Social housing e sperimentazioni nella bioedilizia

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Quella del social housing è una formula di antica memoria nata per far fronte all’esigenza della nuova società del lavoro industriale di avere delle case, dei “quartieri dormitorio” situate nelle vicinanze di aree operaie o alle periferie di una metropoli. La peculiarità dei programmi di edilizia sociale in Italia come in Europa è sempre stata quella di avere edifici che, anche se non particolarmente attraenti, avevano l’indiscutibile pregio dell’economicità.

Dalla fine degli anni ‘70 in Germania il concetto di bioedilizia si fa strada seguendo quella corrente culturale che parlava di sviluppo sostenibile nell’architettura come nel resto delle attività produttive. E’ sempre da qui che parte il matrimonio tra social housing e sperimentazioni nel campo della sostenibilità energetica e architettonica.
Questo tipo di edilizia pubblica, che all’inizio rappresentava l’esempio più tangibile e antiestetico dell’impatto del cemento sull’ambiente, oggi rappresenta il terreno di attuazione delle più originali proposte per quel che riguarda l’abitare sociale, la gestione di spazi comuni in modo collettivo e le applicazioni della bioedilizia, ottenendo risparmi economici e benefici di natura ecologica e sociale.

L’EDIFICIO SOLARE DEL FUTURO

Uno degli ultimi esempi diautosufficienza energetica realizzata per le case popolari è stato l’implementazione di un rivestimento di 130 celle solari per un complesso abitativo nel centro di Parigi. Si tratta di un agglomerato di 47 alloggi nel cuore della città che presenta una facciata completamente rivestita da celle solari. “L’edificio solare del futuro” – è stato definito dalla stampa nazionale: l’installazione, costata 7,8 milioni di euro, che copre circa 180 metri quadri di pannelli solari, è stata realizzata dagli architetti Emmanuel Saadi e Jean Louis Rey. Queste celle a doppio vetro di oltre 70 formati differenti consentono di assorbire energia dal sole tale da ricoprire il 40% del fabbisogno annuo di elettricità dell’edificio. Una caldaia collettiva a gas integrata da collettori solari termici è invece installata sul tetto dell’edificio, per un approvvigionamento energetico pari al 40% del totale necessario alle famiglie che abitano i 43 appartamenti.
Il complesso, gestito dall’associazione laica Emmaus, ospita anche un centro di accoglienza e riabilitazione, e per i suoi riconosciuti requisiti di efficienza e sostenibilità, ha ricevuto la certificazione THPE (performance energetica di alta qualità).

IL SOCIAL HOUSING IN ITALIA
Ma gli esempi virtuosi di social housing che sperimentano i vantaggi e il design della bioedilizia non ricorrono soltanto Oltralpe.
Secondo un recente monitoraggio dell’Eire (Expo Italia Real Estate), nel nostro Paese sono tanti i progetti che abbinano l’edificazione di questi complessi abitativi a tecniche di costruzione poco impattanti ed ecologiche.

CASA 100K

Un caso su tutti riguarda il progetto Casa100K, ideato dall’architetto Mario Cucinella in collaborazione con Italcementi. Si tratta di abitazioni di 100mq a zero emissioni di CO2; con impianti fotovoltaici inseriti nell’architettura della costruzione che garantiscono l’assorbimento di energia solare per riscaldare nei mesi invernali e strutture adatte a favorire il circolo d’aria nei mesi estivi. Gli elementi strutturali delle case 100K sono anch’essi biocompatibili ed ecosostenibili: leggeri, flessibili, smontabili e sostituibili per consentire i vantaggi del design modulare ottenuto con materiale sostenibile.

SOCIAL HOUSING MOTTA

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Sempre italiano è il progetto Social Housing Motta, dell’architetto Matteo Thun per Ater (azienda territoriale per l’edilizia residenziale di Treviso). In questo caso gli edifici, del costo di 995 Euro/mq, sono stati concepiti e realizzati completamente in materiale green, come i rivestimenti della facciata esterna, costituiti interamente da lamelle in legno. Il nuovo approccio bio al social housing piace alle amministrazioni pubbliche ed è anche favorito dai decreti di ultima emissione. La modifica del comma 2 dell’articolo 52 della legge n.680 – 6 giugno 2001 da parte del governo Monti parla infatti di “eliminare la necessità di chiedere il nullaosta al Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici per le nuove costruzioni in legno superiori ai quattro piani”. Tale modifica ha in sé una portata enormemente innovativa e funzionale alle nuove applicazioni dei principi di ecososteniblità per le costruzioni edili. Il legno, ad esempio, consente un risparmio energetico superiore al 70% rispetto a una normale abitazione in cemento armato e muratura. Il materiale, inoltre, è isolante acustico e maggiormente antisismico.

Se è vero che in seno alla collettività nascono i bisogni e le esigenze del vivere sociale, un’edilizia responsabile che parta dalle “case popolari” è forse la mossa più efficace per ottenere un cambiamento dal basso.