Efficienza energetica: panoramica delle certificazioni attuali

A fronte di un’utenza sempre più interessata all’acquisto di abitazioni ad alta efficienza energetica capaci di garantire alti livelli di comfort, nel mercato edilizio si stanno moltiplicando a dismisura protocolli, direttive e standard che assicurano in diversi modi l’acquisto di un bene di qualità superiore rispetto ai concorrenti. Ma come funziona questo nuovo mondo dell’energetica nell’edilizia?

In copertina: Energy efficiency concept with energy rating chart, di Neirfy, via Shutterstock.

EFFICIENZA ENERGETICA: BUONE AZIONI PER RISPARMIARE ENERGIA

In genere, chi è intento ad investire in un immobile, raramente si preoccupa di investigare nel dettaglio cosa c’è dietro una lettera o dietro una targhetta, possa essere “A+” o magari “Gold”. Anzi, l’invenzione di questi protocolli o sigle, serve appositamente per evitare che l’utente medio si chieda che cosa compra ma che anzi rimanga abbagliato dal scintillio della placca apposta in bella vista!  Il tutto quindi è basato sulla semplice fiducia nella serietà del protocollo usato. Ma siamo sicuri che così facendo facciamo il migliore acquisto e salvaguardiamo l’ambiente come dovremmo?

Nel mercato delle certificazioni si possono individuare due tipi diversi di rating, ovvero la famiglia delle “Certificazioni Energetiche” e quella delle “Certificazioni di Sostenibilità”.

Certificazioni Energetiche

Nella famiglia delle Certificazioni Energetiche rientrano la ormai famosa APE (Attestato di Prestazione Energetica), ma anche il protocollo Casa Clima e lo standard Passive House. Questo tipo di certificazioni sono focalizzate unicamente sull’edificio, e il loro scopo dichiarato è quello di fornire delle indicazioni per classificarli, basate sulla stima dei consumi interni. Oltre a ciò, vengono spesso fornite delle indicazioni progettuali per ottenere determinate prestazioni le quali, se rispettate, portano al raggiungimento dell’obiettivo voluto. Questo modo logico di procedere segue quindi lo schema:

  • Definizione di un obiettivo (classe energetica di riferimento);
  • Attuazione delle prescrizioni e analisi progettuali;
  • Realizzazione dell’opera;
  • Validazione.

Questo metodo, come si evince, logicamente risulta essere lineare e semplice da attuare nonostante al suo interno possa presentare diverse difficoltà. In particolare, grazie alle prescrizioni derivanti dalle norme o dai vari “protocolli” si riesce a semplificare il più possibile la fase progettuale e realizzativa. Estremamente importante, infine risulta essere la fase di validazione, ovvero quella fase in cui viene verificata la corrispondenza tra “ciò che si voleva fare” e “ciò che si è veramente fatto”. C’è da precisare che quest’ultima fase, temporalmente non si svolge alla fine del processo anzi, spesso e volentieri la validazione avviene in tutte le varie fasi, sia progettuali che costruttive e che culmina con la consegna della targa.

Come detto in precedenza, queste certificazioni sono interamente basate sull’edificio, separandolo totalmente dal suo contesto il che come si può ben capire, presenta delle limitazioni. Ad esempio, dal punto di vista della sostenibilità ambientale, è più utile acquistare un edificio in classe A+ a 20 km dal centro abitato oppure un immobile di classe B in una zona centrale?

Certificazioni di Sostenibilità

Per cercare di superare questa limitazione sono stati sviluppati i sistemi di Certificazione di Sostenibilità che, partendo sempre dall’edificio come fulcro del processo, ampliano il loro raggio d’azione fino ad inglobare parti rilevanti del territorio circostante. A questa categoria appartengono il protocollo LEED, BREAM e anche ITACA. In genere, questi tipi di protocolli sono suddivisi in macro aree tematiche che abbracciano diversi aspetti come ad esempio il luogo in cui si costruisce, le infrastrutture presenti, la gestione del ciclo dell’acqua ecc.

Ovviamente questi tipi di certificati si focalizzano anche sull’edificio curandone sia l’aspetto energetico, garantendone quindi consumi di esercizio minori, sia quello di salubrità premiando la scelta di utilizzare prodotti a basso impatto ambientale e valutando anche la qualità dell’aria interna.

Tramite quindi il perseguimento di alcuni obiettivi si arriva ad ottenere un punteggio globale, e in base a questo viene rilasciato il certificato corrispondente.

A titolo d’esempio si riporta la classificazione LEED:

LEED Base, 40-49 punti;
LEED Argento 50-59 punti;
LEED Oro 60-79 punti;
LEED Platino oltre 80 punti.

Come si può facilmente capire, anche questo sistema di certificazione ha una logica uguale a quella espressa precedentemente basata sempre sull’identificazione degli obiettivi (punteggio che si mira ad ottenere), sul perseguimento degli stessi tramite il rispetto di alcune prescrizioni che semplificano la fase progettuale ed esecutiva ed infine con una attribuzione di un attestato se gli obiettivi sono stati raggiunti.

Questo sistema sembra quindi essere riuscito a bypassare alcuni degli inconvenienti delle precedenti tipologie di certificazione ma nel contempo non esaurisce la questione. Infatti per la sua stessa natura, questo tipo di protocollo ingloba al suo interno fattori che non riguardano direttamente l’edificio (basti pensare alla posizione geografica) e la libertà di decidere in toto a quali categorie di credito dare più importanza possono portare a due edifici totalmente differenti dal punto di vista prestazionale semplicemente perché uno ha dato più importanza ai materiali ad esempio mentre l’altro ha curato più l’aspetto del ciclo dell’acqua.

Inoltre, focalizzando nuovamente l’attenzione sull’edificio in sé e per sé, cosa ci garantisce che effettivamente i consumi sono quelli previsti da progetto?

Che garanzia sui consumi previsti da progetto?

Forse la risposta più esauriente può essere fornita da questo aneddoto: dopo aver costruito e venduto delle abitazioni corrispondenti a pieno ai dettami di un protocollo (avendo quindi cercato di ottimizzare il tutto in modo da mantenere i consumi bassissimi), lo studio di progettazione si è visto recapitare reclami da parte degli acquirenti che accusavano dei consumi superiori a quelli promessi e garantiti. In particolare, analizzando i consumi effettivi, si resero conto che in alcune abitazioni risultavano essere doppi se non tripli rispetto a quelli stimati. Sono state immediatamente condotte indagini interne in modo da appurare se in fase di costruzione fossero stati fatti degli errori e per diversi mesi sono stati installati dei sensori all’interno degli alloggi in modo da monitorarli nel dettaglio. Dopo aver analizzato i risultati, le conclusioni furono che c’erano stati degli errori nell’esecuzione dell’opera ma non erano sufficienti a giustificare il notevole incremento dei consumi registrati. Dall’analisi dei dati ambientali interni e dopo aver parlato con i proprietari, si scoprì che ciò che faceva variare sostanzialmente i consumi erano i comportamenti dei fruitori. Infatti semplici abitudini come aprire le finestre per far cambiare aria la mattina o il fatto di dimenticare le luci accese quando gli ambienti non erano utilizzati o ancora aprire la finestra mentre si cucina erano le cause dell’aumento dei consumi.

E le prestazioni energetiche rimangono costanti nel tempo?

Per rispondere a questa domanda, c’è da precisare che molti sistemi di isolamento “green” che vengono adottati nelle costruzioni moderne non sono in uso da molto tempo e quindi non si sa esattamente l’andamento delle prestazioni col passare del tempo. Infatti è bensì possibile che nel corso della sua vita, certi materiali, soprattutto quelli più “green”, per questioni non sempre riconducibili al materiale stesso (una progettazione erronea o una posa in opera sbagliata) possono subire nel corso del tempo un deterioramento prestazionale che può a lungo andare pregiudicare le prestazioni energetiche dell’oggetto. Si potrebbe pensare di evitare il problema utilizzando dei materiali di origine sintetica ma questo pone altri interrogativi. Intanto non è detto che questi ultimi non subiscano un decremento delle prestazioni, ma poi, ha senso usare dei materiali la cui produzione inquina moltissimo l’ambiente e che magari (spesso) per questione di costi provengono dall’altra parte del globo?

Una soluzione alla problematica prestazionale nel tempo ovviamente è stata affrontata ma non risolta. Il nocciolo della questione infatti è che col passare degli anni, le prestazioni richieste ad un immobile aumentano e quindi si modifica anche la scala di paragone! Inoltre chiunque, acquistando casa effettua un investimento, e ancor di più chi decide di pagare una somma aggiuntiva (spesso anche rilevante) per ottenere la certificazione. Il proprietario è quindi disposto a vedere il suo investimento svalutato nel tempo?

Queste domande descrivono un panorama in continua evoluzione in cui spesso ciò che influisce più su un edificio ecosostenibile non è tanto l’edificio in sè e per sè ma anzi, ciò che ne influenza maggiormente le prestazioni sono i comportamenti di chi la utilizza. In pratica stiamo passando dal concetto di casa inteso come qualcosa di passivo, a quello di casa intesa come macchina da utilizzare con criterio e soprattutto dopo aver accuratamente letto il relativo manuale di istruzione. Ormai la casa si può sempre più paragonare ad una macchina dove importa il suo consumo nominale, ma importa molto di più come ognuno di noi la utilizza e “quanto gas da al motore”.

E di sicuro, in nessun manuale futuro di risparmio energetico, potrà essere concesso di stare a mezze maniche dentro casa in inverno.

Alberto Gallotta

Alberto Gallotta Ingegnere edile-architetto