio dei servizi e all’aumento di pressione fiscale sui cittadini stessi, gli unici a cui viene presentato sempre il conto, e che non hanno nessuno a cui girarlo: sono l’anello più basso della catena alimentare. Ecco, aveva ragione quello col loden a parlare di riscatto. Ancora una volta siamo ostaggio del cemento.

Alberto Grieco

Alberto Grieco Architetto

Frequentando una signora chiamata Storia, ha scoperto che l’architettura bio-eco-ecc. non ha inventato Nulla©, ed è per questo che perde ancora tempo sui libri. Architetto per vocazione; tira con l’arco, gira per boschi, suona e disegna per vivere. Lavora nel tempo libero per sopravvivere.