Coste italiane e abusivismo edilizio

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La stagione balneare di questo 2012 è cominciata un po’ prima del previsto viste le condizioni climatiche favorevoli per i turisti e gli amanti del mare. Mutano in maniera percettibile ormai le stagioni e già questo non è un buon segno per l’ambiente, ma ciò che preoccupa ancor di più del nostro territorio nazionale sono gli abusi edilizi che invece restano scolpiti in maniera pressoché permanente e fanno oramai parte dei nostri paesaggi, sopratutto costieri. Nel Bel Paese si auspicherebbe la valorizzazione di ecosistemi unici al mondo – dato il loro valore non solo ambientale ma anche storico–culturale – eppure alzi la mano chi delle spiagge di un litorale frequentato da ragazzino non ha impresso il ricordo di un “ecomostro” che nella maggior parte dei casi è ancora là a distanza di 10, 20 30 anni o più.

Non si vuole puntare il dito né contro i furbi (o inconsapevoli) privati che hanno o hanno cominciato ad edificare là dove non si sarebbe potuto farlo, e neppure contro le amministrazioni pubbliche soffocate da mille altre incombenze da non potersi permettere il lusso di demolire e smaltire enormi ruderi al grezzo o anche finiti ma mai abitati che giacciono come cattedrali del deserto e colorano – se si vuol usare un eufemismo – le foto–ricordo delle nostre vacanze.

Gli oltre 7.400 Km di coste italiane non sono solamente un ricettacolo di brutture a cielo aperto, quel che è peggio è che questa “violenza” ambientale, edilizia, paesaggistica e non solo grava in maniera pesante anche sulle economie locali: infatti se si mette da parte l’edilizia residenziale abusiva non è detto che la realizzazione di residence, alberghi, ristoranti sul sistema costiero sia sempre considerabile un avvenimento vantaggioso.

Circumnavigando la penisola italiana, comprese le sue isole, l’abusivismo edilizio che imperversa è evidente: qualsiasi dibattito inerente il turismo purtroppo comincia con l’avvento della bella stagione e termina in autunno anziché proseguire con concreti tavoli tecnici finalizzati a operazioni di ripristino delle coste al fine di eliminare o quanto meno mitigare la fatiscenza edilizia e il degrado ambientale. Questa sarebbe un’ottima occasione per tentare di sbrogliare la complicata situazione prodotta dalla L. 47/85 (ex condono edilizio).

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I dati di Legambiente degli ultimi anni non prospettano alcunché di positivo per il futuro del sistema costiero italiano [leggi il dossier "Mare Monstrum 2012”], e qui si potrebbe aprire un dibattito visto che i danni perpetrati su di esso sono di varia natura – da quella dovuta all’inquinamento abusivo, fino alla pesca di frodo – : da Eco–Architetti però vorremmo porre l’attenzione sul sistema edilizio e dire che oggi sui litorali nazionali contiamo migliaia di emergenze architettoniche passibili di demolizione che a volte si limitano ad essere sequestrate per rimanere poi nell’abbandono totale che conduce ad un successivo degrado.

L’incessante produzione di aberrazioni architettoniche e le conseguenze dannose verso il paesaggio e l’ambiente non accennano a diminuire anche se pare accrescersi sempre di più una coscienza civile e l’esigenza di un territorio incontaminato forse no ma almeno “ripulito” dagli abusi.

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La coscienza civile di tutti, dalle Istituzioni locali a quelle decentrate, dai tecnici incaricati del progetto ai committenti, implicherebbe un impegno serio affinché gli atti di abusivismo sulle coste italiano non avvengano più, al di là purtroppo, di insormontabili interessi economici che il più delle volte condizionano le scelte tecniche ma dipendono da altri fattori, a cominciare dalla politica.

Solo negli scorsi anni sono state contate ben 4000 infrazioni, quasi 1400 sequestri e oltre 5000 denunce, eppure c’è chi pretenderebbe ancora, nonostante i vincoli di inedificabilità assoluta imposti da precise e categoriche leggi, il rilascio magari di Nulla–Osta paesaggistico–ambientali pensando di poter sanare l’abuso già commesso e taciuto per anni.

A chi attribuire la colpa dell’“edilizia spontanea” sulle nostre coste?
Fra gli stessi amministratori c’è chi continua a sperare in un prossimo condono edilizio per sbarazzarsi dello scomodo fardello della decisione di abbattimento o sequestro che porterebbe verso due conseguenze: l’aggravio di spese per l’amministrazione stessa nel caso il proprietario non riuscisse ad effettuare la demolizione e la perdita di consensi da parte di ipotetici elettori nell’ipotesi che gli immobili incriminati appartengano alla comunità locale.
Dal momento che non esiste una legge specifica che tuteli le coste dagli abusi edilizi non c’è neppure un metro di misura con cui calibrare ciò che è più abusivo rispetto a ciò che lo è di meno ma ci si rifà a datate norme che ormai sono bypassabili grazie all’astuzia di periti ben allenati o di sentenze ad hoc che servano all’occorrenza a giustificare l’abuso stesso.
Ecomostri costieri se ne constano migliaia anche perché un abuso è considerato tale non per la dimensione dell’ecomostro ma per il fatto che esso sia un abuso edilizio: quindi anche una casetta costruita abusivamente sulla spiaggia o tra gli scogli è, senza sé ne ma, un ecomostro.
Insomma, tutti coloro che anche solo per aver piantato un pilastro lo hanno fatto in maniera abusiva senza eventualmente ripristinare la situazione ambientale compromessa, tutti, dal tecnico che ha chiuso un occhio per far passare una pratica edilizia abusiva, all’amministratore comunale più o meno disattento a quello che succede nel proprio circondario a discapito del territorio stesso, fino alle autorità di vigilanza che dovrebbero setacciare,o avrebbero dovuto farlo a tempo debito, le coste per verificare l’esistenza di cantieri abusivi che operano in completa libertà senza tener conto di dove si stia edificando e di che volumetrie si stiano erigendo.

Quanti e quali sono gli ecomostri delle coste?
La Campania detiene lo scettro di Regione con le coste più flagellate dagli ecomostri locali – ben 673 censiti – sin dal 2008 ormai [fonte Goletta Verde di Legambiente]; seguono a breve distanza la Calabria con 650 ecomostri e la Sicilia con 617. Bisogna vedere inoltre se a parte questi di edifici abusivi ve ne siano molti altri che non vengono annoverati come ecomostri ma che in realtà ne hanno tutte le caratteristiche salvo le volumetrie meno impattanti.
Fra gli ecomostri più evidenti come non citare l’hotel di Alimuri a Vico Equense che deturpa il litorale nei pressi di Sorrento ormai da decenni, (abbattuto il 30 Novembre 2014 n.d.R.) le palazzine di Lido Rosello, la cosiddetta "palafitta di Falerna (Catanzaro), i 2800 edifici del villaggio abusivo di Torre Mileto (Foggia), il rudere incompiuto di Palmaria a Porto Venere?
Questi sono solo alcuni dei più noti episodi di abusivismo edilizio che ha portato ad un degrado dei nostri litorali e che probabilmente – visti i tempi di permanenza degli ecomostri – resteranno lì dove sono ancora a lungo nella più completa indifferenza comune fino ad essere assimilati come un qualcosa che fa parte del territorio stesso e su di esso ha posto le proprie radici.

Gli ecomostri sono solo dei ruderi?
Assolutamente no: un ecomostro può essere abitato, vissuto, utilizzato come qualsiasi altro edificio ma sempre di ecomostro si parlerà fino a che la sua posizione di edificio abusivo non verrà sanata in maniera impeccabile, senza raggiri di legge o altri escamotage.
Se il cemento abusivo continua a deturpare i litorali e, come ci documenta l’associazione Legambiente, la bandiere nere vengono assegnate a regioni del meridione non è un caso. Purtroppo una delle piaghe del Sud Italia sono gli ecomostri ma spesso questi sono alimentati dalla presenza della criminalità organizzata locale.
Lo vediamo con i nostri occhi – sopratutto chi è residente in regioni come la Puglia, la Campania, la Sicilia o la Calabria – che se gli ecomostri non sono ruderi e non vengono recintati per mettere in sicurezza l’incolumità dei bagnanti che potrebbero essere investiti da imprevisti ma possibili crolli delle strutture obsolete, possono essere al contrario delle megastrutture abitate e utilizzate dagli stabilimenti balneari che si permettono il lusso di privatizzare pezzi di coste chiudendole con cancellate ed alte murature di cinta altrettanto abusive quanto le stesse strutture edilizie che vi sono all’interno.
Sorgerebbe spontaneo chiedersi come fanno i proprietari di questi edifici abusivi a restare lì indenni dalla scure della legge e addirittura a fare di un ecomostro un business!

Come mai ancora non esiste una normativa che regolamenti l’abusivismo edilizio costiero?
Non se ne spiega il motivo ma se ne sente il bisogno. Esistono disegni di legge regionali ma si tratta ancora di proposte o progetti in fase sperimentale come in Puglia dove l’Assessore Barbanente propone delle vere e proprie forme di cooperazione istituzionale anche mediante la stipula di convenzioni tra amministrazioni statali, regionali e locali, e la stesura di protocolli d’intesa con l’autorità giudiziaria affinché vengano adottati dei provvedimenti sanzionatori senza scappatoie. Si pensa addirittura ad istituire una “banca dati dell’abusivismo” compilabile dagli amministratori locali che nel qual caso non si ritenessero in grado verrebbero automaticamente commissariati. Potrebbe essere un positivo inizio verso un disegno di legge nazionale organico certo è che si dovrà innanzi tutto fare i conti con le pratiche di sanatoria ancora in corso (ormai da anni), con il ritardo culturale che da secoli alimenta comportamenti omertosi, con i costi che gli enti dovranno sostenere per i monitoraggi prima, per le pratiche di sequestro dopo e con le demolizioni a carico del pubblico nei casi in cui i proprietari non siano in grado di ripristinare lo stato dei luoghi, vuoi per mancanza di fondi necessari vuoi perché siano venuti meno o gli immobili in questione siano sotto sequestro. Basti pensare all’emblematico caso della demolizione degli edifici di Punta Perotti (Bari) dove i tre enormi palazzi abusivi vennero demoliti nel 2006; purtroppo però il processo penale per il caso di abusivismo edilizio si era concluso senza condanne: e dunque la Corte Suprema di Strasburgo nel 2009 dichiarò che non essendoci reato non poteva esserci pena e lo Stato non poteva confiscare i suoli. Da qui il risarcimento per gli ex costruttori degli ecomostri che spetterebbe come interesse legale dovuto a tutta la durata della confisca e applicato al controvalore dei terreni che ha fatto lievitare le cifre a ben 49 milioni di euro a scapito dello Stato: 39 milioni alla Sud Fondi dei Matarrese, 9,5 alla Mabar di Andidero, e 2,5 alla Iema di Quistelli.

Insomma una situazione non semplice che però prima o poi si dovrà cominciare a sbrogliare.




Mariangela Martellotta

Mariangela Martellotta Architetto

Architetto pugliese. Prima di decidere di affacciarsi al nascente settore dell’Ecosostenibilità lavorava nel settore degli Appalti Pubblici. È expert consultant in bioarchitettura e progettazione partecipata. Opera nel settore della cantieristica. È membro della Federazione Speleologica Pugliese.