L’indissociabile rapporto tra Spazio e Comportamenti sociali

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La biunivoca interazione spazio–comportamento umano (secondo cui gli architetti influenzano il comportamento attraverso la forma degli spazi e, viceversa, il significato attribuito ad essi è fortemente condizionato dalle caratteristiche intime, culturali e psicologiche del singolo individuo) è stata indagata fin dagli inizi del Novecento da differenti discipline; si è così arrivati a comprendere che, la nostra condotta, non dipende solamente da “chi siamo” ma, altrettanto, dal “dove siamo”.

Social scapes: paesaggi condivisi e a basso costo

Tra queste discipline ricordiamo la Psicogeografia, che indaga sull’ influenza dello spazio architettonico–geografico sulla percezione e il comportamento degli esseri umani, la Psicologia Ambientale, che analizza come l’ambiente influenza la nostra mente e, all’inverso, come l’uomo, con il suo comportamento, è portato inconsciamente a modificare lo spazio.

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Da queste discipline sono scaturiti specifici gruppi di ricerca e scuole come quella di Chicago che, a partire dagli anni Cinquanta, ha intrapreso studi sistematici sulla città e sui cambiamenti indotti sull’atteggiamento dei propri cittadini, gli studi di Newman su come, determinati spazi urbani, favoriscano devianze quali la criminalità (per cui, un’attenta progettazione, può incidere positivamente sulla riduzione del senso di insicurezza e vulnerabilità).

Da non dimenticare è il contributo di inestimabile valore dato da Kevin Lynch e dal suo gruppo di ricerca impegnatosi, in un contesto sociale particolare come quello degli USA anni Sessanta segnata dalle battaglie per l’integrazione di tutte le componenti razziali, a far comprendere alla società l’importanza dei luoghi in cui vive, farla partecipare attivamente alle trasformazioni e al governo degli stessi attraverso l’elaborazione di un linguaggio comune e universalmente comprensibile.

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IL CONTRIBUTO “SOCIALE” DELL’ARCHITETTO

Detto ciò è subito chiaro come l’architetto abbia un evidente dovere, oltre che innumerevoli responsabilità: dare un contributo spaziale all’attuale “stato di depressione”, insoddisfazione, malessere, sfiducia della società.

Progettare non una forma ma uno spazio sociale, valutare le modalità secondo le quali gli spazi pensati verranno fruiti dai cittadini per non cadere nell’insuccesso dello sterile sapere tecnico, produttore di spazi anonimi nei quali gli uomini diventano occasionali, arrivando alla perdita del senso di comunità inteso, secondo la definizione di Bauman, come “luogo sicuro ed accogliente”.

L’attenzione nei confronti del “fruitore finale”: il Cittadino

Una delle tante possibili strade percorribili è quella di interpretare e risolvere i temi sociali, spaziali ed ambientali adottando una visione sistemica improntata sulla sostenibilità nella sua più ampia accezione, così che il progetto possa rispondere non solo ad una ricercata qualità architettonica e ambientale ma anche ad una sostenibilità sociale, intesa come creazione di spazi della comunicazione, dell’integrazione, di relazione, contenitore di valori, espressione di cultura, testimonianza di impegno intellettuale e civile da parte dei progettisti.

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Dal momento che, come abbiamo ampiamente visto, la forma di uno spazio è in grado di influenzare i comportamenti sociali, economici e morali delle persone, è chiaro e giusto optare per una politica urbana che sia condivisa, leggibile, vigorosa, vividamente individuabile da parte dei cittadini, perseguendo la figurabilità attraverso l’elaborazione del rapporto subalterno singolarità–sfondo, in grado di ovviare ai grandi problemi di percezione delle nostre aree metropolitane dettati, in particolar modo, dalla crescente dimensione e dalla velocità con cui le stesse vengono attraversate.

Incoraggiare il “fare”

Per dar vita ad unità spaziali di tale tipo, cioè in grado di rispondere non semplicemente ad esigenze di forma ma attente ai comportamenti verso i quali tale forma si rivolge , la configurazione sarà tutt’altro che inerte: oltre che ospitare azioni, sarà in grado di suggerirle e stimolarle, rafforzando l’interazione uomo–ambiente. In questo modo una conformazione forte e riconoscibile, ma al tempo stesso versatile ed aperta ai fruitori, assumerà differenti identità secondo usi, interpretazioni e reazioni polivalenti, proprie dei variegati e complessi comportamenti umani, non completamente prevedibili da un disegno architettonico interamente imposto “dall’alto” delle competenze tecniche.

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Interessante “esperimento” a tal proposito fu svolto da Aldo Van Eyck nel suo progetto della Casa dei Ragazzi (Amsterdam) in cui, strutturando e modulando attraverso il progetto architettonico una vasta possibilità di situazioni, conduce il bambino ad interpretare in maniera personale, intima e creativa la forma, stimolandone l’azione.

Giulia Radaelli

Giulia Radaelli Architetto

Innamorata dello spazio nel senso più lato del termine coniuga questa passione con la professione di architetto. Nel tempo libero si diletta con la fotografia, per cogliere l’inusuale nella quotidianità trascurata dall’occhio distratto, con viaggi e immergendosi in romanzi capaci di condurre in realtà lontane.